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Legame a idrogeno

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Il legame a idrogeno è un legame intermolecolare che ha luogo quando in una molecola è presente un atomo di idrogeno legato a un elemento elettronegativo e di piccole dimensioni come F, O e N.

Il legame a idrogeno è il più forte dei cosiddetti legami secondari ed è responsabile dei punti di ebollizione delle molecole in cui esso si verifica. Quando l’idrogeno è legato a un atomo come l’ossigeno l’elevata differenza di elettronegatività tra i due elementi fa sì che gli elettroni di legame siano attratti dall’elemento più elettronegativo. Ciò comporta che il tipo di legame sia polare ovvero il baricentro delle cariche positive non coincide con il baricentro delle cariche negative. L’idrogeno ha quindi una parziale carica positiva δ+ e l’elemento più elettronegativo una parziale carica negativa δ.

Quando queste molecole polari si avvicinano tra loro l’idrogeno sarà attratto dall’elemento più elettronegativo dell’altra molecola con conseguente formazione di un legame cosiddetto a ponte di idrogeno. Questo tipo di legame è un particolare tipo di interazione dipolo-dipolo e può avvenire in molecole come HF, H2O e NH3.

legame a idrogeno

L’evidenza della formazione di questo legame è data dalle temperature di ebollizione del fluoruro di idrogeno, acqua e ammoniaca.

Uno dei fattori che influenza la temperatura di ebollizione di un composto è la massa molecolare.

Se si considerano infatti le temperature di ebollizione dei composti formati da un elemento del Gruppo 14 e dall’idrogeno si verifica che, all’aumentare della massa molare del composto aumenta la temperatura di ebollizione e quindi CH4 ha la temperatura di ebollizione minore e SnH4 ha la temperatura di ebollizione maggiore.

Questo trend non si verifica invece per HF rispetto ai composti costituiti da idrogeno e gli altri alogeni: infatti HF, nonostante sia il composto con la minor massa molare, ha la temperatura di ebollizione maggiore.

Analogo andamento di verifica per i composti costituiti dagli elementi del Gruppo 15 e del Gruppo 16 con l’idrogeno

legame a idrogeno

Per il fluoruro di idrogeno, l’acqua e l’ammoniaca è quindi evidente che esiste una forza intermolecolare attrattiva che è necessario vincere prima che la sostanza bolla con un’elevata quantità di energia termica.

Il legame a idrogeno si manifesta anche in alcuni composti organici ovvero negli alcoli e nelle ammine primarie e secondarie. Un alcol infatti è caratterizzato dal gruppo funzionale –OH in cui si l’idrogeno assume quindi una parziale carica positiva δ+ e l’ossigeno una parziale carica negativa δ mentre nelle ammine primarie e secondarie è presente il gruppo –NH2 e –NH- rispettivamente e l’idrogeno assume quindi una parziale carica positiva δ+ e l’azoto una parziale carica negativa δ.

Le temperature di ebollizione degli alcoli sono infatti maggiori rispetto a quelle degli eteri: l’etanolo CH3CH2OH ha una temperatura di ebollizione di 78.37°C mentre il dimetiletere CH3OCH3 isomero dell’etanolo in cui non è presente il legame a idrogeno ha una temperatura di ebollizione di – 24.8°C.

In alcune molecole complesse il legame a idrogeno può essere anche di tipo intermolecolare infatti esso è responsabile delle interazioni che sono alla base della struttura secondaria delle proteine (α elica e β foglietto). Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse. Il legame a idrogeno si instaura tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto di ogni legame peptidico e l’ossigeno del gruppo –C=O del legame peptidico sovrastante (che si trova a distanza di quattro amminoacidi lungo la catena).

Anche nel DNA che è costituito da una doppia elica ogni nucleotide è costituito da uno scheletro laterale, che ne permette il legame covalente  con i nucleotidi adiacenti, e da una base azotata, che instaura legami a idrogeno con la corrispondente base azotata presente sul filamento opposto che stabilizzano la struttura.


Gruppo 16

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Il gruppo 16 o gruppo dell’ossigeno detto anche gruppo dei calcogeni è costituito da ossigeno, zolfo, selenio, tellurio, polonio e livermorio che è un elemento artificiale radioattivo.

Gli elementi del gruppo appartengono al blocco p e hanno una configurazione elettronica che termina in ns2,np4. I calcogeni sono il primo gruppo del blocco p che non presenta elementi metallici stabili infatti il polonio che è l’unico metallo del gruppo presenta isotopi radioattivi.

Contrariamente all’ossigeno, selenio, tellurio e polonio lo zolfo era conosciuto fin dall’antichità e viene citato nel libro della Genesi, Omero menziona lo zolfo, usato come agente purificatore dopo la strage dei Proci e Plinio il Giovane riferisce che lo zolfo era un “singolare tipo di terra” con grande potere su altre sostanze, ricco di “virtù medicinali”.

L’ossigeno fu scoperto solo nel 1771 dal chimico svedese Karl Wilhelm Scheele che solo nel 1777 lo riconobbe come un componente dell’aria.

Il selenio fu scoperto nel 1816 dal chimico svedese Jöns Jakob Berzelius nei fanghi accumulati nel fondo delle camere dove si produceva acido solforico.

Il tellurio fu scoperto dal mineralogista austriaco  Franz-Joseph Müller Freiherr von Reichenstein in una roccia aurifera mentre il polonio fu scoperto nel 1902 dai coniugi Pierre e Marie Curie.

I numeri di ossidazione più comuni dei calcogeni sono -2, +2, +4, +6.

Gli elementi di questo gruppo seguono il trend previsto dalle proprietà periodiche: il raggio atomico aumenta dall’alto verso il basso come il carattere metallico mentre l’energia di ionizzazione diminuisce dall’alto verso il basso.

Le proprietà degli elementi tuttavia varia notevolmente: l’ossigeno e lo zolfo sono non metalli, il selenio e il tellurio sono semimetalli e il polonio è un metallo.

Gli elementi del gruppo, ad eccezione del polonio si possono trovare in diverse forme allotropiche: l’ossigeno ha come forma allotropica l’ozono O3, lo zolfo allo stato gassoso si presenta sia come S2 che come S3 mentre allo stato cristallino in cui è presente come S8 si presenta come zolfo rombico, zolfo monoclino e zolfo γ. Il selenio si presenta nella sua forma termodinamicamente più stabile nota come selenio grigio, ma anche nelle forme α e β di colore rosso con struttura cristallina monoclina e il tellurio ha due forme allotropiche di cui una amorfa nera e l’altra cristallina.

L’ossigeno è tra gli elementi più abbondanti in natura e viene ottenuto a livello industriale per distillazione frazionata dell’aria liquida mentre in laboratorio può essere ottenuto per elettrolisi dell’acqua, per decomposizione di perossidi e superossidi di metalli alcalini o metalli alcalino-terrosi o per decomposizione termica di alcuni sali inorganici come il clorato di potassio in presenza di una quantità catalitica di MnO2 secondo la reazione

2 KClO3(s) → 2 KCl(s) + 3 O2(g)

Come avviene nel caso degli elementi del Gruppo 14 e 15 anche l’elemento meno pesante del Gruppo 16 ha un’elevata tendenza a formare legami multipli.

L’ossigeno infatti si trova in natura sotto forma di una molecola biatomica in cui è presente un doppio legame ossigeno-ossigeno. L’ossigeno, oltre ad essere presente in numerosi composti inorganici e organici è presente negli ossidi, subossidi, perossidi e superossidi.

La reattività degli elementi decresce dall’alto verso il basso lungo il gruppo, ad esempio il selenio e il tellurio reagiscono più lentamente rispetto allo zolfo con la maggior parte degli elementi.

Lo zolfo, il selenio e il tellurio non reagiscono con l’acqua, con acidi e basi diluite ma reagiscono con agenti ossidanti come HNO3. Il polonio si comporta come un metallo e si solubilizza in HCl diluito per formare ioni Po2+.

Il fluoro reagisce con tutti i calcogeni ad eccezione dell’ossigeno per formare esafluoruri del tipo YF6 che sono stabili e scarsamente reattivi grazie alla possibilità di espansione dell’ottetto.

Lo zolfo e il selenio reagiscono con il carbonio per dare una serie di composti strutturalmente simili a quelli che forma l’ossigeno come, ad esempio CS2 e CSe2 in cui sono presenti due doppi legami e che hanno la stessa geometria molecolare lineare di CO2.

Lo zolfo, il selenio e il tellurio formano con elementi elettropositivi i calcoalogenuri ed in tali composti come Na2S il calcogeno ha numero di ossidazione -2.

I calcogeni sono presenti in molti acidi ternari come H2SO4, H2SO3, H2SeO4, H2TeO4 e formano composti binari con l’idrogeno.

Catalizzatori per trasferimento di fase

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Si consideri un sistema eterogeneo del tipo liquido-liquido; esso è costituito da due fasi immiscibili tra loro e generalmente una fase acquosa e una fase organica

catalizzatori per trasferimento di fase

Un catalizzatore per trasferimento di fase (PTC) facilita la migrazione di un reagente da una fase all’altra dove la reazione ha luogo ed è generalmente usato per le reazioni tra anioni o cationi e sostanze organiche.

Poiché molti anioni (cationi) sono solubili in acqua ma non in solventi organici e reattivi di tipo organico non sono solubili in acqua un catalizzatore per trasferimento di fase agisce da navetta tra il solvente organico e l’acqua legandosi all’anione (catione) e trasportandolo nel solvente organico in modo che possa reagire con il reagente contenuto nel solvente organico per formare il prodotto di reazione tramite un meccanismo detto di estrazione.

I catalizzatori per trasferimento di fase usati per il trasferimento di anioni sono in genere sali di ammonio quaternari mentre quelli usati per il trasferimento di cationi sono gli eteri corona.

Un esempio è costituito dalla reazione tra 1-cloroottano e il cianuro di sodio. La soluzione di cianuro di sodio e immiscibile con la soluzione di 1-cloroottano e la reazione di sostituzione non avviene neanche sotto agitazione, riscaldamento e lasciando agire per un tempo piuttosto lungo.

Aggiungendo un sale di ammonio quaternario come il cloruro di tetraesilammonio la reazione ha luogo nel giro di 2-3 ore con una resa prossima al 100% e con formazione del prodotto di reazione ovvero l’ottanonitrile:

CH3(CH2)6CH2Cl + NaCN → CH3(CH2)6CH2CN + NaCl

In questo processo il sale di ammonio quaternario trasferisce lo ione cianuro dalla fase acquosa alla fase organica e, a seguito della reazione, trasferisce lo ione cloruro dalla fase organica a quella acquosa.

Per comprendere il meccanismo della reazione proposto nel 1971 da Starks ci si riferisce a un sale di ammonio quaternario denominato quat che viene simboleggiato come Q+X dove X è in genere lo ione alogenuro che si solubilizza nella fase acquosa dove è presente il reagente M+Y. Nella fase organica è presente R-Y. La coppia ionica Q+Xpuò attraversare l’interfaccia liquido-liquido diffondendosi nella fase organica dove avviene la reazione tra R e X con formazione di R-X che costituisce il prodotto di reazione. Q+ e Y attraversano l’interfaccia liquido-liquido dalla fase organica a quella acquosa combinandosi con M+X con formazione di Q+X e M+Y e così il ciclo può continuare.

Catalizzatori per trasferimento di fase

I fattori che influenzano la reazione sono:

  • Superficie interfacciale
  • Natura dell’anione
  • Dimensioni del catione del sale di ammonio
  • Temperatura
  • Agitazione
  • Tipo di solvente organico

I catalizzatori per trasferimento di fase consentono l’uso di materie prime economiche e disponibili come il carbonato di potassio e l’idrossido di sodio evitando condizioni anidre, solventi costosi e sostanze tossiche quali idruri metallici e alcossidi di metalli alcalini.

Le applicazioni industriali dei catalizzatori per trasferimento di fase vanno dalla sintesi di poliesteri, pesticidi, prodotti farmaceutici e cosmetici.

Cianuro di sodio

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Il cianuro di sodio è un composto inorganico igroscopico di colore bianco e dal leggero odore di mandorle quando è umido.

Ha formula NaCN ed è un solido ionico che si dissocia in acqua in ioni Na+ e ioni cianuro CN in cui il carbonio ibridato sp è legato all’azoto tramite un triplo legame. In acqua dà luogo a un’idrolisi basica infatti il cianuro di sodio deriva dall’acido debole HCN che ha una costante acida dell’ordine di 10-10 pertanto la costante basica relativa all’idrolisi dello ione cianuro è dell’ordine di 10-4.

Ha una  struttura cristallina simile a quella del cloruro di sodio la cui solubilità in acqua è influenzata dalla temperatura: a 10°C ha una solubilità di 48 g/100 mL mentre a 34.7 °C ha una solubilità di 82 g/100 mL.

Il cianuro di sodio può essere ottenuto secondo diverse reazioni:

  • Secondo il processo Castner-Kellner dalla reazione condotta a 600°C tra sodioammide e carbonio:

NaNH2 + C → HCN + H2

CaCN2 + Na2CO3 →2 HCN + CaCO3

HCN + NaOH → NaCN + H2O

Reazioni

Il cianuro di sodio reagisce con i chetoni per dare cianidrine:

cianidrine

Il cianuro di sodio reagisce con gli alogenuri alchilici primari per dare nitrili

nitrile

Il cianuro di sodio in presenza di agenti ossidanti dà luogo alla formazione di cianati:

NaCN + 2 KMnO4 + 2 KOH → 2 K2MnO4 + NaCNO + H2O

NaCN + H2O2 → NaCNO + H2O

NaCN + O3 + H2O → NaCNO + O2

Il cianuro di sodio reagisce con acido solforico per dare solfato acido di sodio e il temibilissimo cianuro di idrogeno:

NaCN + H2SO4 → NaHSO4 + HCN

Il cianuro di idrogeno infatti è tristemente noto con il nome di Zyklon B è un pesticida utilizzato come agente tossico nelle camere a gas di alcuni campi di concentramento e sterminio nazisti.

La tossicità dello ione cianuro è dovuta al fatto che esso può dare luogo alla formazione di composti di coordinazione con molti ioni metallici tra cui oro, argento, rame e ferro.

Lo ione cianuro si complessa lo ione ferro presente nel sito attivo dell’enzima citocromo-c ossidasi interrompendo la catena di trasporto degli elettroni con conseguente blocco dell’attività enzimatica che porta alla cessazione della respirazione cellulare e alla morte della cellula.

Il cianuro di sodio viene usato per l’estrazione mineraria di oro e argento tramite un processo detto processo al cianuro: il minerale finemente suddiviso viene trattato con il cianuro di sodio con ottenimento di un composto di coordinazione solubile.

La reazione per estrarre l’oro è la seguente:

Au(s) + 8 NaCN(s) + O2(g) + 2 H2O(l) → 4 Na[Au(CN)2] (aq) + 4 NaOH(aq)

Mentre quella per l’argento, che in genere si trova sotto forma di solfuro è:

Ag2S(s)+ 4 NaCN(s) + H2O(l) → 2 Na[Ag(CN)2] (aq) + NaHS(aq) + NaOH(aq)

La reazione tra oro e cianuro di sodio viene sfruttata nella galvanostegia per ricoprire un metallo non prezioso con un sottile strato di un metallo più prezioso o più nobile o passivabile tramite l’ elettrodeposizione.

La soluzione contenente sodio dicianoaurato (I) dissociato in acqua in Na+ e Ag(CN)2viene sottoposta a elettrolisi: il polo negativo è costituito dall’oggetto che deve essere ricoperto che costituisce il catodo dove avviene la semireazione di riduzione:

Ag(CN)2(aq) + 1 e → Au(s) + 2 CN(aq)

Al polo positivo ovvero l’anodo, costituito da oro, avviene la semireazione di ossidazione:
Au(s) + 2 CN(aq)→  Ag(CN)2(aq) + 1 e

Biossido di carbonio

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Il biossido di carbonio, più comunemente noto come anidride carbonica è una molecola gassosa a temperatura ambiente e ha formula CO2.

In essa il carbonio è ibridato sp e si lega, tramite doppio legame ai due atomi di ossigeno; la molecola è lineare e, sebbene l’ossigeno sia più elettronegativo del carbonio, e conseguentemente il legame è polare stante la simmetria di tali legami i dipoli si annullano reciprocamente e quindi la molecola risulta apolare.

Nel biossido di carbonio il carbonio presenta numero di ossidazione +4 che costituisce il suo massimo numero di ossidazione pertanto la molecola non risulta ulteriormente ossidabile e quindi è relativamente inerte e non dà reazioni di combustione.

Viene quindi usato in taluni tipi di estintori ovvero bombole contenenti il biossido di carbonio ad elevata pressione sotto forma gassosa. Azionando l’estintore il biossido di carbonio si trasforma, a contatto con l’atmosfera in neve carbonica con un brusco abbassamento della temperatura a – 78.5°C: l’abbassamento di temperatura e la sottrazione di ossigeno permettono di estinguere la fiamma senza lasciare residui. Infatti l’anidride carbonica allo stato solido sublima passando direttamente dallo stato solido a quello gassoso.

Osservando infatti il diagramma del biossido di carbonio

diagramma-di-fase-co2

Si nota che il punto triplo dell’anidride carbonica coincide con la temperatura di – 56.6 °C e con la pressione di 5.2 atm, superiore cioè a quella standard di 1 atm.

Ciò implica che se a partire da temperature molto basse riscaldiamo l’anidride carbonica solida sotto la pressione esterna costante di 1 atm, la sostanza sublima alla temperatura di – 78.5 °C senza passare attraverso lo stato liquido. Infatti, nel diagramma di fase risulta chiaramente evidente che la retta di equilibrio solido-liquido esiste per valori di pressione esterna superiori a 5.2 atm.

Il fatto che l’anidride carbonica solida sotto la pressione normale di 1 atm, si trovi in equilibrio con i propri vapori alla temperatura di – 78.5 °C, trova una pratica applicazione con l’impiego di questa sostanza come refrigerante per la conservazione degli alimenti. Il noto ghiaccio secco così denominato perché alla pressione di 1 atm sviluppa vapori senza fondere, non è altro che anidride carbonica allo stato solido.

Il comportamento dell’anidride carbonica fu descritto per la prima volta dal chimico fiammingo Jean Baptiste van Helmont intorno al 1640 quando notò che bruciando il carbone in un recipiente chiuso la massa della cenere era minore rispetto a quella del carbonio. Egli quindi ritenne che parte del carbone si fosse trasformato in una sostanza invisibile che chiamò spirito silvestre.

Il biossido di carbonio si trova nell’atmosfera e deriva dall’ossidazione di sostanze organiche a seguito della respirazione, decomposizione, fermentazioni naturali o per reazioni di combustione.

E’ una sostanza di fondamentale importanza nei processi vitali di animali e piante come la fotosintesi clorofilliana e la respirazione che giocano un ruolo importante nel ciclo del carbonio.

Le piante verdi che sono organismi autotrofi sono in grado infatti di convertire il biossido di carbonio e l’acqua in glucosio e ossigeno:

6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2

Nel processo di respirazione in cui viene assunto ossigeno la reazione avviene in senso inverso.

A pressione atmosferica il biossido di carbonio si solubilizza in acqua per dare un equilibrio con l’acido carbonico e la sua solubilità è influenzata della pressione secondo la legge di Henry.

Il biossido di carbonio gassoso è infatti in equilibrio con quello disciolto in acqua:
CO2(g) ⇌ CO2(aq)

Il biossido di carbonio acquoso in acqua dà luogo all’equilibrio:

CO2(aq) + H2O(l) ⇌ H2CO3(aq)

Questo equilibrio è spostato a sinistra infatti solo circa l’1% di biossido di carbonio acquoso si trova sotto forma di acido carbonico.

L’acido carbonico è un acido diprotico
che si dissocia secondo gli equilibri:

H2CO3(aq) + 6 H2O ⇌ HCO3(aq) + H3O+(aq)

HCO3(aq) + H2O(l) ⇌ CO32-(aq) + H3O+(aq)

Se l’acqua, come quella degli oceani contiene ione carbonato si ha un effetto di ione in comune e l’ultimo equilibrio retrocede verso sinistra secondo il Principio di Le Chatelier con formazione di carbonato acido. Pertanto la reazione netta è:

CO2(aq) + H2O(l) + CO32-(aq) ⇌ 2 HCO3(aq)

L’aumento del biossido di carbonio che si è verificato a partire dalla Seconda Rivoluzione Industriale, oltre a contribuire notevolmente all’effetto serra, provoca la diminuzione di carbonato nelle acque oceaniche con il risultato che il pH sta andando gradualmente a diminuire e si stima sia passato da 8,25 a 8,14 negli ultimi 250 anni.

Questo fenomeno ha un impatto devastante sull’ecosistema marino e porta alla dissoluzione dei gusci calcarei delle conchiglie di molluschi, echinodermi, alghe, coralli e plancton calcareo; in pratica, di tutti gli organismi la cui esistenza è legata alla fissazione di carbonato di calcio.

Il biossido di carbonio, viene prodotto oltre che dalle reazioni di combustione, anche dalla decomposizione termica del carbonato di calcio, di litio, magnesio, stronzio e bario, ad esempio:
CaCO3(s)→ CaO(s) + CO2(g)

Il biossido di carbonio può essere ottenuto per trattamento di un carbonato metallico con un acido minerale:

CaCO3(s) + 2 HCl(aq) → CaCl2(aq) + H2O(l) + CO2(g)

Il biossido di carbonio viene utilizzato allo stato solido come ghiaccio secco e nella pulitura di superfici con il metodo della sabbiatura criogenica. Viene aggiunto ad alcune bevande per provocare effervescenza ed è usato come fluido refrigerante in impianti di refrigerazione e di condizionamento

Nitruri

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I nitruri costituiscono una classe di composti prevalentemente binari o ternari in cui è presente l’azoto con numero di ossidazione -3 che hanno un’ampia gamma di proprietà e di applicazioni.

Gli elementi a cui si lega l’azoto per formare nitruri sono non metalli come zolfo, boro e fosforo, metalli alcalini come il litio, metalli alcalino terrosi, metalli di transizione e lantanoidi.

I processi di nitrurazione si svilupparono agli inizi del 1900 e vengono ancora studiati per il vasto campo di applicazioni in cui un nitruro può essere utilizzato che spazia dal campo delle costruzioni aeree a quello della componentistica per autoveicoli. I nitruri trovano inoltre applicazione nel campo dei semiconduttori in  cui il metallo presente è gallio, indio e alluminio.

Questi composti presentano un alto punto di fusione e una banda proibita (band gap) ovvero un intervallo di energia interdetto agli elettroni che va da 0.7 eV per il nitruro di indio a 6.2 eV per il nitruro di alluminio. I nitruri sono spesso materiali refrattari a causa dell’elevata energia reticolare che è dovuta alla forte attrazione di N3- con l’altro elemento come nel caso del nitruro di titanio e del nitruro di silicio mentre il nitruro di boro che ha una struttura a strati è un ottimo lubrificante

Nei nitruri l’azoto è legato a un elemento che presenta una elettronegatività più bassa come boro o silicio o con metalli- analogamente ai carburi, i nitruri possono essere classificati in tre categorie: ionici, interstiziali e covalenti a seconda del tipo di legame esistente tra l’azoto e gli elementi ad esso legati.

Nitruri ionici:

il litio è l’unico metallo alcalino che forma un nitruro, mentre tutti i metalli alcalino terrosi sono in grado di formare nitruri. Questi composti possono essere considerati come costituiti dal catione metallico e dall’anione N3- e sono pertanto di tipo ionico. Essi danno luogo a idrolisi per dare ammoniaca e l’idrossido del metallo come, ad esempio, il nitruro di calcio:

Ca3N2 + 6 H2O → 2 NH3 + 3 Ca(OH)2

Questo tipo di nitruri mostrano stabilità diverse: il nitruro di magnesio si decompone a 270°C mentre quello di boro fonde a 2200 °C senza decomporsi. Esempi di nitruri ionici binari sono Li3N, Mg3N2 e LaN mentre esempi di nitruri ionici ternari sono LiMgN, Li5TiN3 e Li2CeN2.

Nitruri interstiziali:

i metalli di transizione formano nitruri interstiziali in cui l’azoto occupa gli interstizi nel reticolo cristallino dei metalli. Sono generalmente binari e dotati di elevati punti di fusione, alta conducibilità e relativa inerzia chimica; non danno abitualmente reazione di idrolisi ma possono reagire con gli acidi come nel caso del nitruro di vanadio con produzione di ammoniaca e idrogeno gassoso:

2 VN + 3 H2SO4 → V2(SO4)3 + N2 + 3 H2

Nitruri covalenti:

sono sia binari che ternari ed in genere sono costituiti da un non metallo come B, C, Si e P o da metalli di transizione, lantanoidi e metalli alcalino terrosi. I nitruri covalenti esibiscono comunque un parziale carattere ionico, ad esempio Si3N4 ha circa il 30% di carattere ionico e il 70 % di carattere covalente.

I nitruri covalenti hanno elevata stabilità chimica e un’alta band gap; esempi di nitruri covalenti binari sono BN, GaN e Ge3N4 mentre esempi di nitruri covalenti ternari sono BeSiN2, CaGeN2 Mn2PN3.

Idrossidi anfoteri

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Una sostanza si definisce anfotera dal greco ἀμφότεροι che significa “entrambi” se presenta una natura duplice ovvero può agire sia da acido che da base. Molti metalli tra cui berillio, zinco, alluminio, gallio, piombo (II), stagno(II) e stagno (IV), gallio e cromo (III) formano idrossidi anfoteri.

Gli idrossidi anfoteri si presentano spesso allo stato solido sotto forma di polvere di colore bianco e scarsamente solubili in acqua mentre sono solubili in ambiente acido e in ambiente basico.

Un esempio di idrossido anfotero è costituito dall’idrossido di berillio Be(OH)2 che è scarsamente solubile in acqua.

In ambiente acido l’idrossido di berillio si comporta da base e dà una reazione di neutralizzazione con formazione di sale e acqua:

Be(OH)2(s) + 2 HCl(aq) → BeCl2(aq) + 2 H2O(l)

Il cloruro di berillio, a basse concentrazioni, è solubile in acqua. Se alla soluzione di cloruro di berillio viene aggiunta una base si forma un precipitato bianco di idrossido di berillio secondo la reazione netta:

Be2+(aq) + 2 OH(aq)→ Be(OH)2(s)

In ambiente basico l’idrossido di berillio si comporta da acido e dà luogo alla formazione del complesso tetraidrossoberillato solubile in acqua:

Be(OH)2(s) + 2 OH (aq) → Be(OH)42- (aq)

Un analogo esempio viene fornito dall’idrossido di zinco anch’esso poco solubile in acqua che viene solubilizzato sia in ambiente acido che basico secondo le reazioni:

Zn(OH)2(s) + 2 HCl(aq) → ZnCl2(aq) + 2 H2O(l)

Zn(OH)2(s) + 2 OH (aq) → Zn(OH)42- (aq)

L’esempio tipico di un idrossido anfotero è quello dell’idrossido di alluminio che è scarsamente solubile in acqua ma in ambiente acido dà luogo alla formazione di un sale solubile:

Al(OH)3(s) + 3 HCl(aq) → AlCl3(aq) + 3 H2O(l)

In presenza di una base forte come NaOH dà luogo alla formazione del tetraidrossoalluminato solubile in acqua secondo la reazione netta:

Al(OH)3(s) + OH (aq) → Al(OH)4 (aq)

La solubilità del tetraidrossoalluminato viene sfruttata per ottenere ossido di alluminio dalla bauxite secondo il processo Bayer che, sebbene proposto dal chimico Karl Bayer nel 1887, è ancora oggi quello maggiormente usato.

La bauxite contiene infatti, oltre all’ossido di alluminio, l’ossido di ferro (III) e l’ossido di silicio e altre impurezze che devono essere eliminate.

In questo processo la bauxite viene lavata con una soluzione di NaOH concentrato in una fase detta di digestione.

La concentrazione di NaOH, la temperatura che è compresa tra 140 e 240°C e la pressione dipendono dal tipo di bauxite e dalla presenza delle specie mineralogiche in essa contenute.

In tali condizioni mentre l’ossido anfotero di alluminio si trasforma in tetraidrossoalluminato solubile gli altri componenti rimangono indisciolti costituendo una miscela di impurità solide chiamata fango rosso che viene filtrata e scartata ad eccezione del silicato di sodio formatosi che è solubile.

Nel secondo stadio il tetraidrossoalluminato viene trattato con CO2 che, essendo un ossido acido, abbassa il pH fino a 6 e in tali condizioni mentre il silicato di sodio rimane in soluzione si verifica la precipitazione dell’idrossido di alluminio:

Al(OH)4 (aq) + CO2(g) → Al(OH)3(s) + HCO3(aq)

L’idrossido di alluminio viene filtrato, lavato e scaldato per dare ossido di alluminio:

2 Al(OH)3(s) → Al2O3(s) + 3 H2O(l)

L’ossido di alluminio ottenuto viene sottoposto a elettrolisi per la produzione dell’alluminio.

Flocculanti

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La flocculazione è un processo che avviene dopo la coagulazione in cui le particelle presenti in un sistema colloidale danno luogo alla formazione di aggregati.

Questo processo viene utilizzato in svariati campi e principalmente nel trattamento di purificazione delle acque, in campo farmaceutico per stabilizzare le sospensioni e nel campo dell’industria enologica per conferire limpidezza al vino.

Vengono quindi utilizzati agenti flocculanti che hanno la funzione di aggregare le particelle sospese in modo da rendere più efficienti le operazioni di sedimentazione, chiarificazione, filtrazione e centrifugazione.

I flocculanti sono sostanze a diverso peso molecolare di tipo anionico, cationico e polimerico a seconda della carica delle particelle superficiali che devono essere destabilizzate e generalmente sono efficienti in un determinato intervallo di pH.

La velocità di flocculazione è influenzata da diversi fattori: ad esempio l’agitazione o il riscaldamento della soluzione provocano un aumento dell’energia cinetica delle particelle sospese con conseguente maggiore velocità di aggregazione con il flocculante.

Un altro fattore è costituito dal volume della soluzione: un volume maggiore di soluzione implica una quantità maggiore di flocculante ed inoltre la quantità di flocculante necessaria è influenzata dalla sua carica e dalla sua dimensione.

Una particella dispersa in un liquido può presentare delle cariche elettrostatiche superficiali che generando un campo elettrico attrae ioni di segno opposto nello spazio che la circonda.

Ad esempio lo ioduro di argento AgI, assorbe, sulla sua superficie, lo ione presente in eccesso dando due tipi di aggregati:

  • [AgI]Icircondato da un controione positivo presente in soluzione come ad esempio K+
  • [AgI]Agcircondato da un controione negativo come ad esempio I

Il doppio strato elettrico genera un potenziale detto potenziale zeta o potenziale elettrocinetico ζ il cui valore è correlato alla natura e alla struttura del doppio strato elettrico all’interfaccia particelle-liquido.

Un flocculante anionico come un sale o un idrossido metallico agisce con le cariche positive (potenziale zeta positivo) mentre un flocculante cationico agisce con le cariche negative (potenziale zeta negativo).

I flocculanti maggiormente usati sono:

silicato di sodio spesso detto silice attivata Na2SiO3

bentonite (Al2O3-4 SiO2– 4 H2O)

solfato di alluminio Al2(SO4)3

allume, sale doppio di alluminio e potassio, KAl(SO4)2

derivati dell’amido, polisaccaridi, alginati

polimeri come la poliacrilammide derivante dalla polimerizzazione dell’acrilammide CH2=CH-CONH2

Meccanismo di azione

I flocculanti ionici come il solfato di alluminio si solubilizza dando ioni Al3+ e SO42-. Le particelle colloidali contenute nella soluzione in cui sono presenti cariche superficiali si legano ai controioni e diventano sufficientemente pesanti da precipitare.

I flocculanti polimerici come la poliacrilammide, invece, sono caratterizzati dalla presenza di una lunga catena e da elementi elettronegativi come in particolare l’ossigeno che forma legami covalenti polari.

poliacrilammide

Le dimensioni della macromolecola, unitamente alla presenza di atomi che hanno una parziale carica fa sì che le particelle colloidali si aggregano ad essa e precipitino rapidamente.

Sono comunque allo studio altri tipi di flocculanti come i bioflocculanti che potrebbero costituire una valida alternativa ai flocculanti tradizionali.


Rutenio

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Il rutenio è un metallo del blocco d appartenente al Gruppo 8 e al 5° periodo della Tavola Periodica avente configurazione elettronica Kr 4d75s1 con numero atomico 44.

Il rutenio fu scoperto dal chimico russo Karl Karlovich Klaus nel 1844 mentre analizzava il residuo di un campione di roccia contenente platino proveniente dagli Urali a cui fu dato questo nome che deriva dalla parola latina Ruthenia che significa Russia. Fu ottenuto dalla calcinazione del rutenio ammonio cloruro (NH4)2RuCl6

Il rutenio fa parte dei metalli appartenenti ai metalli del gruppo del platino che sono caratterizzati proprietà fisiche e chimiche simili come attività catalitica, resistenza alla corrosione, resistenza all’ossidazione ad elevate temperatura, basso coefficiente di dilatazione termica, alto punto di fusione e si trovano generalmente negli stessi depositi minerari.

gruppo-del-platino

È un metallo duro e fragile, molto raro, di colore bianco-argenteo che si ossida all’aria solo ad elevate temperature. Come i metalli di transizione ed in particolare l’osmio che appartiene al suo stesso Gruppo, il rutenio  ha molti stati di ossidazione ovvero +2,+3,+4,+6 e +8 sebbene gli stati di ossidazione più comuni siano +2, +3 e +4.

Negli stati di ossidazione più alti forma composti con l’ossigeno: nel tetrossido di rutenio RuO4 ha numero di ossidazione +8, nel perrutenato RuO4ha numero di ossidazione +7 e nel rutenato RuO42-.

Il rutenio forma composti con gli alogeni come il trifluoruro di rutenio RuF3, il tetrafluoruro RuF4, il pentacloruro a molecola tetramera [RuF5]4 e l’esafluoruro RuF6.

Forma composti metallo carbonili come Ru(CO)5, Ru2(CO)9 e Ru3(CO)12 e composti ciclopentadienilici come il rutenocene Ru(C5H5)2 appartenente alla categoria dei metalloceni.

Il rutenio forma molti composti di coordinazione: il rutenio (III) dà composti come [Ru(C2O4)3]3- ma il rutenio (II) forma i complessi più importanti di tipo esacoordinati in cui sono presenti l’azoto o il fosforo quali donatori come [Ru(NH3)6]2+.

Il rutenio forma inoltre complessi che possono costituire un’alternativa a quelli del platino nella terapia per il cancro.

Il rutenio non reagisce con gli acidi e resiste all’attacco dell’acqua regia ma reagisce con  l’ipoclorito di sodio per formare rutenati, perrutenati e tetrossido di rutenio.

Il rutenio viene utilizzato prevalentemente per ottenere leghe spesso con il platino o con il palladio a cui conferisce maggiore durezza e resistenza agli attacchi chimici utilizzate per contatti elettrici, dispositivi per la misurazione di temperature molto elevate o molto basse.

Viene utilizzato anche in leghe con il titanio rendendolo più resistente alla corrosione infatti l’aggiunta dello 0.1% di rutenio rende la lega di titanio cento volte più resistente alla corrosione.

I composti del rutenio vengono utilizzati quali catalizzatori in molte reazioni di sintesi organiche come l’idratazione dei nitrili che porta alla formazione di ammidi:

R-CN + H2O → RCONH2

Il catalizzatore utilizzato per questa reazione è RuH2(PPh3)4

I catalizzatori di Grubbs contenti composti del rutenio catalizzano la metatesi delle olefine; complessi del rutenio catalizzano la reazione di Noyori  che porta alla idrogenazione asimmetrica di aldeidi, chetoni e immine.

Il rutenio costituisce anche un catalizzatore innovativo per la sintesi dell’ammoniaca: con i catalizzatori tradizionali la reazione di sintesi richiede una elevata pressione con conseguente dispendio di energia mentre con un catalizzatore del tipo Ba-Ru-MgO la pressione può essere ridotta del 50%

Per il suo aspetto inconfondibile può essere usato per ottenere gioielli che hanno tuttavia un prezzo molto elevato stante la rarità dell’elemento

 

Molibdeno

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Il molibdeno è un metallo di transizione di colore bianco argenteo appartenente al Gruppo 6° e al 5° Periodo che ha configurazione elettronica [Kr+] 4d5 5s1.

In natura è presente nella molibdenite prevalentemente sotto forma di solfuro MoS2 di aspetto simile al solfuro di piombo e alla grafite tanto che fino al XVIII secolo i composti del molibdeno venivano confusi con quelli del piombo o del carbonio tanto che il nome molibdeno deriva dal greco μολύβδος che significa piombo.

Fu solo nel 1778 che il chimico svedese Carl Wilhelm Scheele analizzando questo minerale comprese che non si trattava né di galena né di grafite ma di un composto contenente un altro elemento di cui non conosceva l’identità. Fu un altro chimico svedese Peter Jacob Hjelm che nel 1781 riuscì ad isolare il molibdeno da un suo ossido.

A livello industriale il molibdeno viene ottenuto dalla reazione tra disolfuro di molibdeno e ossigeno a 700°C:

2 MoS2 + 7 O2 → 2 MoO3 + 4 SO2

Il molibdeno infatti allo stato metallico si ottiene per riduzione dell’ossido in corrente di idrogeno: il processo viene fatto in due stadi, il primo a 600-700 ºC per l’elevata volatilità di MoO3 e il secondo intorno a 1000 ºC:

MoO3 + H2 → MoO2 + H2O

MoO2 + 2 H2 → Mo + 2 H2O

Il molibdeno è un metallo moderatamente reattivo: non reagisce infatti con l’ossigeno a temperatura ambiente ma solo a temperature superiori a 600°C:

2 Mo + 3 O2 → 2 MoO3

Non si solubilizza in acido cloridrico, fluoridrico, ammoniaca, idrossido di sodio ma solo, a caldo, in acido solforico o acido nitrico concentrati.

I numeri di ossidazione più comuni del molibdeno sono +4 e +6, ma può presentare numero di ossidazione -2, zero nel molibdeno esacarbonile, e +1,+2,+3,+4,+5 e +6.

Il molibdeno forma composti, detti molibdati, in cui ha numero di ossidazione + 6.

L’ossoanione ha formula MoO42- o Mo2O72- costituito da due tetraedri con un ossigeno in comune come, ad esempio, il molibdato di sodio Na2MoO4 o di ammonio (NH4)2Mo2O7.

Il molibdato viene precipitato come trisolfuro in HCl 0.4 M:

MnO42-(aq) + 3 S2-(aq) + 8 H+(aq) → MnS3(s) + 4 H2O(l)

Il molibdato di ammonio reagisce con l’acido solfidrico per dare tetratiomolibdato di ammonio composto che viene sperimentato per la cura di varie patologie

(NH4)2MoO4 (aa) + H2S(aq) → (NH4)2MoS4(s)  + 4 H2O(l)

Il molibdeno si lega agli alogeni per dare sali come fluoruri, cloruri, bromuri e ioduri, all’ossigeno per dare il monossido, il diossido e il triossido, allo zolfo per dare disolfuro e trisolfuro, all’azoto per dare il nitruro.

Il molibdato di ferro (III) Fe2(MoO4)3 viene usato quale catalizzatore per l’ossidazione del metanolo in metanale.

Il molibdato di bismuto (III) Bi2(MoO4)3  viene usato come catalizzatore per l’ossidazione selettiva del propene che, in presenza di ossigeno dà l’acroleina CH2=CHCHO e in presenza di ossigeno e ammoniaca dà l’acrilonitrile CH2=CHCN.

Il disolfuro di molibdeno è usato come lubrificante solido e come catalizzatore  per l’idrocracking delle frazioni del petrolio contenenti azoto, zolfo e ossigeno.

Il molibdeno ha un elevato punto di fusione di 2623°C ed è quindi usato per produrre elettrodi per forni di fusione di vetro, per alcune parti di missili e di aeromobili e nel campo nucleare.

L’uso principale del molibdeno è nella produzione di leghe ad alta resistenza e, in quantità compresa tra 0.25 e 8%, per ottenere acciai ad alta resistenza.

In lega con il nichel e il cromo forma leghe resistenti al calore e alla corrosione e adatte a sopportare carichi elevati e con elevato carico di rottura.

I pigmenti a base di molibdeno hanno colori che variano tra il giallo intenso e l’arancione vivo e vengono usati nelle vernici e negli inchiostri. L’arancio di molibdeno costituito da cromato, solfato e molibdato di piombo è dotato di ottimo potere coprente e viene impiegato, oltre che nelle vernici e inchiostri anche nella tempera e nei colori a olio.

PM10

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Il particolato, ovvero quel materiale presente nell’atmosfera in forma di particelle solide o liquide di diverse dimensioni, costituisce l’inquinante a maggior impatto ambientale nelle aree urbane e industriali.

Il PM10 la cui sigla è l’acronimo di Particulate Matter e il numero 10 indica che il diametro delle particelle è inferiore a 10 μm, costituisce una delle frazioni del particolato.

Il  PM10 ha origini naturali ed è costituito da sostanze derivanti dall’ossidazione di biossido di azoto e solfuro di idrogeno originati da attività vulcaniche e incendi boschivi, ossidi di azoto e ammoniaca liberati dal terreno, sostanze terpeniche rilasciate dalla vegetazione.

La gran parte del PM10 presente nell’atmosfera è tuttavia dovuto a fonti antropiche tra cui il traffico veicolare che contribuisce oltre che per i prodotti di scarico del motore anche per l’usura degli pneumatici, dei freni e della frizione, il traffico veicolare, lo smaltimento dei rifiuti, allevamenti, industrie ma soprattutto dai processi di combustione.

Nei mesi invernali in presenza di alta pressione e in assenza di vento e di precipitazioni i livelli di PM10 divengono particolarmente elevati specie nelle aree urbane. Elevata incidenza nella formazione di PM10 è dovuta ai riscaldamenti domestici ed in particolare dalla combustione di legna e pellet.

I danni imputabili al PM10 sono notevoli: i danni provocati da questo tipo di particolato sono enormi infatti viene calcolato che nella sola Europa circa 400000 persone muoiono all’anno.

All’inquinamento da PM10 sono associati effetti dannosi per la salute umana, sia a breve che a lungo termine. Tra gli effetti a breve termine si annoverano aumenti dei ricoveri per asma e patologie polmonari e per malattie cardiovascolari mentre tra gli effetti a lungo termine si riscontra una diminuzione della funzionalità polmonare e, secondo alcuni studi una diminuzione dell’aspettativa di vita.

La composizione del PM10 è diversa a seconda delle fonti antropiche che hanno contribuito alla sua formazione.

Esso è costituito prevalentemente da alcune specie:

  • Ioni inorganici ed in particolare solfati SO42-, ammonio NH4+e nitrati NO3 che si formano a seguito della reazione tra acido solforico e di acido nitrico con l’ammoniaca con formazione di sali quali il nitrato di ammonio NH4NO3 e il solfato di ammonio (NH4)2SO4

I precursori di questi ioni sono i prodotti della combustione di composti contenenti zolfo come carbone e petrolio da cui si formano gli ossidi di zolfo SOx e dalla combustione di combustibili fossili da cui si formano gli ossidi di azoto NOx. L’ammoniaca può derivare sia dalla riduzione degli ossidi di azoto che da allevamenti di bestiame, gas di scarico di autoveicoli e decadimento dei rifiuti.

  • Componente carboniosa che è una delle maggiori componenti del particolato.

Essa è costituita da carbonio organico (OC) presente nei fumi di scarico dei mezzi di trasporto e dagli idrocarburi policiclici aromatici (PHAs) che si formano a seguito di una combustione incompleta o che vengono prodotti a seguito di pirolisi di materiale organico contenente carbonio, come carbone, legno, prodotti petroliferi, rifiuti o durante la cottura di cibi. Vi è inoltre il carbonio elementare (EC) che ha le stesse fonti dei PHAs e il carbonio inorganico (IC) costituito prevalentemente da carbonati.

  • materiale crostale che può presentarsi o associato al pulviscolo atmosferico (Si, Ca, Al) o a elementi in traccia Pb, Zn)

Sono inoltre presenti elementi derivanti dalle fonti più svariate la gran parte dei quali da fonti antropiche come, ad esempio, il selenio proveniente dalle centrali elettriche alimentate a carbone, vanadio, zinco e nichel provenienti da centrali elettriche alimentate a petrolio, cadmio che, insieme allo zinco è usato come additivo per plastiche e gomme, bromo, piombo, rame e zolfo emessi da diverse attività industriali, nichel, vanadio e manganese emessi dai processi di fusione.

Insomma c’è tutta la Tavola Periodica e purtroppo questo tipo di particolato, per le sue piccole dimensioni dopo essere stato inalato penetra nei polmoni fino a giungere negli alveoli polmonari: non c’è da stare troppo allegri…

Cianato

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Il cianato è uno ione poliatomico negativo avente formula [OCN] o [NCO] e, per comprenderne la struttura, ci si può avvalere delle formule di Lewis.

Il carbonio che è l’atomo meno elettronegativo viene posto al centro e ad esso vengono legati rispettivamente l’azoto e l’ossigeno tramite legami semplici:

O – C – N

Calcoliamo il numero di elettroni di valenza usando la formula:

numero di elettroni di valenza = numero elettroni totali – (carica dello ione) = 6 + 4 + 5 – (-1) = 16

Gli elettroni coinvolti nella formazione di legami π possono essere calcolati con la seguente formula:

elettroni coinvolti nella formazione di legami π = 6n +2 – numero elettroni di valenza

Dove n è il numero di atomi presenti nella molecola che nel caso in esame sono 3:

elettroni coinvolti nella formazione di legami π = (6 ∙ 3) + 2 – 16 = 4

Ciò implica che è presente un triplo legame e un legame semplice o due doppi legami.

Si ottengono quindi tre possibili strutture:

O=C=N ↔ O ≡C-N ↔ O-C ≡ N

Il numero di elettroni necessari per raggiungere la configurazione di un gas nobile sono pari a 3 x 8 = 24

24 – 16 /2= 4 = numero di doppietti elettronici solitari

Si aggiungono alle possibili strutture 4 doppietti elettronici in modo che ciascun atomo abbia l’ottetto completo e si ottengono le tre strutture limite di risonanza:

risonanza

Per acidificazione di soluzioni contenenti cianato si ottiene l’acido isocianico:
NCO + H+ → HNCO

Il cianato è un legante ambidentato in quanto sono presenti atomi donatori alternativi: l’esistenza del carattere ambidentato genera la possibilità di una isomeria di legame (linkage isomerism), nella quale il medesimo legante si lega tramite atomi diversi.

Il cianato inoltre può fungere da legante a ponte legandosi contemporaneamente a due ioni generalmente metallici.

Il cianato è anche un nucleofilo ambidentato nelle reazioni di sostituzione nucleofila sebbene formi abitualmente alchilisocianati R-NCO e più raramente alchilcianati R-OCN.

Il cianato arilico avente formula C6H5OCN può essere ottenuto dalla reazione tra fenolo C6H5OH e cloruro di cianogeno Cl-C≡N in ambiente basico.

Il cianato è scarsamente tossico se paragonato al cianuro e pertanto ambienti contaminati da cianuro vengono trattati con un forte ossidante come il permanganato per trasformare il cianuro in cianato.

Il cianato più importante dal punto di vista storico è il cianato di ammonio in quanto nel 1828 il chimico tedesco Friedrich Wöhler ottenne l’urea per riscaldamento del cianato di ammonio:

urea

L’importanza di questa sintesi è dovuta al fatto che l’urea è il primo composto organico sintetizzato a partire da un composto inorganico.

Un altro cianato di largo consumo è il cianato di sodio in quanto viene usato come erbicida ma presenta anche un’azione fertilizzante a causa dell’alto contenuto di azoto. Il cianato di sodio viene anche usato come intermedio nella sintesi di pesticidi e coloranti. Dalla reazione del cianato di sodio con ammine possono essere ottenuti derivati dell’urea

derivati urea

Il cianato di potassio ha caratteristiche analoghe al cianato di sodio ma viene a volte preferito ad esso per la maggiore solubilità in acqua e per la possibilità di ottenerlo in forma pura.

Come molti cianati anche il cianato di potassio può essere ottenuto per riscaldamento dell’urea in presenza di carbonato di potassio secondo la reazione:

2 (NH2)2CO + K2CO3 → 2 KOCN + (NH4)2CO3

 

L’elio forma molecole stabili

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I gas nobili le cui prime scoperte risalgono al 1785 sono stati considerati per decenni gas inerti per la loro elevata stabilità chimica.

Tutti i gas nobili, ad eccezione dell’elio hanno configurazione elettronica esterna ns2,np6 ovvero presentano l’ottetto completo e d’altra parte l’elio che ha configurazione elettronica 1s2 presenta il guscio completo.

Solo a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo si è scoperto che alcuni gas nobili ed in particolare lo xeno formavano composti stabili, ma non erano noti composti dell’elio e del neon.

L’elio infatti ha un’affinità elettronica pari a zero e un’energia di ionizzazione più alta di tutti gli elementi il che ha fatto da sempre ritenere che esso, tra tutti i gas nobili, non potesse formare composti.

Secondo quanto pubblicato recentemente dal C&EN l’elio forma un composto stabile sebbene ad elevatissime pressioni e quindi dovranno essere riscritti molti libri di chimica.

Ricercatori di vari paesi, prendendo spunto dal fatto che l’elio potesse formare un composto metastabile HHeF, hanno usato metodi computazionali per poter predire l’esistenza di un composto tra elio e sodio valutandone la stabilità a pressioni elevate.

Da tali ricerche è emerso che il composto Na2He è termodinamicamente stabile a pressioni superiori a 115 GPa ovvero a pressioni di circa un milione di volte superiori a quella dell’atmosfera terrestre.

Gli scienziati hanno usato una cella a incudine di diamante DAC (Diamond anvil cell) dove si possono esercitare pressioni inusitate per poter sintetizzare il composto.

Da caratterizzazioni, avvenute, fra l’altro, tramite diffrazione ai raggi X si è trovato che il composto, che si comporta da isolante, ha una struttura a forma di scacchiera tridimensionale

Na2He

Questo composto che rimane stabile fino a 1000 GPa è un elettride ovvero un tipo di cristallo in cui sono presenti all’interno ioni e elettroni che fungono da anioni. Gli scienziati ritengono che anche il composto Na2HeO sia termodinamicamente stabile anche se non l’hanno ancora sintetizzato.

Questi risultati spingono gli scienziati verso nuove ricerche e inducono quanti coltivano interesse per la Chimica a comprendere che si potranno aprire nuove frontiere e che tanti concetti assunti come dogmi siano destinati a cadere.

Carbonilazione

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Le reazioni di carbonilazione sono quelle in cui si ottiene un composto carbonilico utilizzando, nella gran parte dei casi il monossido di carbonio.

Le reazioni di carbonilazione vengono utilizzate sia nell’ambito della chimica inorganica per ottenere metallo carbonili ovvero composti di coordinazione costituiti da metalli di transizione e da leganti di monossido di carbonio usati nelle sintesi organiche quali catalizzatori e quali precursori di altri complessi metallorganici che nell’ambito della chimica organica e industriale.

Tipiche combinazioni con il monossido di carbonio sono note per i metalli delle tre serie d (3d, 4d, 5d), nelle quali il metallo centrale è spesso caratterizzato da un guscio d incompleto, cioè da una configurazione elettronica dn con n che va da zero a 10. Esempi di metallo carbonili sono i metallo carbonili neutri della serie 3d: V(CO)6, Cr(CO)6, Mn2(CO)10, Fe(CO)5, Co2(CO)8, Ni(CO)4.

Per quanto riguarda la sintesi dei metallo carbonili, il nichel è il solo metallo che, finemente suddiviso e attivato, reagisce prontamente con CO per dare il corrispondente carbonile Ni(CO)4 in condizioni blande di temperatura e pressione.

Nella maggior parte degli altri casi, per preparare un composto metallocarbonilico si ricorre alla carbonilazione riduttiva in cui un sale, generalmente un cloruro o un ossido contenente il metallo viene trattato con il monossido di carbonio in presenza di un agente riducente costituito, ad esempio da alluminio, sodio o litio alluminio idruro. Un esempio è costituito dalla carbonilazione riduttiva in presenza di alluminio del cloruro di cromo (III):
CrCl3 + Al + 6 CO → AlCl3 + Cr(CO)6

In un tale tipo di reazione il metallo passa dal numero di ossidazione in cui è presente nel sale o nell’ossido a numero di ossidazione zero nel metallo carbonile.

Tra le reazioni organiche di carbonilazione nell’ambito della chimica organica vi è la reazione di idroformilazione delle olefine che consite nell’addizione di un idrogeno  (H- idro) e di un gruppo formil (CHO) ad un alchene. Costituisce un importante processo industriale in quanto porta alla formazione di un nuovo legame carbonio-carbonio convertibile in altri gruppi funzionali ed è uno degli esempi più importanti di catalisi omogenea.  Un esempio è costituito dalla reazione:

CH3-CH=CH2 + H2 + CO → CH3-CH2-CH2-CHO

in cui il propene viene trasformato in butanale.

Un’altra reazione di carbonilazione per la sintesi di acidi carbossilici è la reazione di Reppe la cui principale applicazione è nel processo Monsanto in cui dalla carbonilazione del metanolo si ottiene l’acido acetico:

CH3OH + CO → CH3COOH

Gli acidi carbossilici ramificati possono essere ottenuti sempre per carbonilazione tramite la reazione di Koch che avviene in ambiente acido a partire da un alchene ramificato. La reazione che avviene secondo un meccanismo di tipo carbocationico porta ad un acido carbossilico ramificato. Ad esempio dalla carbonilazione del 2-metilpropene si ottiene l’acido 2,2-dimetilpropanoico:

(CH3)2C=CH2 + CO + H2O → CH3C(CH3)2COOH

La reazione di Pauson-Khand costituisce una carbonilazione che si ha a partire da un alchino, un alchene e monossido di carbonio che dà luogo a una cicloaddizione:

reazione di Pauson-Khand

La reazione di carbonilazione di alogenuri arilici in presenza di palladio quale catalizzatore porta alla formazione di esteri, ammidi, aldeidi e chetoni

alogenuri arilici

 

Antiossidanti

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Un elemento chimico subisce una ossidazione quando aumenta il suo numero di ossidazione perdendo elettroni. Tipiche reazioni di ossidazione sono la combustione e la corrosione dei metalli, ossidazione di composti organici, e le ossidazioni biologiche che avvengono negli organismi viventi coinvolgendo spesso processi a più stadi con produzione di energia.

Nel corso dei processi metabolici in cui partecipa l’ossigeno o in seguito a stimoli esterni si formano le specie reattive all’ossigeno ROS acronimo di Reactive Oxygen species tra cui perossidi, superossidi e radicali idrossilici.

I ROS possono inoltre formarsi in seguito a stimoli esterni come stress, esposizione a raggi U.V., fumo di sigaretta, abuso di alcol, esposizioni a radiazioni ionizzanti, stili di vita scorretti, esposizione a sostanze chimiche, eccesso di attività agonistica.

Tra i ROS che possono provocare maggiori danni vi è lo ione superossido che si forma a seguito della riduzione dell’ossigeno che è il precursore di altre specie reattive:
O2 + 1 eO2
Dalla dismutazione del superossido che avviene secondo la reazione:

2 H+ + 2 O2 → H2O2 + O2

Si ottiene il perossido il quale può essere ridotto parzialmente a radicale idrossile secondo la reazione:

H2O2 + e → OH + OH

I radicali liberi, particolarmente reattivi, sono dei killer impietosi del benessere fisico e mentale in quanto sono in grado di danneggiare le cellule.

Essi possono infatti reagire con i doppi legami presenti nei lipidi della membrana cellulare portando alla formazione di perossidi lipidici che, essendo a loro volta reattivi, si propagano danneggiando la membrana cellulare.

I radicali inoltre ossidano i gruppi laterali degli amminoacidi presenti nelle proteine provocandone la degradazione con possibili ripercussioni patologiche.

Il danno maggiore dei radicali liberi è, tuttavia, a carico delle basi azotate presenti nel DNA che ne risulta così modificato con conseguente invecchiamento della cellula e danni al patrimonio genetico e rischio di insorgenza del cancro.

Gli antiossidanti sono specie in grado di contrastare l’azione lesiva dei radicali liberi inibendo o rallentando le reazioni di ossidazione.

In assenza di situazioni particolari l’organismo riesce a controllare l’attività di radicali liberi tramite antiossidanti endogeni sebbene gli antiossidanti possano essere assunti tramite una corretta alimentazione.

Gli antiossidanti vengono classificati come primari, secondari e terziari.

Gli antiossidanti primari prevengono la formazione di radicali liberi o convertendoli in molecole non dannose.

Ad esempio:

  • l’enzima superossido dismutasi catalizza la reazione 2 H+ + 2 O2 → H2O2 + O2
  • l’enzima glutatione perossidasi catalizza la reazione del perossido di idrogeno e dei perossidi lipidici in altre molecole prima della formazione di radicali liberi secondo la reazione 2 glutatione + H2O2 → glutatione disolfuro + H2O
  • l’enzima catalasi catalizza la conversione del perossido di idrogeno in ossigeno e acqua: 2 H2O2→ O2 + 2 H2O
  • proteine come la ferritina e la transferrina che contribuiscono alla difesa fornita dagli antiossidanti chelando i metalli di transizione e, nello specifico il ferro, e prevenendo l’effetto catalitico che questi forniscono alla produzione di radicali liberi.

Gli antiossidanti secondari catturano i radicali liberi prevenendo le tipiche reazioni a catena. Tra essi la vitamina E contenuta negli oli vegetali e in alcuni tipi di frutta secca, la vitamina C contenuta nei vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori, kiwi e agrumi, il β-carotene presente in certe verdure a foglia verde, bietola, spinaci e verza oltre che nelle carote, vitamina A presente nelle verdure a foglia verde in alcuni frutti come ciliegie e prugne.

Gli antiossidanti terziari riparano in modo diretto le molecole danneggiate dai radicali liberi, degradano le molecole ossidate con il mantenimento delle strutture di base non danneggiate e eliminano i prodotti danneggiati in modo irreversibile. Tra gli antiossidanti terziari si annoverano la DNA glicolasi,la perossidasi  e la metionina solfossido reduttasi.


Raccolta di gas sull’acqua. Esercizi

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Un gas non solubile o scarsamente solubile in acqua come l’idrogeno o l’ossigeno può essere raccolto sopra di essa.

Ad esempio dalla reazione tra zinco e acido cloridrico si ottiene idrogeno gassoso:
Zn(s) + 2 HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g)

L’idrogeno può essere raccolto disponendo di un’apparecchiatura come quella rappresentata in figura:

gas su acqua

In una beuta munita di tappo forato viene fatta avvenire la reazione e il gas viene fatto convogliare, tramite un apposito tubicino, in un recipiente contenente acqua. Un provettone riempito di acqua viene capovolto nell’acqua e il gas che si vuole raccogliere viene fatto gorgogliare in esso; non appena il gas entra nel tubo sposta l’acqua fin quando il provettone risulta pieno di gas.

Tale gas è saturato con il vapore acqueo che esercita una pressione parziale che dipende dalla temperatura ed è tabulata.

La pressione totale è data dalla somma della pressione parziale del gas e del vapore acqueo pertanto la pressione parziale del gas è data da:

pgas = ptotale – pvapore acqueo

Esercizi

  • Calcolare la massa di O2 a 23.0°C se 193 mL del gas sono stati raccolti sull’acqua con una pressione atmosferica di 762 mmHg. La pressione di vapore dell’acqua a 23.0°C è pari a 21.1 mm Hg

La pressione dell’ossigeno è pari a p = 762 – 21.1 = 740.9 mmHg

Esprimiamo la pressione in atm

p = 740.9 mmHg ( 1 atm/760 mmHg) = 0.975 atm

T = 23.0 + 273 = 296 K

Dall’equazione di stato dei gas n = pV/RT = 0.975 ∙ 0.193 L/0.08206 ∙ 296 =  0.00775

Massa di O2 = 0.00775 mol ∙ 32 g/mol = 0.248 g

  • Calcolare le moli di CO2 raccolte sull’acqua alla temperatura di 25.0 °C, alla pressione di 1.00 atm che occupano un volume di 27.7 mL. La pressione di vapore dell’acqua a 25.0°C è di 23.8 torr.

Convertiamo i torr in atmosfere:

p = 23.8 torr ( 1 atm/760 torr) = 0.0313 atm

la pressione di CO2 è pari a p = 1.00 – 0.0313 = 0.969 atm

T = 25.0 + 273 = 298 K

Dall’equazione di stato dei gas n = pV/RT = 0.969 ∙ 0.0277 L/0.08206 ∙ 298 =  0.00110

 

  • In un esperimento vengono raccolti sull’acqua 2.58 L di idrogeno alla temperatura di 20 °C quando la pressione è di 98.60 kPa. Trovare il volume che il gas occupa a STP. La pressione di vapore dell’acqua a 20°C è di 17.54 mm Hg

La pressione di vapore dell’acqua è pari a 17.54 mmHg ( 1 atm/760 mmHg) = 0.0233 atm

La pressione totale è di 98600 Pa (1 atm/101325 Pa) = 0.973 atm

La pressione di H2 è quindi pari a p = 0.973 – 0.0233 = 0.950 atm

T = 20 + 273 = 293 K

Dall’equazione di stato dei gas n = pV/RT = 0.950 ∙ 2.58 / 0.08206 ∙ 293 = 0.102

In condizioni standard 1 mole di gas occupa 22.4 L

Volume = 0.102 mol ( 22.4 L/mol) = 2.28 L

Si poteva pervenire allo stesso risultato utilizzando l’equazione combinata dei gas:

p1V1/T1 = p2V2/T2

A STP si ha che p = 1 atm e T = 273 K

Applicando l’equazione combinata dei gasi si ha:

V2= p1V1 T2/T1p2 = 0.950 ∙ 2.58 ∙ 273/293 ∙ 1 = 2.28 L

  • Un campione di 1.00 g di magnesio viene posto in 100 mL di una soluzione di acido cloridrico 0.123 M alla temperatura di 25.0°C. Calcolare il volume di idrogeno raccolto sull’acqua alla pressione di 755 mm Hg se alla temperatura alla quale viene condotta la reazione la pressione di vapore dell’acqua è di 24 mm Hg

La reazione bilanciata tra magnesio e acido cloridrico è:

Mg + 2 HCl → MgCl2 + H2

Per conoscere le moli di H2 prodotte dalla reazione dobbiamo sapere quale è il reagente limitante.

Moli di Mg = 1.00 g/24.305 g/mol=0.0411

Il rapporto stechiometrico tra Mg e HCl è di 1:2 pertanto le moli di HCl necessarie sono pari a 0.0411 ∙ 2 = 0.0822

Moli di HCl disponibili = 0.100 L x 0.123 M = 0.0123

Pertanto il reagente limitante è HCl e le moli di H2 prodotte, stante il rapporto tra HCl e H2 che è di 2:1 sono pari a 0.0123/2 = 0.00615

La pressione dell’idrogeno è pari a 755 – 24 = 731 mm Hg ovvero

p = 731 mm Hg ( 1 atm/760 mm Hg) = 0.962 atm

T = 25 + 273 = 298 K

Dall’equazione di stato dei gas:
V = nRT/p = 0.00615 ∙ 0.08206 ∙ 298/ 0.962 = 0.156 L

Acetato di piombo (II)

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L’acetato di piombo (II) detto anche zucchero di piombo o sale di Saturno il cui nome I.U.P.A.C. è dietanoato di piombo è un sale avente formula Pb(CH3COO)2 solubile in acqua, metanolo, etanolo e glicerolo e struttura

acetato di piombo

Essendo solubile in acqua l’acetato di piombo può essere usato per ottenere composti insolubili del piombo tramite reazioni di precipitazione.

Può essere ottenuto dalla reazione redox tra ossido di piombo (IV), perossido di idrogeno e acido acetico:

H2O2 + PbO2 + 2 CH3COOH → O2 + 2 H2O + Pb(CH3COO)2

o dalla reazione di scambio semplice tra acetato di rame (II) e piombo metallico:

Cu(CH3COO)2 + Pb → Cu + Pb(CH3COO)2

La caratteristica di molti sali di piombo che sono scarsamente solubili viene sfruttata per determinare in modo rapido e semplice il solfuro di idrogeno gassoso che si sviluppa sia nella lavorazione dell’olio grezzo ed è tossico anche a basse concentrazioni sia da microrganismi detti batteri solforiduttori.

Per una determinazione qualitativa del solfuro di idrogeno si trovano in commercio delle cartine imbevute di acetato di piombo che a contatto con il solfuro di idrogeno si colorano di nero a causa della formazione di solfuro di piombo secondo la reazione:

Pb(CH3COO)2 + H2S → 2 CH3COOH + PbS

Una reazione analoga viene sfruttata nei coloranti progressivi per capelli bianchi in quanto il piombo reagisce con lo zolfo contenuto nella cheratina dei capelli. La bassa quantità di acetato di piombo consente così una graduale colorazione dei capelli bianchi fino a raggiungere il risultato desiderato che va mantenuto successivamente con applicazioni meno frequenti. Tali coloranti, in genere preferiti dagli uomini, sono stati banditi dalla Comunità Europea ma sono ancora usati negli USA in quanto studi effettuati su persone che li utilizzano non avrebbero mostrato un aumento di piombo a livello ematico.

A dispetto del fatto che l’acetato di piombo è un sale, esso ha un sapore dolciastro e pertanto veniva utilizzato nell’antica Roma quale dolcificante in quanto lo zucchero non era ancora conosciuto. Esso veniva ottenuto facendo bollire e concentrare il mosto in pentole di piombo.

Stante la sua tossicità si ritiene che l’uso prolungato di questo dolcificante abbia causato l’avvelenamento di molte persone nel corso del tempo.

Reazioni di disidratazione

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Per disidratazione si intende una reazione che avviene con perdita di acqua. In chimica organica molte reazioni di disidratazione avvengono quando il reagente contiene un gruppo –OH come, ad esempio nel caso degli alcoli.

Il gruppo –OH è, tuttavia, un cattivo gruppo uscente pertanto è necessario operare in ambiente acido in modo che esso venga protonato per dare –OH2+ che è un buon gruppo uscente affinché possa verificarsi la reazione di disidratazione.

La reazione di disidratazione degli alcoli avviene tramite meccanismo E1: inizialmente il gruppo –OH viene protonato e successivamente si ha la fuoriuscita di acqua con formazione di un carbocatione che viene attaccato da una base o anche dall’acqua che rimuove un idrogeno in α al carbocatione con formazione di un doppio legame

disidratazione alcoli

Gli alcoli,ed in particolare metanolo e etanolo, inoltre danno luogo a una disidratazione intermolecolare per dare eteri simmetrici come il dietiletere che è un importante solvente industriale.

La reazione avviene a una temperatura di 130-140°C in presenza di acido solforico.

Nel  primo stadio della reazione avviene la protonazione dell’alcol; l’ossigeno alcolico di un’altra molecola di alcol dà luogo a una reazione di sostituzione nucleofila con fuoriuscita di acqua e formazione di un etere simmetrico protonato.

Una molecola di acqua deprotona l’intermedio con formazione dell’etere

formazione eteri

Le anidridi possono essere ottenute dalla reazione, a caldo, di due equivalenti di acido carbossilico in presenza di ossido di zinco

sintesi anidridi

Le ammidi primarie in presenza di un agente disidratante come P2O5 o POCl3 possono essere convertite in nitrili

nitrili

Nell’ambito delle chimica biologica vi sono due importanti reazioni che avvengono con perdita di una molecola d’acqua ovvero la formazione di un disaccaride ottenuto dalla condensazione di due monosaccaridi

disaccaride

e la formazione di un peptide a partire dalla condensazione di due amminoacidi

peptide

Molti polimeri di policondensazione vengono ottenuti, come il nylon per condensazione di due gruppi funzionali con eliminazione di una molecola d’acqua

nylon

In generale se due molecole si uniscono tra loro con eliminazione di una molecola di acqua si ha una sintesi per disidratazione mentre se la disidratazione avviene da una sola molecola si ha una reazione di disidratazione. Ad esempio la formazione di un disaccaride da due monosaccaridi e una sintesi per disidratazione mentre la conversione di un alcol in alchene è una reazione di disidratazione.

 

Tricloruro di azoto in piscina

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Il tricloruro di azoto meglio noto come tricloroammina è un liquido oleoso di colore giallo, irritante e dall’odore pungente, volatile e scarsamente solubile in acqua.

La molecola, avente formula NCl3, fu sintetizzata per la prima volta dal chimico francese Pierre Louis Petit nel 1812 facendo reagire ammonio cloruro e cloro:
NH4Cl + 3 Cl2 → NCl3 + 4 HCl

La tricloroammina è un forte ossidante che, se sottoposta a shock, frizione o temperature superiori a 57°C, dà luogo a una violenta reazione esplosiva:

2 NCl3 → N2 + 3 Cl2

Le conseguenze di tale reazione fecero perdere in due esperimenti successivi due dita e un occhio al suo scopritore mentre nel 1813 in una analoga esplosione Sir Humphry Dave subì danni temporanei alla vista cosa che lo indusse a continuare i suoi studi con Michael Faraday ma in una successiva esplosione rimasero entrambi feriti.

La triclorammina viene rinvenuta nell’aria delle piscine coperte con conseguenti problemi di carattere respiratorio e di irritazione degli occhi per quanti si trattengono in quel determinato ambiente.

Essa infatti si forma insieme alla monoclorammina e alla diclorammina  come prodotto della reazione tra il cloro e i suoi derivati usati quali disinfettanti nelle piscine e composti organici dell’azoto provenienti da urea, sudore, forfora e tessuti epiteliari.

Dalla reazione tra urea e acido ipocloroso si forma dapprima la monoclorammina secondo la reazione:

(NH2)2CO + 2 HClO → 2 NH2Cl + CO2 + H2O

La reazione della monoclorammina con l’acido ipocloroso porta alla formazione della diclorammina

NH2Cl + HClO → NHCl2 + H2O

La reazione tra diclorammina e HClO dà luogo alla formazione di triclorammina:
NHCl2 + HClO → NCl3 + H2O

La triclorammina è il più volatile tra questi composti e costituisce un inquinante dell’aria delle piscine.

La mono e diclorammina sono presenti nell’acqua della piscina in percentuali diverse a seconda del pH e nel range tipico dell’acqua della vasca 6.5-7.5 il 90% delle clorammine si trova sotto forma di monodiclorammina mentre la triclorammina si forma a pH < 4

La presenza elevata di triclorammina è quindi dovuta a un’altra reazione che avviene a pH intorno alla neutralità tra urea e acido ipocloroso con formazione di tetraclorourea:

(NH2)2CO + 4 HClO → (NCl2)2CO + 4 H2O

Dalla reazione tra tetraclorourea e acido ipocloroso si forma la tricloroammina:

(NCl2)2CO + 2 HClO → 2 NCl3 + CO2 + H2O

Stante i danni che questo composto può provocare una dei metodi per minimizzarne la quantità nell’aria è una corretta aerazione delle piscine coperte oltre che un’attenta analisi delle acque.

Cloruro di cobalto (II)

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Il cloruro di cobalto (II) in forma molecolare viene isolata in fase gassosa a circa 1000 K o, a basse temperature, in ambiente di argon o di azoto.

Misure ottenute tramite diffrazione elettronica mostrano che la molecola è di tipo lineare con una lunghezza di legame Co-Cl di 2.113 Å.

Il cloruro di cobalto si presenta sotto diverse colorazioni: se è anidro è di colore blu, se è biidrato di colore blu-violetto mentre se è esaidrato è di colore rosa.

Nella sua forma anidra il cloruro di cobalto che è un debole acido di Lewis ha una struttura in cui ogni ione cobalto è circondato da sei ioni cloruro mentre ogni cloruro è contornato da tre ioni cobalto

struttura cocl2

Il cloruro di cobalto anidro è igroscopico e tende in presenza di acqua a formare il complesso esaquocobalto (II)  di forma ottaedrica avente formula [Co(H2O)6]2+

esaidrato

Esso viene preparato a partire dal carbonato di cobalto (II) e acido cloridrico secondo la reazione:

CoCO3 +2 HCl + 5 H2O → [Co(H2O)6]Cl2 + CO2

Le molecole di acqua presenti nel complesso esaquocobalto (II) possono essere sostituite da ioni cloruro con formazione del complesso tetraclorocobaltato (II) [CoCl4]2- avente colorazione blu e struttura tetraedrica in cui 4 ioni cloruro sono legati ad uno ione cobalto:

tetraclorocobaltato

Per spiegare la diversa colorazione dei due complessi si fa ricorso alla teoria del teoria del campo dei leganti: infatti il colore dei composti di coordinazione dei metalli di transizione è dovuto alle transizioni elettroniche tra i diversi orbitali di tipo d.

L’acqua è un legante a campo forte maggiore rispetto al cloro e quindi produce una maggiore separazione tra i livelli energetici e quindi le differenze di energia tra l’energia dei diversi livelli elettronici sono più piccole nei complessi in cui è presente il cloro con conseguente diversità di colore.

Il complesso esaquocobalto (II) e il tetraclorocobaltato (II) sono in equilibrio tra loro:

[Co(H2O)6]2+  + 4 Cl ⇌ [CoCl4]2- + 6 H2O

Tale reazione di equilibrio ha una variazione di entalpia maggiore di zero quindi il processo è endotermico e la reazione avviene con assorbimento di calore.

Le variazioni di colore che si verificano possono essere previste applicando il Principio di Le Chatelier: ad esempio riscaldando la soluzione l’equilibrio si sposta a destra e quindi la soluzione appare blu; aggiungendo nitrato di argento con conseguente precipitazione del cloruro di argento sottrae ioni cloruro e l’equilibrio si sposta a sinistra e la soluzione appare rosa e aggiungendo HCl la soluzione torna a essere blu.

Il cloruro di cobalto esaidrato reagisce con la piridina in rapporto di 1:4 per dare un complesso ottaedrico di colore rosa secondo la reazione:

CoCl2∙ 6 H2O + 4 C5H5N → CoCl2(C5H5N)4 + 6 H2O

Il cloruro di cobalto forma inoltre con la piridina un complesso in rapporto 1:2; nella sua forma più stabile, a temperatura ambiente il complesso è di colore rosa e presenta una struttura di tipo polimerico con una coordinazione ottaedrica del cobalto:

complesso cobalto piridina

Alla temperatura di 120°C questo complesso in cui il cobalto è di tipo tetraedrico diventa di colore blu

Co(Py)2Cl2

Quando la temperatura ritorna a quella ambiente il complesso ritorna ad essere rosa.

Il cloruro di cobalto, che viene classificato come sostanza sospettata di essere cancerogena, viene utilizzato nelle sintesi organiche e, insieme al solfato di cobalto, per proteggere e indurire metalli tramite l’elettrodeposizione di cobalto.

Il cloruro di cobalto può essere usato nella formulazione di un inchiostro simpatico ovvero di un inchiostro che rimane invisibile finché non viene sottoposto ad un particolare trattamento. Nella fattispecie se si scrive con usando una soluzione di cloruro di cobalto esaidrato il tratto è reso evidente per riscaldamento diventando azzurro.

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