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Titanato di bario

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Il titanato di bario BaTiO3 è un composto inorganico sintetizzato per riscaldamento del biossido di titanio TiO2 e carbonato di bario BaCO3 che si presenta sotto forma di una polvere bianca a struttura perovskitica che varia a seconda della temperatura. Nella fase cubica, stabile tra i 120 e i 1460°C vi è un arrangiamento cubico compatto di Ba2+ e O2- con Ti4+ posti in siti ottaedrici.

A temperature comprese tra 5 e 120°C si presenta in forma tetragonale, tra – 90 e 5°C in forma ortorombica e a temperature inferiori a – 90°C in forma romboedrica.

strutture

Con il termine di perovskiti vengono indicati composti che hanno struttura ABO3 essendo, in genere, A un metallo alcalino-terroso e B un metallo di transizione come cobalto, titanio e manganese.

Il titanato di bario è un cristallo ferroelettrico ovvero dotato di elevatissima costante dielettrica e in cui permane una polarizzazione residua anche dopo la rimozione del campo elettrico esterno inducente.

Il fenomeno della ferroelettricità è stato scoperto in materiali monocristallini del sale di Rochelle nel 1921. Le due condizioni necessarie per classificare un materiale come ferroelettrico sono l’esistenza di polarizzazione spontanea e un riorientamento di polarizzazione. Le regioni polarizzate, con una singola direzione di polarizzazione, sono chiamati domini.

Il titanato di bario puro ha una resistività dell’ordine di 1012 Ω ∙ cm a temperatura ambiente e quindi si comporta da isolante elettrico. Se viene dopato con alcuni metalli come scandio, ittrio, neodimio e samario, il valore della resistività cala a 103 Ω ∙ cm. Il materiale dopato inizialmente ha una diminuzione della resistività all’aumento della temperatura fino alla temperatura di 120°C che costituisce, per il titanato di bario, il punto di Curie.

A questa temperatura la resistività aumenta rapidamente all’aumentare della temperatura fino a raggiungere un valore massimo che varia a seconda del dopante aggiunto ed è di circa quattro volte rispetto a quello trovato a temperatura ambiente per poi decrescere nuovamente.

Per queste sue caratteristiche il titanato di bario può essere utilizzato nei dispositivi switching ovvero quei dispositivi in grado di aprire o chiudere uno o più circuiti elettrici. Inoltre il titanato di bario viene usato nei termistori ovvero resistori in cui il valore della resistenza varia al variare della temperatura.

Il titanato di bario esibisce inoltre l’effetto fotorifrattivo per il quale, se esposto alla luce si verifica una variazione locale dell’indice di rifrazione. Questa proprietà della luce può essere utilizzata per realizzare degli strumenti ottici come gli specchi a coniugazione di fase, i calcolatori ottici, gli interruttori ottici, gli ologrammi dinamici e, soprattutto, le memorie olografiche.

Il titanato di bario presenta il fenomeno della piezoelettricità per il quale se si esercita una pressione, lungo una opportuna direzione, si produce una separazione di cariche elettriche, positive da una parte e negative dall’altra.

Il titanato di bario è insolubile in acqua e in alcali ma è solubile in molti acidi tra cui l’acido cloridrico e si solubilizza completamente in acido fluoridrico e acido solforico.


Terre rare

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Con il nome di terre rare si intende un gruppo di 17 elementi costituiti dai lantanoidi oltre all’ittrio e allo scandio

terre rare

Nonostante il nome questi elementi non sono rari e i loro composti sono relativamente abbondanti sulla crosta terrestre e sono più comuni rispetto all’argento, all’oro o al platino mentre il cerio, l’ittrio, il neodimio e il tantalio sono più comuni rispetto al piombo. Il lutezio e ancora più il tulio sono gli elementi meno abbondanti sulla crosta terrestre e sono i più rari di tutti.

Le terre rare sono classificate in terre rare leggere dette LREEs (Light Rare Earth Elements) ovvero lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, samario ed europio e in terre rare pesanti HREEs (Hight Rare Earth Elements). Sebbene l’ittrio sia il più leggero tra i metalli delle terre rare esso viene classificato come HREEs in quanto presenta caratteristiche comuni con i metalli appartenenti a questa categoria.

Nonostante la loro abbondanza relativamente elevata le terre rare sono difficilmente isolabili in quanto presentano comportamento chimico e fisico simile tra loro.

Solo tecniche piuttosto recenti risalenti agli anni cinquanta dello scorso secolo quali scambio ionico, cristallizzazione frazionata e estrazione liquido-liquido hanno reso possibile l’estrazione dei singoli metalli.

Le terre rare non si rinvengono allo stato naturale e tutti i minerali che li contengono sono costituiti da più elementi appartenenti a questa categoria unitamente ad altri metalli e non metalli.

Circa il 95% delle terre rare sono contenute nei minerali bastnasite e monazite presenti prevalentemente in Cina, nazione che detiene il 50% della produzione mondiale di terre rare.

I metalli delle terre rare detti dai giapponesi i semi della tecnologia costituiscono gli elementi essenziali per i prodotti high tech; essi infatti vengono usati nei superconduttori, magneti, come componenti di veicoli ibridi, nei laser e fibre ottiche e quali catalizzatori.

Pur mostrando caratteristiche simili i vari metalli trovano utilizzi specifici e spesso diversi tra loro.

Lo scandio viene usato con l’alluminio per produrre leghe che mostrano resistenza e duttilità usate per attrezzature sportive. Lo ioduro di scandio viene addizionato alle lampade a vapori di mercurio per ottenere una luce simile a quella solare.

L’ittrio viene usato principalmente sotto forma di ossido che è il composto più importante per ottenere i fosfori usato per generare il colore rosso nei tubi catodici.

Il lantanio è utilizzato nelle lenti di fotocamere e telescopi e nelle illuminazioni a carboni, soprattutto nell’industria cinematografica per l’illuminazione di teatri di posa e proiezione di pellicole.

Il cerio viene utilizzato nei convertitori catalitici delle automobili consentendo il funzionamento ad elevate temperature e giocando un ruolo cruciale nelle reazioni chimiche che avvengono nel convertitore. Il cerio unitamente al lantanio sono utilizzati nel processo di raffinazione del petrolio grezzo.

Il praseodimio è utilizzato quale legante del magnesio in leghe usate in campo aeronautici ed è un componente di un vetro speciale usato nelle visiere degli occhiali per saldatori.

Il neodimio è usato per la fabbricazione di magneti potenti consentendo loro di essere più piccoli e maggiormente efficienti. Magneti contenenti neodimio vengono utilizzati per la produzione di turbine eoliche e auto ibride.

Il promezio viene usato in batterie nucleari in cui fotocellule convertono la luce in corrente elettrica e come fonte luminosa per segnali ad alta affidabilità

Il samario viene usato per leghe speciali, per assorbire i neutroni in reattori nucleari e insieme al cobalto per produrre magneti permanenti ad elevata resistenza alla smagnetizzazione.

L’europio viene usato quale dopante di alcuni materiali vetrosi per la realizzazione di laser e combinato con altri elementi come gallio, stronzio, zolfo, alluminio e bario, per ottenere inchiostri anti-contraffazione.

Il gadolinio viene usato per la produzione di CD e di dispositivi per memoria di computer ed inoltre suoi composti vengono utilizzati quali mezzo di contrasto nella diagnostica per immagini.

Il terbio viene usato per dopare materiali usati nei transistor ed altri componenti elettronici come il fluoruro di calcio, in leghe metalliche e, sotto forma di ossido per la preparazione di fosfori verdi nelle lampade a fluorescenza e degli schermi televisivi.

Il disprosio viene impiegato  nei magneti a base di neodimio, anche chiamati supermagneti e nelle barre di controllo dei reattori nucleari e nella produzione di CD.

L’olmio trova impiego per produrre i più intensi campi magnetici artificiali, barre di controllo per reattori nucleari e nei materiali usati per la realizzazione di laser a microonde. Sotto forma di ossido viene usato per ottenere vetri usati come standard di calibrazione della lunghezza d’onda per gli spettrofotometri ottici.

L’erbio è usato per amplificare i segnali trasmessi da fibre ottiche, nella tecnologia nucleare come assorbitore di neutroni e, aggiunto al vanadio, l’erbio ne abbassa la durezza e ne migliora la lavorabilità. Sotto forma di ossido è utilizzato come colorante rosa per vetri e porcellane.

Il tulio è molto costoso e questo ne limita le applicazioni: tra i pochi usi c’è quello della realizzazione di laser che hanno la caratteristica di funzionare bene anche ad alte temperature.

L’itterbio viene usato come additivo all’acciaio inossidabile per migliorarne la grana, la forza ed altre proprietà reologiche e come spia per monitorare deformazione del suolo causate da terremoti o esplosioni.

Il lutezio trova principalmente impiego in catalizzatori per il cracking del petrolio e per reazioni di alchilazione, idrogenazione e polimerizzazione.

Zinco

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Lo zinco è un metallo del blocco d appartenente al 4 Periodo e al 12° Gruppo con numero atomico 30 e configurazione elettronica [Ar] 3d10, 4s2.

Viene spesso impropriamente classificato come un metallo di transizione tuttavia un metallo di transizione viene definito come un elemento che può dare uno o più ioni che presentano un orbitale d incompleto.

Tuttavia quando lo zinco ionizza perde due elettroni formando uno ione che ha configurazione elettronica [Ar] 3d10 che ha l’orbitale d pieno e pertanto non rientra nei metalli di transizione.

Sin dai tempi antichi lo zinco è stato usato, unitamente al rame per ottenere l’ottone riscaldando rame, ossido di zinco e carbone. Lo zinco formatosi per riduzione del suo ossido andava a costituire la lega e quindi il metallo non era riconosciuto come tale.

Fu solo nel XV secolo che a Zawar nel Rajasthan in India fu ottenuto per la prima volta lo zinco  a partire dal minerale calamina. Nel mondo occidentale fu il chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf nel 1746 che ottenne lo zinco riscaldando la calamina in presenza di carbone.

I minerali da cui viene estratto lo zinco sono in prevalenza la sfalerite dove lo zinco è contenuto sotto forma di solfuro ZnS e la calamina dove è contenuto sotto forma di carbonato ZnCO3.

Per ottenere lo zinco metallico il solfuro di zinco viene ossidato a ossido di zinco secondo la reazione:

2 ZnS + 3 O2 → 2 ZnO + 2 SO2

Mentre il carbonato di zinco subisce una decomposizione termica secondo la reazione:

ZnCO3 → ZnO + CO2

L’ossido di zinco viene successivamente ridotto a zinco metallico per via termica o per via elettrolitica.

Lo zinco metallico appena ottenuto ha un colore bianco-azzurro ma in breve tempo si ossida all’aria assumendo il tipico colore grigio. La reazione con l’aria passiva lo zinco con formazione di carbonato basico di zinco

Zn5(HO)6(CO3)proteggendolo a lungo. Per questo motivo lo zinco viene usato nei trattamenti protettivi di altri metalli ed in particolare per l’acciaio specie dall’industria automobilistica tramite il processo di zincatura.

La zincatura può essere effettuata in modi diversi: uno dei metodi è quello elettrochimico per elettrodeposizione.

Il materiale da proteggere che costituisce il catodo viene immerso in una soluzione contenente sali di zinco in cui sono poste barre di zinco puro. Alla chiusura del circuito lo ione zinco si riduce a zinco metallico depositandosi sulla superficie del materiale da proteggere mentre l’anodo di zinco si ossida andando a ripristinare la concentrazione dello ione zinco in soluzione. In questo modo si ottiene un’adesione superficiale dello zinco sul materiale da proteggere.

Lo zinco che ha un reticolo cristallino esagonale compatto è duttile e malleabile, ma in presenza di impurità diventa fragile.

Lo zinco viene attaccato dagli acidi con formazione di ioni zinco e idrogeno gassoso:

Zn(s) + 2 H+(aq) → Zn2+(aq)+ H2(g)

Lo zinco reagisce con gli alogeni per dare composti binari aventi formula ZnX2 che sono degli acidi di Lewis.

Lo ione zinco reagisce con le basi per dare un precipitato bianco di idrossido di zinco secondo la reazione:

Zn2+(aq) + 2 OH(aq)→ Zn(OH)2(s)

In eccesso di base l’idrossido si solubilizza per la formazione del tetraidrossizincato:

Zn(OH)2(s) + 2 OH(aq)→ Zn(OH)42- (aq)

Lo zinco forma numerosi composti dove presenta numero di ossidazione +2 e, avendo un potenziale normale di riduzione pari a – 0.76 V, è un riducente.
Tra essi:

1) l’ossido di zinco ZnO di colore bianco usato come pigmento e come additivo in moltissimi materiali, riveste una grande importanza anche come semiconduttore ed è pertanto usato per ottenere LED. Allo stato cristallino l’ossido di zinco mostra piezoelettricità ed è inoltre termocromico cambiando colore dal bianco al giallo se riscaldato e ritornando al colore bianco quando viene raffreddato.

2) il solfuro di zinco ZnS esiste in due forme cristalline ed è un esempio di polimorfismo. Quando è puro è bianco e trasparente e quindi viene usato come pigmento ma trova applicazione anche come materiale luminescente per fosfori, come semiconduttore e per materiali ottici

3) il cromato di zinco ZnCrO4 di colore giallo è usato come rivestimento protettivo sul ferro e su leghe di alluminio ed inoltre stante la sua tossicità elimina la possibilità di crescita di materiale organico sulle superfici trattate.

4) il solfato di zinco ZnSO4 viene usato come concime in quanto lo ione zinco catalizza la fotosintesi clorofilliana ed è importante per la formazione del triptofano, precursore della sintesi dell’acido indolacetico, sostanza prodotta dalle piante che regola i processi di accrescimento e riproduzione.

Viene usato in medicina sia per via esterna per combattere patologie dermatologiche che per via interna per integrare carenze di zinco nell’organismo. Lo zinco riveste infatti un ruolo essenziale per la salute: è essenziale per la crescita, lo sviluppo del cervello, la protezione della pelle, il corretto funzionamento del sistema immunitario, la digestione, la riproduzione, il gusto, l’olfatto e molti altri processi naturali.

Lo zinco è presente in molti alimenti come pesce, carne, cereali, frutta secca, cacao, lievito e cioccolata ma un’alimentazione scorretta può portare a carenza di zinco.

Il solfato di zinco, unitamente a quello di sodio e all’acido solforico costituisce uno dei composti usati nel bagno di filatura del processo alla viscosa per la sintesi del rayon

5) il molibdato di zinco ZnMoO4 di colore bianco viene utilizzato quale inibitore della corrosione nelle vernici e negli adesivi

Lo zinco forma complessi sia cationici come l’esammino zinco [Zn(NH3)6]2+ che anionici come il tetraciano zincato [Zn(CN)4]2- , è presente nelle metalloproteine e forma composti organozinco

Batterie Zinco/Ossido di argento

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Le batterie zinco/Ossido di argento sono pile con un’elevatissima energia specifica riferita al volume, hanno una scarica stabile e sono in grado di conservare la carica a più del 90% rispetto a quella iniziale dopo un anno di immagazzinamento a circuito aperto.

Grazie a queste caratteristiche vengono utilizzate per dispositivi miniaturizzati e vengono commercializzate sotto forma di pile a bottone nelle calcolatrici, orologi da polso, orologi al quarzo, apparecchi acustici, termometri clinici elettrici e altre applicazioni simili che richiedono batterie di piccole dimensioni e di lunga durata e per le loro caratteristiche sono state utilizzate nei veicoli spaziali tra cui il Modulo Lunare Apollo e i rover lunari. Batterie di grosse dimensioni vengono utilizzate dalle forze armate statunitensi per alimentare i sottomarini.

Le batterie Zinco/Ossido di argento hanno un voltaggio di 1.55 V e sono costituite da un anodo di polvere di zinco mescolata a un agente gelificante, un catodo di ossido di argento a cui è stata aggiunta grafite per migliorare la conducibilità e un elettrolita come idrossido di potassio per batterie ad alto assorbimento e idrossido di sodio per batterie a basso assorbimento.

Le reazioni che avvengono sono:

all’anodo: Zn + 2 OH → ZnO + H2O + 2 e

al catodo: Ag2O +  H2O + 2 e→ 2 Ag + 2 OH

Zn + Ag2O → ZnO + 2 Ag

Le batterie Zinco/Ossido di argento sono batterie primarie ovvero non ricaricabili in quanto le reazioni che avvengono nella cella non sono reversibili e quindi il loro funzionamento è limitato fino a quando i reagenti presenti non si esauriscono.

Alogeni

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Gli alogeni sono elementi non metallici appartenenti al Gruppo 17 della Tavola Periodica dotati di elevata reattività. Gli elementi costituenti questo gruppo sono: fluoro, cloro, bromo, iodio, astato e  Tennessine.

Il termine alogeno fu proposto dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius nel 1842 deriva dal greco –ἅλς e γεν- che significa formatore di sali.

E’ l’unico Gruppo della Tavola Periodica in cui sono presenti elementi allo stato gassoso (fluoro e cloro), liquido(bromo) e solido (iodio, astato e tennessine).

La chimica degli alogeni è limitata ai primi 4 elementi del gruppo stante la radioattività degli ultimi due che hanno marcata radioattività e tempi di dimezzamento molto bassi.

Gli alogeni, allo stato elementare formano molecole biatomiche di tipo covalente puro in cui gli elementi sono legati tra loro tramite un legame semplice, mentre nei sali gli alogeni si trovano come ioni alogenuro F, Cl, Br, I.

Gli ioni fluoruro vengono rinvenuti in natura nei minerali fluorite sotto forma di CaF2 e criolite Na3AlF6, gli ioni cloruro nei minerali halite sotto forma di NaCl, silvite sotto forma di KCl e carnallite sotto forma di KMgCl3·6(H2O) nonché nei mari e ni oceani. Gli ioni bromuro e ioduro sono presenti in piccola quantità nell’acqua di mare.

Scendendo dall’alto verso il basso lungo il gruppo  il colore delle molecole biatomiche diviene via via più scuro: il fluoro è praticamente incolore, il cloro è giallo-verde, il bromo rosso-marrone e i cristalli di iodio viola scuro.

L’energia di ionizzazione, l’elettronegatività e la potere ossidante diminuisce scendendo dall’alto verso il basso lungo il gruppo mentre il potere riducente degli alogenuri diminuisce dal basso verso l’alto.

Potere ossidante:  F2 > Cl2 > Br2 > I2

Potere riducente: I > Br > Cl > F

Gli alogeni possono essere ottenuti facendo reagire una soluzione contenente un alogenuro con un alogeno avente maggiore potere ossidante; ad esempio:

2 I  + Br2 → I2 + 2 Br

Il bromo infatti fu ottenuto dal chimico francese Antoine Jérôme Balard nel 1826 facendo reagire ioni bromuro con una soluzione contenente Cl2 secondo la reazione:

2 Br  + Cl2 → Br2 + 2 Cl

Per ottenere il cloro è tuttavia necessario un agente ossidante particolarmente forte come il biossido di manganese:

2 Cl  + MnO2 + 4 H+ → Cl2 + Mn2+ + 2 H2O

Il metodo migliore per ottenere il cloro gassoso è comunque quello elettrolitico; il cloro può essere ottenuto dall’elettrolisi del cloruro di sodio fuso:

2 NaCl → 2 Na + Cl2

La sintesi del fluoro avvenne molto più tardi sia per la difficoltà di trovare un ossidante sufficientemente forte da far avvenire la semireazione di ossidazione 2 F → F2 sia per il fatto che sia il fluoro che il fluoruro di idrogeno sono molto tossici. Fu solo nel 1886 che il chimico francese Francis Ferdinand Moissan mise a punto un metodo industriale per l’ottenimento del fluoro per elettrolisi di una miscela di KHF2:

2 KHF2 → H2 + F2 + 2 KF

Gli tutti gli alogeni formano acidi binari forti ad eccezione dell’acido fluoridrico che è un acido debole; il fluoro, che è l’elemento più elettronegativo ha sempre e solo numero di ossidazione -1, mentre gli altri elementi presentano numeri di ossidazione -1, +1, +3, +5 e +7 in quanto il fluoro non può avere un’espansione della sfera di valenza al contrario degli altri alogeni che, avendo orbitali d vuoti possono dare tale tipo di espansione.

Esempi di composti degli alogeni con i diversi numeri di ossidazione sono riportati in tabella:

Composto Numero di ossidazione dell’alogeno
HCl, KF, NaBr, LiI -1
F2, Cl2, Br2, I2 Zero
HClO, HBrO +1
HClO2, Cl2O3 +3
HClO3, Cl2O5 +5
HClO4, HIO4 +7

Gli alogeni possono legarsi tra loro detti interalogeni che sono composti molecolari, diamagnetici, ossidanti e spesso instabili ottenuti per reazione degli alogeni stessi:
Br2 + Cl2 → 2 BrCl

Cl2 + 3 F2 → 2 ClF3

Il cloro in ambiente basico dà una reazione di disproporzione con ottenimento di cloruro e ipoclorito:

Cl2 + 2 OH → Cl + ClO + H2O

Se la reazione avviene a caldo si ottiene cloruro e clorato:

3 Cl2 + 6 OH → 5 Cl + ClO3 + 3  H2O

In determinate condizioni una miscela di clorato e ipoclorito dà luogo alla formazione di clorito secondo una reazione di comproporzione:

ClO3 + ClO  → 2 ClO2

Secondo i potenziali standard di riduzione né lo iodio, né il bromo possono ossidare l’acqua ad ossigeno mentre il fluoro e il cloro che hanno potenziali di riduzione maggiori ossidano l’acqua. Il fluoro reagisce con l’acqua secondo la reazione:

2 F2 + 2 H2O → 4 HF + O2

Il cloro reagisce meno vigorosamente secondo la reazione:

Cl2 + 2 H2O → H+ + Cl + HClO

Gli alogeni reagiscono con i metalli alcalini per produrre sali ionici e solubili in acqua secondo la reazione:

2 M + X2 → 2 MX

Essendo M un metallo alcalino e X2 un alogeno.

Gli alogeni reagiscono con i metalli alcalino terrosi per produrre sali ionici ad eccezione di quelli del berillio secondo la reazione:

Me + X2 →  MeX2

Essendo M un metallo alcalino terroso e X2 un alogeno.

Gli alogeni reagiscono con gli elementi del gruppo 13 per formare composti del tipo MX3 dove M è un elemento del gruppo 13. In particolare BF3 è un acido di Lewis e AlX3 assume una struttura dimerica.

Gli alogeni formano composti con gli elementi del gruppo 14 aventi formula generale MX4. Il silicio reagisce con gli alogeni per dare composti del tipo SiX4: a temperatura ambiente SiF4 è un gas incolore, SiCl4 così come SiBr4 sono liquidi incolori mentre SiI4 forma cristalli.

I due metalli presenti nel gruppo 14 formano con gli alogeni sia composti come MeX2 che MeX4.

Gli alogeni formano composti con gli elementi del gruppo 16.

Lo zolfo reagisce direttamente con tutti gli alogeni ad eccezione dello iodio; in particolare lo zolfo si combina spontaneamente con il fluoro per dare l’esafluoruro di zolfo SF6 che è un gas incolore e poco reattivo o il tetrafluoruro di zolfo SF4 che è un gas tossico usato come agente fluorurante molto energico e selettivo.

Dalla reazione tra il tetrafluoruro di zolfo e il tricloruro di boro si ottiene il dicloruro di zolfo che è un liquido rosso utilizzato nella produzione del gas mostarda:

3 SF4 + 4 BCl3 → 4 BF3 + 3 SCl2 + 3 Cl2

Il fluoro si combina con l’ossigeno per dare due composti OF2 e O2F2 in cui l’ossigeno ha numero di ossidazione +1.

Gli alogeni si combinano con l’ossigeno per dare ossidi acidi: in particolare il cloro dà 4 tipi di ossidi: Cl2O, Cl2O3, Cl2O5 e Cl2O7.

Gli alogeni, ad eccezione del fluoro, danno acidi ternari noti come ossiacidi in cui presentano diversi numeri di ossidazione come il cloro che dà HClO, HClO2, HClO3 e HClO4.

Gli alogeni sono inoltre presente in molti composti organici come alogenuri alchilici, alogenuri arilici e alogenuri acilici.

Composti perfluorurati

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I composti perfluorurati (PFC) sono costituiti da catene carboniose in cui gli atomi di carbonio sono legati solo ad atomi di fluoro. Quindi così come gli alcani hanno formula generale CnH2n+2 i composti fluorurati detti anche fluorocarburi o perfluorocarburi hanno formula generale CnF2n+2.

Sono composti sintetici ottenuti già dal 1950 e rappresentano un gruppo di sostanze organiche con caratteristiche uniche e dai molteplici utilizzi.

Stante la forza del legame carbonio-fluoro mostrano inerzia chimica e stabilità termica e trovano applicazione sia al livello industriale che in una vasta gamma di prodotti di consumo a causa delle loro straordinarie proprietà come idrorepellenza, antiaderenza, resistenza al fuoco, alle alte temperature e agli agenti atmosferici.

Trovano utilizzo come componenti di agenti antincendio, come finissaggio di tessuti usati nelle uniformi militari, ma anche nell’abbigliamento sportivo, additivi per l’olio del motore, vernici, liquidi di raffreddamento, inchiostri e prodotti idrorepellenti.

I composti perfluorati sono stati inizialmente ottenuti tramite reazione tra il fluoro e l’idrocarburo sebbene potessero essere ottenuti solo gli omologhi inferiori ovvero il tatrafluorometano CF4, l’esafluoroetano C2F6 e l’ottafluoropropano C3H8 in quanto gli omologhi superiori nelle condizioni di reazione si decomponevano

sintesi

Quando fu condotto il progetto Manhattan che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche nel corso della Seconda Guerra Mondiale si resero necessari liquidi di raffreddamento opportuni adatti ad entrare in contatto con l’esafluoruro di uranio.

Nei laboratori della DuPont il chimico Fowler realizzò la produzione di composti perfluorurati per reazione in fase vapore del fluoruro di cobalto (III) con l’idrocarburo.

Il processo avviene in due stadi: nel primo stadio avviene una reazione di sintesi tra il fluoruro di cobalto (II) e il fluoro con ottenimento del fluoruro di cobalto (III)

2 CoF2 + F2 → 2 CoF3

Nel secondo stadio viene alimentato l’idrocarburo che reagisce con il fluoruro di cobalto (III) secondo la reazione:

C6H14 + 28 CoF3 → C6F14 + 14 HF + 28 CoF2

Impropriamente chiamati fluorocarburi vi sono derivati dei fluorocarburi ovvero composti che contengono anche altri elementi oltre a fluoro e carbonio.

Tra essi gli acidi perfluorocarbossilici (PFCAs) e i perfluoroalchilsolfonati  ed in particolare il perfluoroottansolfonato (PFOS) che era adoperato nei prodotti antimacchia.

Viene pertanto fatta una classificazione tra composti a catena lunga e composti a catena corta sulla base delle differenze di tossicità e di bioaccumulo.

Per composti a catena lunga (LC PFC) si intendono acidi perfuorocarbossilici con un numero di atomi di carbonio pari a  8 o maggiori di 8 e i perfluoroalchilsolfonati  con un numero di atomi di carbonio pari a  6 o maggiori di 6.

La presenza di LC PFC, per la loro persistenza nell’ambiente, la loro tossicità e il loro bioaccumulo che aumenta all’aumentare del numero di atomi di carbonio presenti nella catena rende questi composti particolarmente pericolosi. Essi infatti possono cagionare gravi problemi alla salute tra cui cancro e danni al sistema immunitario.

Negli USA questi composti sono stati rinvenuti nell’acqua potabile e, secondo recentissime scoperte, sono stati trovati addirittura negli alligatori americani e nei coccodrilli africani.

Sarebbe  quindi fare nuove ricerche per ottenere composti con caratteristiche paragonabili ai fluorocarburi che non hanno un impatto ambientale.

 

Voltametro di Hofmann

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Il voltametro di Hofmann è un dispositivo ideato nel 1866 dal chimico tedesco August Wilhelm von Hofmann noto per il suo contributo allo sviluppo delle tecniche di sintesi organica.

Il voltametro di Hofmann fu concepito per lelettrolisi dell’acqua sebbene possa essere utilizzato per l’elettrolisi dell’ammoniaca e dell’acido cloridrico.

L’elettrolisi dell’acqua consiste in una reazione di decomposizione in idrogeno e ossigeno molecolare secondo la reazione:

2 H2O → 2 H2 + O2

Tale reazione non è spontanea e ha un potenziale standard di – 1.23 V ed è quindi necessaria una differenza di potenziale di + 1.23 V per realizzarla sebbene, a causa di sovratensioni, è necessaria una d.d.p. maggiore.

L’acqua ha un basso valore della costante di autoionizzazione pertanto l’acqua pura è un cattivo conduttore.

Si usa quindi aggiungere all’acqua un elettrolita forte in modo che la conduttività aumenti; bisogna, tuttavia che l’elettrolita non contenga cationi che possano competere con la riduzione dello ione H+ e quindi vengono usati cationi che hanno un potenziale normale di riduzione inferiore a quello dello ione H+ ovvero, ad esempio ioni dei metalli alcalini e alcalino-terrosi. In genere viene usato l’acido solforico o l’idrossido di sodio o di potassio o il solfato di sodio.

Al catodo avviene la semireazione di riduzione:

4 H+(aq) + 4 e→ 2 H2(g)

All’anodo avviene la semireazione di ossidazione:

2 H2O(l) → O2(g)+ 4 H+(aq) + 4 e

Il voltametro di Hofmann è costituito da tre tubi di vetro connessi da un ponte che si trova in prossimità delle loro basi. Il tubo centrale viene usato per riempire il dispositivo con acqua e una minima quantità dell’elettrolita scelto.

voltametro

Alla base di ciascuno degli altri tubi è presente un elettrodo di platino collegati ad un alimentatore di corrente continua e si osserverà, in corrispondenza di ciascuno dei due elettrodi la formazione di un gas che si raccoglie all’estremità dei due tubi graduati.

Il voltmetro di Hofmann può essere utilizzato per l’elettrolisi dell’acqua in laboratorio ma ha anche una grande valenza didattica per le risultanze sperimentali facilmente osservabili.

Infatti dalla reazione di elettrolisi dell’acqua si ha che in condizioni ideali si sviluppa un volume di idrogeno che è il doppio rispetto a quello di ossigeno stante il rapporto stechiometrico di 2:1

La formazione dell’idrogeno può essere verificata aprendo il rubinetto in corrispondenza del catodo e avvicinando un fiammifero acceso. Si noterà che il gas che fuoriesce si incendia provocando un piccolo scoppiettio.

Autoionizzazione dell’acqua

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L’acqua ha un comportamento anfotero infatti in presenza di un acido agisce da base secondo Bronsted-Lowry accettando uno ione H+ e in presenza di una base agisce da acido secondo Bronsted-Lowry donando uno ione H+:

acido-base

Nell’acqua pura una molecola di acqua può agire come base accettando uno ione H+ da una seconda molecola di acqua che agisce da acido con formazione di uno ione H3O+ e di uno ione OH.

autoionizzazione

Lo ione H3O+ è l’acido coniugato e lo ione OH è la base coniugata dell’acqua e sono entrambi forti; non appena si formano essi reagiscono nuovamente per dare acqua secondo l’equilibrio:

2 H2O(l) ⇌ H3O+(aq) + OH(aq)

Spesso questo equilibrio di autoionizzazione dell’acqua viene semplificato come:

H2O(l) ⇌ H+(aq) + OH(aq)

La costante di equilibrio, indicata con il simbolo Kw, alla temperatura di 25°C ha un valore di 1.00 ∙ 10-14

Kw = [H3O+][ OH] = 1.00 ∙ 10-14

Poiché il rapporto stechiometrico tra [H3O+] e [ OH] è di 1:1 ciò implica che [H3O+]=[ OH]. Detta x la concentrazione di H3O+ e quindi detta x la concentrazione di OH si ha:

Kw = [H3O+][ OH] = 1.00 ∙ 10-14 = (x)(x) = x2

pertanto a 25°C [H3O+]=[ OH] = √ 1.00 ∙ 10-14 = 1.00 ∙ 10-7 M

A 25°C il pH dell’acqua così come il pOH assumono entrambi valore pari a 7.00.

I valori delle costanti di equilibrio rimangono costanti a temperatura costante e variando la temperatura varia il loro valore. Nello specifico stante l’importanza dell’acqua sono stati ottenuti i valori di Kw  a diverse temperature come da tabella:

T °C Kw (mol2/dm3)
0 1.14 ∙ 10-15
10 2.93 ∙ 10-15
20 6.81 ∙ 10-15
25 1.00 ∙ 10-14
30 1.47 ∙ 10-14
40 2.92 ∙ 10-14
50 5.48 ∙ 10-14
100 5.13  ∙ 10-13

 

Secondo i dati riportati in tabella quindi a 100 °C si ha:

Kw = 5.13  ∙ 10-13 = [H3O+][ OH] = x2

Pertanto x = [H3O+]=[ OH] = √ 5.13  ∙ 10-13 = 7.16 ∙ 10-7 M

Da cui pH = 6.14


L’argento come catalizzatore

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Grazie alle sue proprietà chimiche l’ argento viene usato come catalizzatore nelle reazioni di ossidazione per la sintesi industriale di importanti prodotti chimici.

Tra le reazioni catalizzate dall’argento vi è la produzione della formaldeide a partire dal metanolo in un processo di ossidazione:

CH3OH(g) + ½ O2(g)→ H2CO(g) + H2O (g)   ΔH° = – 159 kJ/mol

Se la reazione viene condotta a una temperatura superiore a 650°C alla reazione di ossidazione si accompagna anche quella di deidrogenazione

CH3OH(g) → H2CO(g) + H2(g)    ΔH° = + 84 kJ/mol

Quest’ultima è una reazione endotermica e il calore necessario viene fornito dalla combustione dell’idrogeno prodotto. Il metanolo, sotto forma di vapore, alla temperatura di circa 700°C e a una pressione di poco superiore a quella atmosferica viene fatto passare su argento finemente suddiviso e la formaldeide prodotta viene assorbita dal vapore acqueo.

La formaldeide è il precursore di molti materiali polimerici tra cui:

  • la resina urea formaldeide usata negli adesivi, rivestimenti, pannelli truciolari e in campo agricolo per il rilascio dell’azoto con flusso lento e continuo
  • la resina melamminica ottenuta per policondensazione della formaldeide con la metilammina. Questa resina trova utilizzo per la produzione di laminati plastici, colle e vernici
  • le resine fenolo formaldeide ottenuta dalla reazione tra fenolo e formaldeide. In funzione del rapporto tra i due reagenti si dividono a loro volta in novolacche e resoli. Le resine fenolo formaldeide supportate su riempitivi sono state il primo materiale plastico adatto allo stampaggio e alla produzione in serie di manufatti.
  • il poliossimetilene noto come poliformaldeide utilizzato per sostituire le parti metalliche di precisione, leve cuscinetti, viti, cerniere e parti di valvole

Un’altra reazione in cui viene usato l’argento come catalizzatore è la produzione di ossido di etilene a partire dall’etilene. L’ossido di etilene, anche detto ossirano, è un etere ciclico avente formula C2H4O ed è il più semplice degli epossidi essendo costituito da un anello a tre termini in cui sono presenti due atomi di carbonio e un atomo di ossigeno.

L’etilene viene fatto reagire con l’ossigeno e passa sul catalizzatore costituito da argento finemente suddiviso su un supporto inerte come l’allumina a una temperatura di 250-280 °C alla pressione di 15-20 atmosfere.

Sulla superficie del catalizzatore avvengono contemporaneamente due reazioni ovvero l’ossidazione parziale e l’ossidazione completa dell’etilene:

ossirano

In questa reazione, al contrario di altre, l’argento è l’unico catalizzatore utilizzabile.

A causa della sua alta reattività dovuta alla tensione di anello l’ossido di etilene viene usato come intermedio per l’ottenimento di molte sostanze chimiche tra cui il glicole etilenico usato come liquido di raffreddamento e come antigelo nell’industria automobilistica.

La polimerizzazione dell’ossido di etilene porta alla formazione del glicole polietilenico il quale, per la sua assenza di tossicità viene usato in campo farmaceutico e in particolare per formulazioni farmaceutiche parenterali, topiche, oftalmiche, orali e rettali.

Un’altra reazione in cui l’argento gioca un ruolo fondamentale come catalizzatore è l’ossidazione dell’ammoniaca. L’ossidazione catalitica dell’ammoniaca ad azoto molecolare è di particolare importanza in quanto l’ammoniaca, contenuta in flussi di aria può essere trasformata in azoto ecocompatibile.

La reazione avviene in tre stadi:

  • 4 NH3 + 5 O2 → 4 NO + 6 H2O
  • 4 NH3 + 4 O2 → 2 N2O + 6 H2O
  • 4 NH3 + 3 O2 → 2 N2 + 6 H2O

La reazione 1) è il primo stadio del processo Ostwald in cui si forma il monossido di azoto il quale reagisce con l’ossigeno per dare il biossido di azoto da cui si ottiene industrialmente l’acido nitrico.

La reazione 2) è il secondo stadio da cui si ottiene l’ossido di diazoto noto come protossido di azoto.

Il processo descritto dalla reazione 3) è un metodo per abbattere l’ammoniaca e può essere usato per ottenere azoto. Si sono studiati e catalizzatori più idonei per questa reazione e si è trovato che l’argento è l’unico che riesce ad esplicare la sua attività catalitica a temperature inferiori a 200°C

L’argento costituisce uno dei catalizzatori per la decomposizione del perossido di idrogeno. Quest’ultimo è un composto termodinamicamente instabile che tende a decomporsi in acqua e ossigeno secondo la reazione:

2 H2O2 → 2 H2O + O2

La velocità di decomposizione del perossido di idrogeno aumenta all’aumentare della temperatura, della concentrazione e del pH ed è catalizzata da vari composti compresi i metalli di transizione tra cui l’argento.

Rodio

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Il rodio è un metallo di transizione appartenente al Gruppo 9 e al 5° Periodo avente configurazione elettronica [Kr] 4d8 5s1.

Il rodio fu scoperto nel 1803 dal chimico britannico William Hyde Wollaston mentre studiava una lega contenente platino proveniente dal Perù essendo venuto a conoscenza dal chimico francese Hippolyte-Victor Collet-Descotils della possibilità che potesse essere presente un nuovo elemento. Quest’ultimo infatti aveva riscontrato una colorazione rossa in alcuni sali di platino e aveva ipotizzato che potesse essere imputata alla presenza di sali di un elemento sconosciuto.

William Hyde Wollaston allora dapprima solubilizzò il campione in acqua regia e poi fece precipitare il platino con una soluzione di cloruro di ammonio ottenendo il cloroplatinato di ammonio (NH4)2[PtCl6] scarsamente solubile. La soluzione fu trattata con una serie di reagenti chimici fino ad ottenere un precipitato rosso di cloruro di sodio e rodio Na3RhCl6 ∙12 H2O.

Al nuovo elemento fu attribuito il nome di rodio dalla parola greca rhodon che significa rosa a causa del colore delle soluzioni contenenti i suoi sali.

Il rodio, unitamente al rutenio, palladio, osmio, iridio e platino che occupano posizioni contigue nella Tavola Periodica fa parte dei metalli del gruppo del platino caratterizzati da proprietà fisiche e chimiche simili e presenti negli stessi giacimenti minerari.

gruppo-del-platino

Il rodio è uno degli elementi meno abbondati presenti sulla crosta terrestre e lo si rinviene nei minerali contenenti platino.

Il rodio è un metallo di colore bianco-argenteo molto riflettente che, se esposto all’aria, si ossida in Rh2O3 ma ad elevate temperature perde l’ossigeno ritornando allo stato puro.

E’ scarsamente reattivo e non viene attaccato dagli acidi.

Il rodio può presentarsi con diversi numeri di ossidazione: 6, 5, 4, 3, 2, 1, −1, −3 ma i suoi numeri di ossidazione più comuni sono 2, 3, 4.

Tra i composti più importanti del rodio vi è:

il tricloruro di rodio RhCl3 ∙ n H2O dove n varia da 0 a 3 che è il precursore di numerosi composti di coordinazione e costituisce il catalizzatore di molte reazioni tra cui la dimerizzazione dell’etene in trans 2-butene.

l’ossido: ossido di rodio (III)  Rh2O3 utilizzato quale catalizzatore in svariate reazioni come quella di idroformilazione, o di ottenimento di N2O a partire da NO e ossido di rodio (IV) RhO2 composto praticamente insolubile anche in acqua regia

il fluoruro di rodio (VI) RhF6 sostanza altamente reattiva con caratteristiche ossidanti; è in grado di attaccare il vetro anche in assenza di acqua.

il nitrato di rodio (III) Rh(NO3)3 solubile in acqua utilizzato come precursore per ottenere catalizzatori eterogenei.

L’uso prevalente del rodio risiede nelle sue leghe che mostrano caratteristiche diverse a seconda dei metalli adoperati. Le leghe del rodio a cui il metallo conferisce maggiore durezza sono costituite da platino ma anche da palladio e iridio vengono utilizzate per i resistori dei forni a resistenza, per le termocoppie, nell’industria vetraria in trafile per produzione di fibre di vetro, per crogioli a contatto con il vetro fuso e per elettrodi.

Il rodio è inoltre utilizzato in gioielleria tramite galvanizzazione in quanto conferisce all’oro bianco la tipica brillantezza e come materiale per contatti elettrici a causa della sua bassa resistenza elettrica e dell’alta resistenza alla corrosione

Il rodio è inoltre usato quale catalizzatore nelle marmitte catalitiche dei sistemi di scappamento delle vetture.

 

Acido idrazoico

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L’acido idrazioco HN3 il cui nome I.U.P.A.C. è triazoturo di idrogeno è detto anche acido azotidrico, azoturo di idrogeno o acido nitridrico.

L’acido idrazioco è un acido debole con una costante di equilibrio Ka pari a 2.8 ∙ 10-5 che si presenta come un liquido solubile in acqua, alcali, alcol ed etere altamente volatile con una struttura lineare.

E’ molto tossico, ha un odore pungente e i suoi vapori possono causare violente emicranie. Non viene venduto tale quale ma può essere sintetizzato dalla reazione tra un azoturo come l’azoturo di sodio o di bario azide e un acido forte come l’acido solforico:

2 NaN3 + H2SO4 → 2 HN3 + Na2SO4

La sintesi a partire dall’azoturo di bario è tuttavia preferita in quanto si ha la precipitazione del solfato di bario che può essere eliminato per filtrazione con l’ottenimento di una soluzione di acido idrazoico:

Ba(N3)2 + H2SO4 → 2 HN3 + BaSO4

Si precisa che gli azoturi come l’azoturo di sodio vengono spesso denominati come sodio azide dalla derivazione anglosassone.

L’acido idrazoico può essere ottenuto facendo reagire l’acido nitroso con l’idrazina secondo la reazione:

HNO2 + N2H4 → HN3 + 2 H2O

L’acido idrazoico può decomporsi in modo esplosivo a seguito di riscaldamento o shock meccanico in azoto e idrogeno secondo la reazione:

2 HN3 → H2 + 3 N2     ΔH = – 528.4 kJ/mol

Pertanto le soluzioni di acido idrazoico con una concentrazione maggiore del 20% devono essere maneggiate con cura.

I sali dell’acido idrazoico contenenti metalli pesanti come piombo, cadmio e mercurio detonano per riscaldamento o a seguito di shock meccanico mentre i sali dei metalli alcalini, ad eccezione del cesio, e dei metalli alcalino-terrosi, stante il maggior carattere ionico non danno luogo a reazioni esplosive.

L’azoturo di sodio, ad esempio, si decompone solo alla temperatura di 300°C secondo la reazione:

2 NaN3 → 2 Na + 3 N2

e costituisce un metodo per ottenere i metalli allo stato puro.

L’acido idrazoico è un forte ossidante infatti per la semireazione di riduzione:

HN3 + 3 H+ + 2 e → N2 + NH4+ il potenziale normale di riduzione è pari a + 1.96 V.

L’acido idrazoico, come l’acido nitrico è in grado di dar luogo alla dissoluzione di molti metalli come zinco, manganese, rame e ferro senza produzione di idrogeno gassoso. Ad esempio:

Cu + 3 HN3 + H+ → Cu(N3)2 + NH4+ + N2

In presenza di forti agenti ossidanti, tuttavia, l’acido idrazoico agisce da riducente secondo la semireazione di riduzione

2 HN3 + 2 e→  2 H+ + 3 N2 il cui potenziale di riduzione è + 3.09 V.

Se l’acido idrazoico viene fatto reagire con acidi forti dà luogo alla formazione di sali esplosivi che contengono lo ione H2N=N=N+ ed esempio:

HN3 + HSbCl6 → H2N=N=N+ + [SbCl6]

L’acido idrazoico viene tra l’altro utilizzato per ottenere azoturi come quello di magnesio o di antimonio che idrolizzano in soluzione acquosa

Ammoniaca

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L’ammoniaca è un gas incolore, dall’odore pungente, penetrante e caratteristico avente formula NH3 e costituisce il composto di partenza di molte specie tra cui le ammine e i sali di ammonio quaternari.

Ha una struttura tetraedrica deformata con angoli di legame H-N-H di circa 108° in cui l’atomo di azoto ibridato sp3 si trova al centro e lega i 3 atomi di idrogeno. La base del tetraedro è costituita da un triangolo equilatero ai cui vertici si trovano i tre atomi di idrogeno mentre il quarto vertice del tetraedro è occupato dal doppietto elettronico solitario dell’azoto.

ammoniaca

Grazie al doppietto elettronico presente sull’azoto l’ammoniaca è una base secondo Brønsted-Lowrye dà luogo in acqua a soluzioni basiche con una costante Kb= 1.85 ∙ 10-5 relativa all’equilibrio:

NH3 + H2O ⇌ NH4+ + OH

L’ammoniaca è una molecola polare e forma legami a idrogeno e dà luogo anche se in misura minore rispetto all’acqua alla autoionizzazione secondo l’equilibrio:

2 NH3 ⇌ NH4+ + NH2

Tale equilibrio ha infatti una costante K = [NH4+][NH2] dell’ordine di 10-30 mentre la costante Kw  di autoionizzazione dell’acqua è dell’ordine di 10-14.

L’ammoniaca è una molecola polare e pertanto è solubile in acqua oltre che in metanolo, etanolo, etere e cloroformio.

L’ammoniaca fu isolata per la prima volta dal chimico britannico Joseph Priestley nel 1774 e attualmente viene prodotta su scala industriale secondo il processo Haber.

L’ammoniaca è un composto stabile e si decompone in presenza di un catalizzatore metallico come il nichel secondo la reazione:

2 NH3(g) → N2(g) + 3 H2(g)

L’ammoniaca può dare una reazione di combustione in presenza di aria secondo la reazione altamente esotermica:

4 NH3 + 3 O2 → 2 N2 + 6 H2O

Una miscela di aria e ammoniaca fatta passare a 800°C su un catalizzatore di platino e rodio dà luogo alla formazione di monossido di azoto secondo la reazione:

4 NH3 + 5 O2 → 4 NO + 6 H2O

L’ammoniaca può ossidarsi ad azoto molecolare in presenza di alcuni ossidi metallici a caldo; ad esempio:

3 CuO + 2 NH3 → N2 + 3 Cu + 3 H2O

3 PbO + 2 NH3 → N2 + 3 Pb + 3 H2O

L’ammoniaca reagisce con gli alogeni anche se, a seconda dell’alogeno dà luogo alla formazione di prodotti diversi. In presenza di un eccesso di cloro forma tricloruro di azoto e cloruro di idrogeno:

NH3 + 3 Cl2 → NCl3 + 3 HCl

Quando invece l’ammoniaca è in eccesso dà luogo alla formazione di azoto e cloruro di ammonio:

8 NH3 + 3 Cl2 → 6 NH4Cl + N2

Analoga reazione avviene con il bromo:

8 NH3 + 3 Br2 → 6 NH4Br + N2

Quando lo iodio viene fatto reagire con l’ammoniaca anidra a bassa temperatura si forma l’addotto NI3∙NH3 secondo la reazione:

3 NH3 + 3 I2 → NI3∙NH3 + 3 HI

Tale composto può facilmente dar luogo a una reazione esplosiva se viene colpito, secondo la reazione:

8 NI3∙NH3 → 5 N2+ 9 I2 + 6 NH4I

Alla temperatura di 200°C e alla pressione di 80-100 atm l’ammoniaca si combina con il biossido di carbonio per dare urea:

2 NH3 + CO2 → NH2CONH2 + H2O

L’ammoniaca reagisce con metalli alcalini come sodio e potassio per dare rispettivamente sodioammide e potassio ammide e idrogeno gassoso:

2 Na + 2 NH3 → 2 NaNH2 + H2

L’ammoniaca forma composti di coordinazione con numerosi metalli tra cui argento e rame del tipo [Ag(NH3)2]+ e [Cu(NH3)4(H2O)2]2+.

L’ammoniaca è un composto estremamente importante in campo industriale e ha moltissimi utilizzi tra cui:

Soluzioni diluite di ammoniaca vengono usate per usi domestici come rimedio per le punture di insetti e per eliminare le macchie di vino dai tessuti, per la pulizia di tappeti e moquette, per eliminare l’odore di muffa oltre che come sgrassatore.

Acqua regia

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L’acqua regia è una miscela costituita da acido nitrico concentrato e acido cloridrico concentrato in rapporto tra volumi di 1:3.

Il nome di acqua regia fu dato a questa miscela dagli alchimisti in quanto era in grado di solubilizzare l’oro che era considerato il “re” dei metalli e altri metalli detti nobili in quanto sono in grado di essere resistenti alla ossidazione.

L’acqua regia viene usata nell’ambito dell’analisi chimica qualitativa per via umida di un campione incognito solido che deve essere preventivamente solubilizzato.

Per mandare in soluzione il campione si procede dapprima all’attacco con acqua fredda e, in caso di insuccesso con acqua calda, poi con acqua acidulata.

Se tutti questi tentativi vanno a vuoto si usa l’acqua regia ed in caso di ulteriore insuccesso una miscela solfonitrica costituita da acido nitrico e acido solforico concentrati in rapporto di 1:3.

L’acqua regia viene inoltre utilizzata per la dissoluzione di alcuni minerali di ferro, alcune rocce fosfatiche, alcune leghe ed in particolare della lega nichelcromo e di solfuri poco solubili come quelli di mercurio, arsenico, cobalto e piombo.

L’acqua regia trova inoltre utilizzo per la pulizia della vetreria di laboratorio contaminata. In particolare viene usata per la pulizia di tubi per NMR e preferita alla miscela cromica in quanto l’uso di quest’ultima può comportare la presenza di tracce di ioni cromo che presentano paramagnetismo e possono inficiare gli spettri. L’acqua regia va preparata sempre di fresco e dopo l’utilizzo deve essere smaltita neutralizzandola con sodio bicarbonato. Si deve evitare di conservare la miscela in un contenitore chiuso in quanto si possono verificare esplosioni.

Dalla reazione tra acido nitrico e acido cloridrico si forma infatti il cloruro di nitrosile che è un gas giallognolo peraltro tossico e cloro gassoso secondo la reazione:

HNO3(aq) + 3 HCl(aq) → NOCl(g) + Cl2(g) + 2 H2O(l)

Il cloruro di nitrosile può decomporsi in monossido di azoto e cloro secondo la reazione:

2 NOCl(g) → 2 NO(g) + Cl2(g)

Il monossido di azoto reagisce con l’ossigeno presente nell’aria per dare biossido di azoto:

2 NO(g) + O2(g) →2 NO2(g)

Se l’acqua regia viene conservata in un recipiente chiuso la formazione dei gas porta all’aumento di pressione all’interno dello stesso con il pericolo di un’esplosione.

La dissoluzione dell’oro in acqua regia è dovuta alla reazione:

Au + HNO3 + 3 HCl → HAuCl4 + NO + 2 H2O

a seguito della quale si ottiene l’acido cloroaurico il cui nome I.U.P.A.C. è acido tetracloroaurico. Quest’ultimo è un acido forte da cui si può ottenere oro puro tramite elettrolisi.

A molti elementi o composti viene associato un periodo storico o un evento particolare a dimostrazione di come la chimica sia parte integrante della storia dell’umanità.

L’acqua regia e il suo fruttuoso utilizzo si collega al triste periodo storico dell’invasione nazista in Danimarca. I due fisici tedeschi Max von Laue, antinazista e vincitore del premio Nobel della fisica nel 1914 e James Franck di origini ebraiche vincitore del premio Nobel della fisica nel 1925 riuscirono a far recapitare le loro medaglie in Danimarca al collega Niels Bohr per salvarle dai nazisti.

Quando il 9 aprile 1940 avvenne l’occupazione della Danimarca da parte delle truppe tedesche i collaboratori di Bohr che nel frattempo di era rifugiato in Svezia compresero che le medaglie dovevano in qualche modo essere sottratte alle razzie naziste. Fu allora che intervenne il chimico ungherese George Charles de Hevesy che dopo tre anni ricevette il premio Nobel per la chimica per i suoi studi sui radioisotopi dissolvendo le due medaglie in acqua regia. La boccetta con il suo prezioso contenuto rimase per cinque anni nel laboratorio fin quando, a guerra finita, lo stesso de Hevesy ottenne nuovamente l’oro delle medaglie che fu inviato alla Nobel Foundation di Stoccolma che ricostituì le medaglie che furono rese ai grandi fisici.

Una storia finita bene grazie alla scienza, all’arguzia e al coraggio di un grande chimico.

Soluzione piranha

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La soluzione piranha è usata per allontanare residui di sostanze organiche dai substrati; tale obiettivo può essere raggiunto da due tipi di soluzioni piranha ovvero:

  • La soluzione piranha acida che è quella più frequentemente utilizzata costituita, in genere, da una miscela 3:1 di acido solforico concentrato e perossido di idrogeno al 30%
  • La soluzione piranha basica costituita da una miscela 3:1 di idrossido di ammonio e perossido di idrogeno al 30%

Mentre la reazione tra acido solforico e il perossido di idrogeno che deve essere aggiunto lentamente all’acido avviene spontaneamente a temperatura ambiente, affinché avvenga la reazione tra idrossido di ammonio e perossido di idrogeno si deve riscaldare la soluzione a 60°C.

La soluzione è altamente ossidante e corrosiva e potenzialmente pericolosa al punto che i vecchi chimici ne raccomandavano l’uso solo in presenza di un altro chimico che doveva esserne a conoscenza.

La soluzione va comunque preparata immediatamente prima dell’uso tenendo conto che la reazione tra acido solforico e perossido di idrogeno è altamente esotermica potendo superare i 100°C e sicuramente esplosiva se si utilizza perossido di idrogeno al 50%.

Sebbene tale soluzione possa essere usata per la pulizia della vetreria di laboratorio, stante la sua pericolosità, viene abitualmente utilizzata per la pulitura di wafer di silicio che costituiscono l’elemento base per la realizzazione di circuiti integrati o di superfici metalliche destinate ad usi speciali che tendono ad adsorbire sostanze organiche.

La capacità di una soluzione piranha di eliminare residui organici è dovuta a due diversi processi che avvengono con una velocità diversa. Nel primo processo, che è quello più veloce, avviene la reazione tra acido solforico e perossido di idrogeno con formazione di un perossiacido H2SO5 detto acido di Caro che è un forte agente ossidante secondo la reazione:

H2SO4 + H2O2 → H2SO5 + H2O

Nella soluzione piranha sono quindi contenuti acido solforico, perossido di idrogeno e acido perossimonosolforico. L’acido solforico, da solo, è in grado di disidratare i composti organici dando luogo alla formazione di carbonio in cui gli atomi di carbonio spesso si presentano sotto la forma allotropica di grafite. Ad esempio dalla reazione tra saccarosio e acido solforico, in presenza dell’ossigeno dell’aria:

2 C12H22O11 + 2 H2SO4 + O2 → 22 C + 2 CO2 + 24 H2O + 2 SO2

A contatto con il perossido di idrogeno, inoltre, l’acido solforico dà luogo alla formazione di ione idronio, ione idrogenosolfato e ossigeno atomico:

H2SO4 + H2O2 → H3O+ + HSO4+ O

L’ossigeno elementare è in grado di reagire con gli allotropi del carbonio rompendo i legami carbonio-carbonio e “divorando” ogni cosa

Piombo

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Il piombo appartiene al Gruppo 14 e al 6° Periodo della tavola periodica; è un metallo tenero tanto da poter essere tagliato con un coltello che si presenta di colore bianco-azzurro ma tende a diventare grigio scuro per esposizione all’aria.

Infatti in presenza di aria il piombo si ricopre di una patina di ossido di piombo secondo la reazione:

2 Pb(s) + O2(g) → 2 PbO(s)

Piccole aggiunte di altri elementi come arsenico, antimonio, argento e cadmio, tuttavia ne aumentano considerevolmente la durezza.

Ha numero atomico 82 e configurazione elettronica [Xe]4f14,5d10,6s2, 6p2 e presenta numeri di ossidazione +4, +3, +2, +1, -1, -2, -4 sebbene i numeri di ossidazione più comuni siano +4 e +2 sebbene, contrariamente agli elementi del gruppo 14, il numero di ossidazione più stabile è +2.

Infatti ad esempio il cloruro di piombo (IV) a temperatura ambiente si decompone spontaneamente in cloruro di piombo (II) e cloro:

PbCl4 → PbCl2 + Cl2

La storia del piombo si perde nella notte dei tempi e sicuramente era noto già nel 3000 a.C. essendo databili a quel periodo oggetti costituiti da tale metallo.

Sebbene attualmente la gran parte degli oggetti contenenti piombo provenga dal riciclaggio del metallo, esso è contenuto in alcuni minerali e principalmente nella galena sotto forma di solfuro di piombo PbS, ma lo si rinviene sotto forma di carbonato PbCO3 nella cerussite e sotto forma di solfato PbSO4 nell’anglesite.

Il piombo può essere estratto dalla galena per arrostimento con conversione del solfuro in ossido secondo la reazione:

2 PbS +3 O2 → 2 PbO + 2 SO2

L’ossido di piombo viene ridotto a piombo metallico in presenza di coke secondo la reazione:

2 PbO + C → 2 Pb + CO

E’ resistente alla corrosione infatti non viene attaccato dall’acido solforico e per questo motivo viene utilizzato nella costruzione degli accumulatori elettrici e degli impianti per la produzione di acido solforico con il metodo delle camere.

Il piombo non viene attaccato dall’acido fluoridrico ed infatti viene utilizzato per costruire oggetti da porre in contatto con l’acido.

Viene invece attaccato dall’acido nitrico che è un acido ossidante  secondo la reazione:
3 Pb(s) + 2 NO3(aq) + 8 H+→3 Pb2+ (aq) + 2 NO(g) + 4 H2O(l)

Il piombo si scioglie anche in soluzioni di idrossidi alcalini a caldo con formazione dello ione complesso piombito:

Pb(s) + OH + 2 H2O → [Pb(OH)3] + H2

Il piombo forma molti sali poco solubili con gli alogeni e sono poco solubili inoltre il carbonato PbCO3, il cromato PbCrO4, lo iodato Pb(IO3)2, l’ossalato PbC2O4 oltre al solfato PbSO4 e al solfuro PbS.

Il piombo viene impiegato prevalentemente in lega con antimonio e stagno nella fabbricazione di copertura di parti elettriche, negli accumulatori, nelle tubazioni, nei caratteri per stampa, unito all’arsenico per ottenere proiettili, per cuscinetti antifrizione unito oltre che all’antimonio e allo stagno anche a rame e arsenico.

Grazie alla sua elevata densità e alla grande sezione di cattura il piombo trova impiego come sostanza schermante delle radiazioni ad alta frequenza e in particolare ai Raggi X.

Sali di piombo sono  stati largamente usati quale pigmenti grazie alla loro brillantezza, durevolezza ed economicità. Stante la loro tossicità sono stati sostituiti, nel tempo, da pigmenti che ne imitano la colorazione ma sono esenti da piombo.

Tra i più importanti pigmenti nella storia dell’arte vi è:

  • la biacca, carbonato basico di piombo (PbCO3)2∙Pb(OH)2, di colore bianco utilizzato fin dall’antichità e soppiantato dal bianco di titanio
  • il giallo di Napoli, antimoniato basico di piombo Pb3(SbO4)2 di color camoscio usato dagli antichi Egizi e, nei tempi più recenti da Caravaggio e Degas che è stato sostituito da svariate miscele di colori che ne imitano la tinta
  • il giallo di piombo-stagno PbSn2SiO7 risalente al tardo Medioevo usato da Caravaggio
  • il giallo di cromo PbCrO4 sintetizzato alla fine del 1700 e utilizzato dal 1800 in poi. Non viene più usato sia per la tossicità del piombo che per la sua tendenza ad annerirsi
  • il minio ossido misto di piombo (II) e piombo (IV) PbO ∙PbO2 spesso concisamente indicato con Pb3O4 utilizzato già dai Greci e dai Romani e durante il medioevo nelle decorazioni dei manoscritti da cui il termine miniatura. Era utilizzato anche nella fabbricazione delle vernici antiruggine mescolato all’olio di lino cotto

Cadmio

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Il cadmio è un metallo del blocco d appartenente al Gruppo 12 e al 5° Periodo avente configurazione elettronica [Kr] 4d105s2.

Nell’ambito dei suoi studi sulla calamina, minerale contenente un miscuglio di carbonati e silicati, il chimico tedesco Friedrich Strohmeyer nel 1817 notò che alcuni campioni di calamina, a caldo, avevano un colore giallo diversamente da altri e dedusse che dovevano contenere un elemento sconosciuto.

In natura il cadmio viene rinvenuto in minerali contenenti zinco e pertanto viene ottenuto come sottoprodotto dell’industria dello zinco oltre che del piombo e rame.

Il cadmio è tenero, duttile e malleabile e si presenta di colore bianco-argenteo con riflessi azzurrognoli. Sebbene venga spesso incluso tra i metalli pesanti il cadmio presenta una densità, un peso atomico e un numero atomico paragonabili con quelli di altri metalli. La densità del cadmio è infatti pari a 8.64 g/cm3 mentre l’oro che non è considerato un metallo pesante ha una densità di 19.3 g/cm3.

Il cadmio presenta numero di ossidazione +2 salvo taluni casi in cui ha numero di ossidazione +1.

Il cadmio forma numerosi sali poco solubili tra cui l’arseniato di cadmio Cd3(AsO4)2 , il carbonato CdCO3, l’idrossido Cd(OH)2, il solfuro CdS, il fosfato Cd3(PO4)2.

Il cadmio brucia in presenza di aria per dare l’ossido di cadmio secondo la reazione:

2 Cd(s) + O2(g) → 2 CdO(s)

A 700 °C il cadmio reagisce con l’arsenico in fase gassosa per dare il solfuro di arsenico:

3 Cd(s) + 2 As(g) →  Cd3As2(s)

Reazioni con gli alogeni:

Il cadmio reagisce con il fluoro per dare un solido bianco di fluoruro di cadmio:

Cd(s) + F2(g) → CdF2(s)

mentre reagisce con il cloro presente in soluzione per dare lo ione cadmio:

Cd(s) + Cl2(g) → Cd2+(aq) + 2 Cl(aq)
Il cadmio reagisce con il bromo presente in soluzione per dare lo ione cadmio:

Cd(s) + Br2(g) → Cd2+(aq) + 2 Br(aq)

mentre reagisce a caldo con il bromo gassoso per dare un solido giallo di bromuro di cadmio:

Cd(s) + Br2(g) → CdBr2(s)

Il cadmio reagisce con lo iodio presente in soluzione per dare lo ione cadmio:

Cd(s) + I2(aq) → Cd2+(aq) + 2 I(aq)

Se la reazione avviene in presenza dei due componenti in fase gassosa si forma lo ioduro di cadmio:
Cd(g) + I2(g) → CdI2(g)

Se la reazione avviene ad alta pressione oltre che ad alta temperatura si forma lo ioduro di cadmio (I):

2 Cd(g) + I2(g) → 2 CdI(g)

Lo ione cadmio reagisce con una soluzione ammoniacale per dare un precipitato di idrossido di cadmio che, in presenza di un eccesso ammoniaca, si solubilizza per dare il complesso tetrammino cadmio (II):

Cd2+(aq) + 2 NH3(aq) + 2 H2O(l) ⇌ Cd(OH)2(s) + 2 NH4+(aq)

Cd(OH)2(s) + 4 NH3(aq) ⇌  [Cd(NH3)]42+(aq) + 2 OH(aq)

L’acido solfidrico reagisce con lo ione cadmio per dare un precipitato giallo-arancio di solfuro di cadmio:

Cd2+(aq) + H2S(aq) → CdS(s) + 2 H+(aq)

Il solfuro di cadmio è solubile in acido nitrico secondo la reazione:

3 CdS(s) + HNO3(aq) + 6 H+(aq) → 3 Cd2+(aq) + 2 NO(g) + 3 S(s)+ 4 H2O(l)

Il solfuro di cadmio, noto come giallo cadmio, è usato come pigmento; dotato di elevata brillantezza e durevolezza nel tempo è stato usato da artisti come Matisse, Monet e van Gogh.

Altri composti del cadmio trovano utilizzo quali pigmenti tra cui il rosso cadmio costituito da seleniuro di cadmio CdSe e solfuro di cadmio CdS; a seconda della composizione il pigmento ha una tonalità che può variare dall’arancio chiaro al porpora ed è dotato di elevato potere coprente.

Il solfuro di zinco e cadmio è usato per le sue proprietà fluorescenti.

Tra i composti più importanti del cadmio di interesse industriale vi è l’ossido di cadmio CdO che viene usato nei bagni di cadmiatura che viene preferita alla zincatura per parti di aerei, attrezzature elettriche e strumenti di precisione. L’ossido di cadmio inoltre trova utilizzo negli elettrodi per batterie, come catalizzatore e negli smalti ceramici.

L’idrossido di cadmio Cd(OH)2 viene come elettrodo nelle batterie Nichel-Cadmio usate in apparecchi portatili nell’elettronica di consumo e nei giocattoli oltre che nel settore ferroviario e aereo per l’alimentazione di emergenza.

Il cadmio è presente in alcuni composti metallorganici in cui è presente il legame C-Cd come il dimetil e il dietilcadmio che hanno formula rispettivamente CH3CdCH3 e CH3CH2CdCH2CH3.

Lo stearato di cadmio CH3(CH2)16COOCd(CH2)16CH3 viene usato come lubrificante; lo stearato e il laurato di cadmio CH3(CH2)10COOCd(CH2)10CH3 vengono usati come stabilizzanti nelle plastiche ed in particolare nel PVC.

Negli ultimi anni, tuttavia, l’uso del cadmio e dei suoi derivati si è notevolmente ridimensionato a causa della sua tossicità. Generalmente l’intossicazione da cadmio è di tipo cronico e si manifesta soprattutto con patologie a livello delle ossa, reni, cuore, fino a giungere anche a forme tumorali.

Una limitazione dell’uso del cadmio e parimenti di altri metalli quali piombo e mercurio è quindi auspicabile in quanto essi si diffondono nel terreno e nelle acque e le piante ne sono i primi accumulatori. La presenza di cadmio nei vegetali e di conseguenza negli animali costituisce quindi un rischio alla salute dell’uomo in quanto esso può essere presente nei cibi sia di origine animale che vegetale.

Reazioni metallotermiche

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Nelle rocce i metalli sono spesso presenti sotto forma di ossidi e si deve quindi procedere alla loro estrazione tramite un processo metallurgico in cui viene utilizzata un altro metallo avente alta affinità chimica con l’ossigeno per ridurre l’ossido ed ottenere il metallo puro.

Il processo, che prende il nome di metallotermia, poté essere realizzato solo dopo che i metalli alcalini furono scoperti e isolati da Sir Humphry Davy nel 1808. La tecnica fu ulteriormente sviluppata dopo che l’alluminio fu scoperto e isolato da Hans Christian Ørsted nel 1826.

La prima applicazione industriale di reazioni metallotermiche avvenne nel 1854 quando Henri Sainte-Claire Deville ottenne l’alluminio tramite la riduzione di un sale costituito da cloruro di alluminio e cloruro di sodio. La reazione endotermica fu condotta in un forno a riverbero e portò alla produzione di alluminio:

AlCl3 ∙NaCl + 3 Na → Al + 4 NaCl

Le reazioni metallotermiche possono essere espresse dall’equazione:

MO2(s,l) + R(s.l) → M(s,l) + RO2(s)   (1)

In cui il metallo M può essere ottenuto riducendo l’ossido metallico MO2 con l’agente riducente R che in genere può essere un metallo come alluminio, calcio, magnesio e sodio.

Affinché la reazione possa procedere verso destra RO2 deve avere una stabilità maggiore rispetto a MO2 ovvero l’energia libera di formazione di RO2 deve essere più negativa rispetto a quella di MO2. Infatti la variazione di energia libera della reazione essere negativa in modo che la costante di equilibrio K correlata a ΔG dall’espressione ΔG° = – RT ln K sia sufficientemente elevata.

Infatti ad un alto valore di K corrispondono elevate quantità di prodotti. Per conoscere la variazione di energia libera della reazione (1) consideriamo le reazioni:

MO2(s,l) → M(s,l) + O2(g)    (a)

R(s,l) + O2(g)  → RO2(s)          (b)

M(s,l) + O2(g)  → MO2(s,l)    (c)

La (1) può essere ottenuta o sommando la (a) e la (b) oppure considerando la reazione (c) nel senso contrario e sommandola alla (b).

Conoscendo le variazioni di energia libera correlate a tali reazioni per la legge di Hess è quindi possibile calcolare la variazione di energia libera della (1) e prevedere innanzi tutto la sua spontaneità e in secondo luogo la dimensione di K.

Consideriamo ad esempio le due reazioni:

4/3 Al(l) +  O2(g)  → 2/3 Al2O3(s)   ΔG° = – 840 kJ    (*)

4/3 Cr(s) + O2(g) → 2/3 Cr2O3(s)       ΔG° = – 520 kJ   (**)

Per conoscere la variazione di energia libera della reazione

2/3 Cr2O3(s) + 4/3 Al(l) →  4/3 Cr(s) + 2/3 Al2O3(s)

Scriviamo la (**) da destra a sinistra:

2/3 Cr2O3(s)→ 4/3 Cr(s) + O2(g)  per la quale ΔG° = + 520 kJ

E sommiamola alla (*). La variazione di energia libera è quindi pari a ΔG° = – 840 + 520 = – 320 kJ

Alla temperatura di 1200°C corrispondente a 1473 K si ha quindi un elevato valore di K

Pertanto dall’ossido di cromo (III) si può ottenere cromo a seguito di trattamento con alluminio.

Perclorato di ammonio

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Il perclorato di ammonio NH4ClO4 è un sale inorganico in cui il cloro presenta il suo massimo numero di ossidazione +7

nh4clo4

Si presenta come un solido bianco e cristallino solubile in acqua, in alcol e in acetone ma scarsamente solubile nella gran parte dei solventi organici.

A livello industriale il perclorato di potassio viene ottenuto per via elettrolitica in due stadi:

  • nel primo stadio avviene l’ossidazione del cloruro di sodio in clorato di sodio secondo la semireazione:

4 Cl + 36 OH → 4 ClO3 + 18 H2O + 3 O2 + 36 e

Il tipo di elettrodo usato quale anodo per questa reazione è la grafite, la magnetite o un elettrodo rivestito di biossido di titanio o ossido di piombo.

  • nel secondo stadio avviene l’ossidazione del clorato secondo la semireazione:

ClO3 + H2O  → ClO4 + 2 H+ + 2 e

Il potenziale di questa semireazione è pari a 1.19 V che è prossimo a quello relativo all’ossidazione dell’acqua che è pari a 1.23 V. Per minimizzare la produzione di ossigeno la cella deve operare ad alto potenziale in presenza di elettrodi come platino o ossido di piombo.

Il perclorato può essere ottenuto dalla decomposizione termica del clorato secondo la reazione di disproporzione:

4 ClO3  →3 ClO4 + Cl

Il perclorato può inoltre essere ottenuto fondendo clorato di potassio e perossido di bario secondo la reazione:

KClO3 + BaO2 → KClO4 + BaO

Per ottenere il perclorato di ammonio si possono sfruttare reazioni di doppio scambio come, ad esempio la reazione tra cloruro di ammonio e perclorato di sodio:

NH4Cl + NaClO4 → NH4ClO4 + NaCl

Al posto del cloruro di ammonio si può usare ammoniaca e acido cloridrico:

NH3 + HCl + NaClO4 → NH4ClO4 + NaCl

Il perclorato di ammonio viene usato nella preparazione di miscele esplosive e trova impiego come ossidante in miscele combustibili solide usate per razzi.

Come la maggior parte dei sali di ammonio, il perclorato di ammonio dà luogo a una decomposizione termica prima che avvenga la fusione secondo la reazione. Tuttavia i prodotti della reazione di decomposizione e la loro quantità sono influenzati dalla temperatura: alla temperatura di circa 200°C vicina alla temperatura di fusione avviene la reazione:

4 NH4ClO4 → 2 N2O + 8 H2O + 2 Cl2 + 3 O2

Oltre i 350°C la reazione diventa esplosiva e i principali prodotti sono:

2 NH4ClO4 → 2 NO + 4 H2O + Cl2 +  O2

Nello  Space Shuttle Discovery è stato usato un propellente composito costituito da perclorato di ammonio e alluminio. La reazione che avviene e permette alla navicella di avere una spinta verso l’alto sufficiente è:

10 Al + 6 NH4ClO4 → 4 Al2O3 + 2 AlCl3 + 12 H2O +3 N2

La chimica quindi manda in orbita lo shuttle…

Borofene

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Il grafene, costituito da un singolo strato di grafite, è stato il primo materiale con struttura bidimensionale è stato considerato fin dalla sua scoperta avvenuta nel 2004 uno dei materiali più promettenti per la sua grande versatilità in molte e svariate applicazioni tecnologiche in quanto mostra resistenza e rigidità superiore a quella dell’acciaio e una capacità di conduzione elettronica a temperatura ambiente più veloce di qualsiasi altra sostanza.

Il monostrato atomico di grafene può essere considerato come la struttura di base di altre forme allotropiche del carbonio.

Si sono quindi sviluppati studi su altri materiali bidimensionali onde valutarne le potenzialità un team di ricercatori è riuscito ad ottenere una struttura bidimensionale di boro a cui è stato dato il nome di borofene.

Mentre il boro nella sua forma tridimensionale è un non metallo che viene usato quale dopante di tipo p nei semiconduttori quando ha una struttura bidimensionale mostra proprietà metalliche.

Analogamente al carbonio che presenta diverse forme allotropiche che vanno dalla grafite al diamante, il boro che si trova nello stesso Periodo del carbonio ed è ad esso adiacente presenta anch’esso forme allotropiche.

La similitudine tra i due elementi, tuttavia, non va oltre: infatti mentre il grafene non è altro che un singolo strato di grafite da cui può essere ottenuto per esfoliazione meccanica, il borofene viene ottenuto vaporizzando il boro tramite un fascio elettronico e poi facendolo condensare su una pellicola sottile di argento utilizzando la tecnica della deposizione fisica da vapore (PVD)

Il materiale ottenuto non ha una superficie liscia e uniforme come avviene per il grafene ma ha una struttura simile a un cartone ondulato che dipende dal modo in cui gli atomi di boro sono legati tra loro.

La presenza di queste creste provoca il fenomeno dell’anisotropia pertanto le proprietà meccaniche e elettroniche come la conduttività elettrica sono dipendenti dalla direzione e quindi, ad esempio, gli elettroni possono muoversi in una direzione più facilmente che in un’altra.

Inoltre da calcoli teorici i ricercatori hanno ipotizzato che il borofene potrebbe presentare una resistenza alla trazione maggiore di qualunque materiale ad oggi conosciuto.

Il borofene tuttavia si ossida in poco tempo ma questa caratteristica potrebbe rivelarsi vantaggiosa in quanto la reattività del borofene potrebbe essere sfruttata per modificarlo con altri gruppi chimici o inserito tra altri materiali al fine di variarne le proprietà.

Il borofene avrebbe densità elettronica maggiore rispetto al grafene e quindi se opportunamente raffreddato potrebbe agire la superconduttore.

Il borofene inoltre costituisce il battistrada per studi sul comportamento dell’alluminio che appartiene allo stesso Gruppo della Tavola Periodica: secondo studi teorici anche l’alluminio potrebbe formare strutture di alluminene bidimensionali che avrebbe proprietà da oscurare quelle del grafene e del borofene.

 

Monossido di carbonio

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Il monossido di carbonio è un gas inodore, incolore, insapore, non irritante e tossico che si forma per combustione incompleta del carbonio secondo la reazione:

2 C(s) + O2(g)→ 2 CO(g)

Viene prodotto in genere nelle reazioni di combustione di legna, carbone, benzina, gasolio e altri combustibili quando la combustione avviene in carenza di ossigeno.

Il monossido di carbonio è presente nell’aria ed è prodotto naturalmente da attività vulcaniche, decomposizione della vegetazione e incendi; tuttavia la gran parte è dovuto agli autoveicoli alimentati a benzina e a gasolio.

Elevate concentrazioni di monossido di carbonio si rinvengono in garage sotterranei o isolati dall’ambiente esterno in cui gli autoveicoli sostano con motore acceso o in ambienti dove avvengono processi biologici come, ad esempio, vasche di depurazione e cantine di vinificazione.

Nelle mura domestiche sono a rischio scaldabagni a fiamma libera, caldaie a gas, canne fumarie con scarso tiraggio e impianti difettosi, mal funzionanti o non installati correttamente.

La molecola è costituita da un atomo di carbonio e uno di ossigeno; la struttura di risonanza prevalente prevede che essi sono legati tra loro tramite un triplo legame in cui il carbonio ha una parziale carica negativa e l’ossigeno una parziale carica positiva.

In laboratorio il monossido di carbonio può essere ottenuto per disidratazione dell’acido metanoico in presenza di acido solforico a calda secondo la reazione:

HCOOH → CO + H2O

A livello industriale può essere ottenuto dalla combustione incompleta di un idrocarburo come, ad esempio:

2 CH4 +3 O2 → 2 CO + 4 H2O

Reazioni:

Il monossido di carbonio è un gas combustibile e può reagire in presenza di ossigeno per dare il biossido di carbonio secondo la reazione esotermica:

2 CO + O2 →2 CO2

Il monossido di carbonio può reagire in presenza di cloro su un letto di carbonio attivo che funge da catalizzatore per dare il fosgene:

CO + Cl2 → ClCOCl

Il monossido di carbonio reagisce a 200°C e alla pressione di 6 atm con l’idrossido di sodio per dare il formiato di sodio secondo la reazione:

CO + NaOH → HCOONa

Il monossido di carbonio è un ottimo riducente e, in particolare, reagisce con gli ossidi metallici per formare i rispettivi metalli e biossido di carbonio:

CuO + CO → Cu + CO2

PbO + CO → Pb + CO2

Fe2O3 + 3 CO → 2 Fe + 3 CO2

Il monossido di carbonio è un materiale di partenza per la sintesi di molti composti organici. Ad esempio dalla reazione di idrogenazione del monossido di carbonio in presenza di catalizzatore costituito da Cu-ZnO-Al2O3 si ottiene il metanolo:

CO + 2 H2 → CH3OH

Il monossido di carbonio può reagire a caldo con alcuni metalli di transizione per dare metallo carbonili

Ni + 4 CO → Ni(CO)4

Fe + 5 CO → Fe(CO)5

La tossicità del monossido di carbonio che in casi estremi può portare anche alla morte è dovuta alla formazione della carbossiemoglobina all’interno dei globuli rossi. Nei casi meno gravi la persona esposta al monossido di carbonio viene messa in camera iperbarica.

L’ossigeno disciolto nel sangue si lega all’emoglobina all’interno dei globuli rossi secondo la reazione di equilibrio:

Hb(aq) + 4 O2(aq) ⇌ Hb(O2)4(aq)

L’emoglobina, tuttavia, presenta una affinità verso il monossido di carbonio superiore a quella che ha nei confronti dell’ossigeno pertanto, in presenza di CO avviene l’equilibrio:

Hb(aq) + 4 CO(aq) ⇌ Hb(CO)4(aq)

Sommando il secondo equilibrio al primo scritto da destra a sinistra si ottiene la reazione complessiva:

Hb(O2)4(aq)  + 4 CO(aq) ⇌ Hb(CO)4(aq) + 4 O2(aq)

I legami tra emoglobina e monossido di carbonio sono circa 300 volte più forti rispetto a quelli con l’ossigeno quindi l’equilibrio è spostato verso destra.

Il colore rosso della specie predominante ovvero Hb(CO)4 è responsabile del colore rosso ciliegia che assume la cute quando un individuo è intossicato da monossido di carbonio.

Se il paziente viene posto in terapia iperbarica la reazione può essere spostata verso sinistra: secondo il Principio di Le Chatelier, infatti, aumentando la concentrazione di ossigeno diminuisce la concentrazione di Hb(CO)4 e aumenta quella di Hb(O2)4.

Con l’approssimarsi della stagione invernale, a causa di caldaie difettose aumentano ricoveri e decessi per il monossido di carbonio. Purtroppo le persone più colpite sono quelle povere che provvedono a riscaldarsi con mezzi di fortuna come bracieri, stufe malfunzionanti o bruciando semplicemente legna: in questi casi il monossido di carbonio, detto l’assassino invisibile, è sempre in agguato.

 

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