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Gruppo 15 o gruppo dell’azoto

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Il gruppo 15  o gruppo dell’azoto della tavola periodica detto dei pnicogeni è costituito da azoto, fosforo, arsenico, antimonio, bismuto e moscovium.

A quest’ultimo elemento avente numero atomico 115, inserito inizialmente nella tavola periodica con il nome provvisorio di Ununpentium, è stato dato il nome definitivo di moscovium.

Questi elementi appartengono al blocco p è hanno configurazione elettronica esterna ns2, np3.

L’azoto e il fosforo sono non metalli, l’arsenico e l’antimonio sono semimetalli e il bismuto è un metallo.

Questi elementi sono meno reattivi rispetto a quelli del gruppo 16 ovvero del gruppo dell’ossigeno e hanno diversi numero di ossidazione tra cui +3 e +5 che sono tra i più comuni. Possono avere numero di ossidazione -3 sebbene la tendenza ad avere tale numero di ossidazione diminuisce dall’alto verso il basso a causa della minore elettronegatività degli elementi più pesanti rispetto agli omologhi più leggeri.

L’azoto ha una scarsa tendenza a formare legami N-N a causa della repulsione degli elettroni di non legame che avviene quando i raggi atomici sono piccoli e pertanto tende a formare legami multipli. La molecola N2 in cui l’azoto forma un triplo legame è un gas inerte scarsamente reattivo.

Fosforo, arsenico e antimonio tendono invece a formare molecole tetratomiche P4, As4 e Sb4 e sono inoltre presenti in più forme allotropiche.

L’azoto è un elemento essenziale per la crescita e la riproduzione di animali e piante: esso è uno dei costituenti degli amminoacidi che compongono le proteine e degli acidi nucleici deputati alla conservazione e al trasporto dell’informazione genetica e in forma molecolare costituisce circa l’80% dell’aria. L’azoto è presente in molte molecole organiche e inorganiche e va incontro a molte trasformazioni nell’ecosistema passando la una forma all’altra che rientrano nel ciclo dell’azoto.

L’azoto forma con i metalli i nitruri in cui ha numero di ossidazione -3, l’ammoniaca e lo ione ammonio, l’idrazina, una molteplicità di ossidi come N2O, NO2, NO, N2O3, N2O4, N2O5, gli acidi HNO2 e HNO3 e molti sali da essi derivanti tra cui il nitrato di sodio NaNO3 e il nitrato di potassio KNO3. E’ presente in molti composti organici quali ammine, ammidi, immine, immidi, nitrili e sali di diazonio.
Trova largo impiego nella fabbricazione di coloranti, fertilizzanti ed esplosivi.

Il fosforo è un elemento presente in molecole biologiche di importanza strategica per l’uomo; lo si trova sotto forma di fosfato nel DNA, RNA, ATP e fosfolipidi

Forma gli ossidi P4O6 in cui ha numero di ossidazione +3 spesso indicato semplicemente come P2O3 e P4O10 ove ha numero di ossidazione +5. Forma numerosi ossiacidi il più importante dei quali è l’acido fosforico H3PO4. Il fosforo forma due idruri: la fosfina PH3 e la difosfina P2H4 analoghe rispettivamente all’ammoniaca e all’idrazina. Forma inoltre solfuri e alogenuri.

Il fosforo viene utilizzato, nelle sue varie forme, per ottenere fertilizzanti, vetri speciali, in alcune leghe, come addolcente delle acque e nell’industria bellica per la produzione di bombe incendiarie, fumogene e proiettili traccianti.

L’arsenico forma composti analoghi al fosforo sebbene sia meno frequente quando ha numero di ossidazione +5. Come il fosforo forma un idruro AsH3 nota come arsina. L’arsenico viene comunemente usato come dopante di tipo n nei semiconduttori e un suo composto, l’arseniuro di gallio, caratterizzato da elevata mobilità di portatori liberi di cariche, viene usato in dispositivi elettronici ad alta velocità, nelle celle fotovoltaiche d nei dispositivi emettitori di luce.

I composti dell’arsenico come l’arseniato di piombo Pb3(AsO4)2 sono usati come insetticidi o, come nel caso dell’arseniato di calcio Ca3(AsO4)2, come erbicidi.

L’arsenico, la cui tossicità era nota fin dall’antichità, può essere facilmente rilevabile con il saggio di Marsh.

L’arsenico viene inoltre utilizzato nei fuochi pirotecnici sotto forma di disolfuro As2S2 per colorare la fiamma di rosso.

L’antimonio è noto da migliaia di anni e gli antichi Egizi usavano la stibnite costituita da solfuro di antimonio Sb2S3 per uso cosmetico ed in particolare come eyeliner.

L’antimonio è un semimetallo e ha una conducibilità termica ed elettrica minore rispetto a quella dei metalli.

L’antimonio presenta una particolare proprietà tipica dell’acqua che è quella di occupare un volume maggiore allo stato solido rispetto allo stato liquido.

L’antimonio ha come numeri di ossidazione più comuni +3 e +5 sebbene quest’ultimo sia il più stabile. Come gli altri elementi del gruppo forma numerosi ossidi Sb4O6 dove presenta numero di ossidazione +3 e Sb5O10 dove presenta numero di ossidazione +5 e l’idruro di antimonio SbH3 noto con il nome di stibina. Il comportamento semimetallico dell’antimonio può essere evidenziato dal comportamento anfotero di Sb(OH)3  che si comporta da base con l’acido cloridrico secondo la reazione:

Sb(OH)3 + 3 HCl → SbCl3 + 3 H2O

e da acido comportandosi come acido antimonioso H3SbO3 nella reazione con idrossidi alcalini per dare un antimonito secondo la reazione:

H3SbO3 + 3 NaOH → Na3SbO3 + 3 H2O

L’antimonio (III) forma il solfuro Sb2S3 dal tipico colore arancio per reazione dell’acido solfidrico con un sale di antimonio (III) secondo la reazione:

2 Sb3+ + 3 H2S→  Sb2S3 + 3 H2

Questa reazione viene sfruttata nell’ambito dell’analisi chimica qualitativa per la determinazione dell’antimonio che avviene nel secondo gruppo analitico.

L’ossido di antimonio (V) reagisce con soluzioni basiche per formare gli antimoniati secondo la reazione:

Sb2O5 + 6 KOH → 2 K3SbO4 + 3 H2O

L’antimonio è usato nell’industria elettronica per realizzare semiconduttori, rilevatori di infrarosso e diodi. Viene inoltre usato in lega con il piombo o altri metalli per migliorarne la durezza e la resistenza. I composti dell’antimonio vengono usati per realizzare materiali ignifughi, vernici, smalti, vetro e ceramica.

Il bismuto ha come numeri di ossidazione più comuni +3 più stabile e +5.

 L’idruro o bismutina BiH3 è il più instabile della famiglia ed è stato ottenuto solo in tracce. L’unico ossido importante è Bi2O3 che si ottiene per combustione dell’elemento; è una polvere gialla con caratteristiche di ossido basico. Trattando con basi le soluzioni di sali di bismuto precipita l’idrossido Bi(OH)3 solubile in acidi.

I sali come BiCl3, Bi(NO3)3 e Bi2(SO4)3 si idrolizzano in acqua dando luogo alla precipitazione di sali basici contenenti il catione bismutile BiO+ come:

BiCl3 + H2O ⇄ BiOCl + 2 H+ + 2 Cl-

I sali basici insolubili si disciolgono in eccesso di acidi. Lo stato di ossidazione V è molto instabile.

Trattando Bi(OH)3 con energici ossidanti
in ambiente alcalino si ottengono i bismutati energici ossidanti in soluzione acida.:

Bi(OH)3 + NaClO + NaOH → NaBiO3 + NaCl + 2 H2O

i quali, trattati con acido nitrico lasciano precipitare l’ossido idrato rosso Bi2O5 ·n H2O il quale perde facilmente ossigeno per ridare il triossido.

Viene usato in prodotti farmaceutici, pigmenti e cosmetici, nelle leghe per saldatura ma viene spesso sostituito al piombo per la sua minore tossicità


Cocktail molecolari

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Il progresso tecnologico, la voglia di creare nuove preparazioni, il desiderio di stupire e la crescente concorrenza hanno indotto chefs, barmen e gastronomi ad elaborare varianti inconsuete dei cibi tradizionali esplorando i meccanismi che di verificano nel corso delle trasformazioni chimiche degli alimenti facendo uso di gelatine, schiume, additivi e sostanze chimiche varie.

Dopo la cucina molecolare i cui studi sono iniziati in Francia a partire dagli anni ’80 dello scorso secolo si sono messe a punto metodologie per ottenere i cocktail molecolari che si sono rapidamente diffusi nelle maggiori città italiane locali spesso denominati molecular bar che attraggono molti avventori.

Una delle caratteristiche peculiari dei cocktail molecolari è quella di presentare delle sfere di varie dimensioni che flottano nel liquido.

Per ottenere queste sfere, all’interno delle quali è presente uno dei componenti del cocktail molecolari, si usa la tecnica della sferificazione per la quale si usano essenzialmente due componenti ovvero l’alginato di sodio, sale sodico dell’acido alginico estratto dalle pareti cellulari delle alghe e ioni calcio contenuti ad esempio nel cloruro di calcio, nel lattato di calcio o nel gluconato di calcio.

Il sale di calcio viene sciolto in acqua distillata mentre lo sciroppo, il liquore o il succo che si vuole inglobare nella sfera viene frullato con l’alginato di sodio. Tale preparato viene fatto cadere con una siringa nel bagno contenente lo ione calcio. L’alginato di sodio è costituito da  gruppi  –COO- e da ioni Na+ e la molecola è piuttosto flessibile e solubile

alginato di sodio

Quando la soluzione contenente alginato di sodio entra in contatto con ioni Ca2+ questi sostituiscono gli ioni sodio coordinando due gruppi –COO-

alginato di calcio

Le molecole che si formano non hanno più la flessibilità e l’aspetto allungato della precedente ma si dispongono formando una sfera costituita da una pellicola sottile. A questo punto le sfere devono essere allontanate dal bagno perché un contatto prolungato dell’alginato con ioni calcio porta alla formazione di un numero di molecole sempre maggiore e la sfera si può solidificare anche all’interno.

Affinché la preparazione si realizzi con successo è necessario che il composto che viene aggiunto inizialmente all’alginato non abbia un’eccessiva acidità quindi la sferificazione non è possibile se si usa succo di limone.

A valori di pH minori di 5 la concentrazione idrogenionica è sufficientemente alta da essere competitiva con lo ione calcio nei confronti dell’alginato. Gli ioni H+ hanno la stessa carica degli ioni Na+ e quindi quando li rimpiazzano danno luogo alla formazione di una molecola ancora filamentosa e flessibile quindi non avviene la sferificazione. Nel caso quindi si voglia adoperare succo di limone che contiene l’acido citrico bisogna aggiungere citrato di sodio in modo da ottenere una soluzione tampone la cui formazione fa sì che l’alginato si combini con lo ione calcio.

I progressi della cucina molecolare ovviamente non si fermano qui ma è bello, per un chimico, sapere chele conoscenze acquisite in decenni di studi siano messe a frutto anche per avvicinare anche i più riottosi al mondo affascinante e multiforme della chimica.

Nichel

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Il nichel è un metallo di transizione del blocco d   appartenente al 4° Periodo e al Gruppo 10 della Tavola Periodica con numero atomico 28 ed ha pertanto configurazione elettronica [Ar] 4s23d8.

E’ un metallo duro e molto resistente alla corrosione tanto da essere usato per rivestire altri metalli per proteggerli dalla corrosione. Il nichel fu isolato per la prima volta e riconosciuto come un nuovo elemento dal chimico svedese Axel Fredrik Cronstedt nel 1751 nel tentativo di estrarre il rame dalla niccolite. Il nichel, infatti, pur essendo stato largamente utilizzato sin dall’antichità non veniva riconosciuto come tale e ad esso veniva spesso dato il nome di rame bianco o falso rame.

Il nichel ha un elevato punto di fusione, è resistente all’ossidazione, è duttile, è magnetico a temperatura ambiente, ha proprietà catalitiche e può essere depositato per elettrodeposizione. Per queste sue caratteristiche il nichel viene usato nei campi più svariati che vanno da quello aerospaziale, militare, navale e architettonico anche se il suo maggiore utilizzo è nella produzione dell’acciaio inossidabile in lega con il cromo. In lega con l’alluminio, dopo opportuni trattamenti, si ottiene il Nichel Raney che ha ottime proprietà catalitiche con particolare riferimento alle reazioni di idrogenazione.

Il nichel è presente insieme al rame nella moneta statunitense da 5 cents che è quindi detta nichelino.

Il nichel è inoltre un micronutriente delle piante dove viene assorbito sotto forma di Ni2+ e gioca un ruolo fondamentale nell’attivazione dell’ureasi. Tale enzima catalizza l’idrolisi dell’urea in NH3 e carbammato il quale si decompone in CO2.

Il nichel ha come numero di ossidazione +2 ma può essere rinvenuto anche con altri numeri di ossidazione.
In particolare il nicheltetracarbonile Ni(CO)4 è un complesso in cui il nichel ha numero di ossidazione zero. Tale complesso altamente tossico e volatile viene detto “morte liquida” fu sintetizzato alla fine del 1800 a partire da nichel e monossido di carbonio. Viene usato nella sintesi degli acrilati a partire da acetilene e etanolo in quanto rilascia monossido di carbonio.

In acqua lo ione Ni2+ si coordina a sei molecole di acqua per dare lo ione complesso [Ni(H2O)6]2+ esaaquonichel (II) di colore verde. I sali di nichel sono abitualmente solubili in acqua ad eccezione del solfuro NiS, carbonato NiCO3, fosfato Ni3(PO4)2, cianuro Ni(CN)2 e idrossido Ni(OH)2. Quest’ultimo viene solubilizzato dall’ammoniaca in quanto si forma lo ione complesso [Ni(NH3)6]2+ esamminonichel (II) di colore blu.

Il nichel forma ossidi in cui è presente con numero di ossidazione +2, +3 e +4. Il monossido di nichel NiO è utilizzato per ottenere ceramiche e porcellane mentre quello sinterizzato viene usato per la produzione di leghe. L’ossido di nichel (III) Ni2O3  è usato come catodo nelle batterie ricaricabili.

I composti in cui il nichel ha numero di ossidazione +2 hanno molte applicazioni industriali: il cloruro NiCl2 e il nitrato di nichel Ni(NO3)2 vengono impiegati in bagni per l’elettrodeposizione del nichel, mentre il solfato di nichel NiSO4 viene usato per la preparazione di catalizzatori, etanolo, smalti e mordenti per la tintura dei tessuti.

Il nichel si trova in molti alimenti come asparagi, funghi, nocciole, mandorle, legumi, ostriche, lattuga e carote e in alcuni soggetti può dare allergia che si può manifestare sotto forma di prurito, dermatiti e afte ma in taluni casi anche gonfiore addominale, nausea e mal di testa. Per una corretta diagnosi si può fare il patch test e affidarsi al medico. Si tenga presente che il nichel non è solo presente negli alimenti ma anche in alcuni cosmetici ed in particolare rimmel e ombretto ed inoltre può essere contenuto anche negli inchiostri per tatuaggi.

Equazione di Mark–Houwink–Sakurada

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Le catene polimeriche che si formano durante una reazione di polimerizzazione sono di lunghezza variabile e pertanto non è possibile la determinazione del peso molecolare in modo puntuale come avviene per le normali molecole.

Si ricorre pertanto a varie tecniche per la determinazione del peso peso molecolare medio tra cui il metodo viscosimetrico poiché la lunghezza della macromolecola influenza molte delle proprietà del materiale tra cui la sua viscosità.

La caratteristica dei polimeri è infatti quella di far aumentare notevolmente la viscosità dei liquidi in cui essi sono disciolti.

Tra le grandezze viscosimetriche vi è la viscosità relativa data da:

η rel = η /ηo

dove η è la viscosità della soluzione e ηo è la viscosità del solvente.

La viscosità intrinseca [η] è un numero adimensionale e rappresenta la misura del contributo del soluto alla viscosità della soluzione ed è definita come:

[η] = lim per (φ →0 )  di η – ηo/ ηoφ

essendo φ la frazione di volume del soluto nella soluzione.

Abitualmente φ viene espresso in termini di concentrazione del soluto con unità di misura g/dL e quindi l’unità di misura di [η] è dL/g

La relazione empirica che correla viscosità intrinseca e peso molecolare è data dall’equazione di Mark–Houwink–Sakurada per la quale:

[η] = KMa   (1)

Ovvero

ln [η] = ln K+ a ln M  (2)

Dove K e a sono costanti empiriche calcolate per un dato polimero in un determinato solvente ad una temperatura assegnata.

Il valore di K è influenzato dalla distribuzione del peso molecolare della specie polimerica usata nella determinazione pertanto le costanti K e a devono essere valutate misurando le viscosità intrinseche e i relativi pesi molecolari di una serie di polimeri in un ampio range di pesi molecolari al fine di ottenere un andamento il più possibile lineare che rappresenta l’equazione (2).

Equazione di Mark–Houwink–Sakurada

 I pesi molecolari vengono determinati con metodi assoluti tramite, ad esempio, la pressione osmotica.

Idrogeno metallico

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Nella classificazione degli elementi si indica il loro stato di aggregazione e le loro proprietà tra cui quella di condurre calore ed elettricità tipica dei metalli. Si è portati quindi a ritenere che le proprietà di un metallo, un gas o un non metallo siano sempre gli stessi ma in realtà sono quelle che gli elementi esibiscono sulla Terra.

Nell’Universo in cui si verificano casi di pressione e temperatura inusitate sulla Terra si ha una modificazione delle le proprietà degli elementi: Plutone, ad esempio, è ricoperto di azoto solido, mentre in alcuni pianeti extrasolari, ovvero quei pianeti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole, la pioggia è costituita da metallo liquido.

Vicino ai nuclei dei giganti gassosi ovvero dei pianeti non costituiti prevalentemente da roccia, gli elementi sono sottoposti a pressioni estreme che sono in grado di riorganizzare gli orbitali atomici con conseguenti variazioni dei tipi di legame che osserviamo sulla Terra.

Già 80 anni fa i fisici Wigner e Huntington ipotizzarono l’esistenza di idrogeno metallico a pressioni estreme ma tali supposizioni non erano state supportate da evidenze sperimentali tanto che l’idrogeno metallico fu descritto come “il Santo Graal della fisica ad alta pressione”.

L’idrogeno è il più semplice degli elementi e, nella sua forma isotopica più diffusa, detta Protio, è costituito da un nucleo contenente un solo protone, e da un elettrone. È l’elemento più leggero e, secondo la meccanica quantistica, ha un’energia significativa anche a bassissime temperature motivo per il quale ha una temperatura di solidificazione di 14 gradi oltre lo zero assoluto.

Nel 2011 gli scienziati della NASA ipotizzarono che l’idrogeno metallico, metastabile a temperatura e pressione ambiente, potesse costituire il miglior combustibile chimico per i razzi in quanto gli atomi si sarebbero ricombinati spontaneamente per formare H2 e si ipotizzò di iniettare elettroni all’idrogeno allo stato solido per trasformare l’idrogeno solido sotto forma molecolare in idrogeno metallico.

La metallizzazione dell’idrogeno che costituisce un esempio di materia degenere avviene con un cambiamento di fase della materia in cui si forma un reticolo cristallino costituito dai nuclei atomici dell’idrogeno ovvero da soli protoni con elettroni delocalizzati.

idrogeno metallico

Nel gennaio del 2016 secondo una pubblicazione di Dalladay-Simpson , Howie e Gregoryanz dell’Università di Edinburgo sul Journal Nature se si pone una piccola quantità di idrogeno tra due incudini di diamante e si sottopone il sistema a 384 GPa l’idrogeno diviene solido formando una struttura cristallina. E’ quindi la prima volta che si osserva idrogeno solido a temperatura ambiente e questa nuova forma della materia è stata detta Fase V. L’ampiezza della fenditura tra i due incudini di diamante non ha tuttavia consentito di introdurre un elettrodo che potesse rilevare la conducibilità del materiale.

Normalmente l’idrogeno si trova in forma molecolare e il legame avviene tra i due atomi che condividono i 2 elettroni di legame che si trovano in un orbitale molecolare di tipo σ. Questo  legame determina molte delle proprietà della molecola tra cui la lunghezza d’onda della luce assorbita quando gli elettroni passano a un livello eccitato. L’idrogeno molecolare è trasparente alla luce visibile in quanto non assorbe alcuna radiazione che ricade nel campo visibile.

I ricercatori hanno rilevato che quando l’idrogeno è stato reso solido, e secondo l’ipotesi si è metallizzato, deve essersi verificata la rottura del legame e la formazione di elettroni di conduzione che viene rivelata dalla comparsa di una colorazione scura del materiale come viene mostrato dalla luce visibile trasmessa e riflessa.

Essi si sono avvalsi anche della spettroscopia Raman che si basa sul fenomeno della diffusione di una radiazione elettromagnetica monocromatica proveniente da una sorgente laser da parte del campione.

Questa tecnica analitica fornisce informazioni sulla struttura dei livelli energetici vibrazionali molecolari. I due modi di vibrazione presenti in una molecola di H2 iniziano a scomparire alla pressione con la quale è stato effettuato l’esperimento e le intensità dei rimanenti modi vibrazionali decrescono rapidamente.

Tuttavia poiché sono ancora presenti indizi di un legame i ricercatori ritengono che questa sia una fase nuova dell’idrogeno e ipotizzano che a pressioni maggiori si formi idrogeno metallico.

Metallocene

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Il termine metallocene deriva da ferrocene che fu il primo composto avente tali caratteristiche ad essere sintetizzato per caso indipendentemente da due gruppi di ricercatori che ottennero il composto dalla reazione tra bromuro di ciclopentadienilmagnesio e cloruro di ferro (II).

Da caratterizzazioni effettuate con la Risonanza Magnetica Nucleare e con la Diffrazione di Raggi X si è determinata la struttura del ferrocene in cui i sei elettroni  π dell’anione ciclopentadienilico si legano allo ione centrale Fe2+. Quest’ultimo che ha una configurazione esterna 3d6, legandosi a due anioni ciclopentadienilici viene ad avere un totale di 18 elettroni assumendo la configurazione del gas nobile Kripton e risultando quindi particolarmente stabile.

A seguito della scoperta del ferrocene si rese necessaria una nomenclatura per questi tipi di composti e Cotton propose di anteporre la notazione ηη al nome dell’olefina per indicare il numero di atomi legati al metallo coniando il termine di apticità. Nel caso del ferrocene e quindi dei metalloceni in cui lo ione centrale è legato ai 5 atomi di carbonio dell’anione ciclopentadienilico si usa la notazione η5 che si pronuncia pentaapto

metallocene

Sintesi

I metalloceni possono essere ottenuti:

1)      Dal sale metallico e dal ciclopentadienuro di sodio ottenuto dalla deprotonazione del ciclopentadiene ad opera di una base forte:

MCl2 + 2 NaC5H5 → 2 (C5H5)2M + 2 NaCl

2)      Dal metallo in fase gassosa e dal ciclopentadiene:

M + 2 C2H6 → (C5H5)2M + H2

3)      Dall’anione ciclopentadienilico e un opportuno reagente. Ad esempio il cromocene è ottenuto dal cromo esacarbonile e ciclopentadiene:

Cr(CO)6 + 2 C2H6 → (C5H5)2Cr + H2 + 6 CO

I metalloceni danno luogo a reazioni di sostituzione come l’acilazione di Friedel- Craft in presenza di  cloruro di acetile e cloruro di alluminio.

I metalloceni contenenti Titanio, Zirconio e Afnio vengono usati in molte reazioni tra cui come catalizzatori nella polimerizzazione delle olefine e come reagenti per reazioni stereospecifiche.

Piroforicità

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La piroforicità è quel fenomeno per il quale alcune sostanze dette piroforiche danno luogo a una combustione spontanea a contatto con l’aria ad una temperatura di 54°C o anche più bassa.

I materiali piroforici possono presentarsi in fase solida, liquida o gassosa. I fattori che influenzano la piroforicità di un materiale sono svariati; nel caso di un materiale solido se è finemente suddiviso e presenta quindi un’elevata area superficiale ha una maggiore piroforicità.

I materiali piroforici sono tendenzialmente igroscopici e quindi in presenza di umidità tendono ad assorbire acqua liberando una notevole quantità di calore che fa aumentare la temperatura del materiale fino a provocare l’autoaccensione.

Alcuni materiali piroforici vengono usati da soli o in lega per la produzione di pietrine per accendisigari, come catalizzatori come quelli contenenti cobalto e nichel per la possibile formazione di metallo carbonili e come reattivi nelle sintesi organiche.

Le leghe piroforiche trovano impiego nella preparazione di apparecchi di accensione del tipo più svariato e sono costituite generalmente da ferro e cerio e lantanio.

E’ necessario quindi conoscere i materiali piroforici onde evitare possibili incidenti e operare secondo criteri di sicurezza sebbene vi siano sostanze subdole, apparentemente innocue come polveri fini di ossidi metallici che possono essere piroforiche.

Tra i materiali piroforici solidi si annoverano:

1)      Il fosforo bianco P4 che oltre a essere piroforico dà luogo alla formazione di anidride fosforica P2O5 che reagisce con i composti contenenti acqua disidratandoli con formazione di acido fosforico H3PO4 e calore che brucia i tessuti molli provocando la distruzione dei tessuti organici

2)      Metalli alcalini e alcuni metalli in polvere finemente suddivisa come alluminio, magnesio, titanio, zirconio

3)      Reattivi di Grignard

4)      Composti organometallici

5)      Catalizzatori usati nelle reazioni di idrogenazione come il Nichel Raney

Tra i materiali piroforici liquidi si annoverano:

1)      Composti metallorganici in cui sono presenti alluminio, gallio, indio e zinco

2)      Trietilborano usato per promuovere l’accensione di carburanti in aviogetti e razzi

3)      t-butillitio energico nucleofilo

4)      Zincodietile utilizzato come nucleofilo in reazioni di addizione al gruppo carbonilico

5)      Trietilalluminio utilizzato come co-catalizzatore nei catalizzatori Ziegler Natta per la produzione di polietilene e polipropilene che, oltre ad essere piroforico, reagisce violentemente con l’acqua liberando gas infiammabili

Tra i materiali piroforici gassosi si annoverano:

1)      Idruri di non metalli come fosfina, arsina, diborano e silani

2)      Metallocarbonili come Ni(CO)4, Fe(CO)5 e Co2(CO)8

Gruppo 14 o gruppo del carbonio

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Il Gruppo 14 o gruppo del carbonio detto anche dei cristallogeni è costituito da Carbonio, Silicio, Germanio, Stagno, Piombo e Flerovio.

Gli elementi del gruppo appartengono al blocco p e hanno una configurazione elettronica che termina in ns2,np2; il numero di ossidazione più comune per tali elementi è +4 come nei composti CCl4, SiCl4 e SnO2; scendendo lungo il gruppo sono comuni anche numeri di ossidazione +2 come nel caso di SnCl2 e PbO. Mentre nel caso dello stagno il numero di ossidazione più stabile è +2, il piombo ha come numero di ossidazione più stabile +4.

Per quanto attiene il carbonio, esso dà luogo alla formazione di composti inorganici e composti organici; in questi ultimi mostra numero di ossidazione che vanno da – 4 a +4.

Gli elementi di questo gruppo seguono il trend previsto dalle proprietà periodiche: il raggio atomico aumenta dall’alto verso il basso come il carattere metallico mentre l’energia di ionizzazione diminuisce dall’alto verso il basso.

Le proprietà degli elementi tuttavia varia notevolmente: il carbonio è un non metallo, il silicio e il germanio sono metalloidi e si comportano da semiconduttori mentre lo stagno e il piombo sono metalli e il flerovio è un elemento sintetico e radioattivo.

Come avviene per gli elementi del Gruppo 13 anche per gli elementi del Gruppo 14 si verifica una inversione nella tendenza di alcune proprietà come l’energia di ionizzazione per il secondo e il terzo elemento.

Gli elementi del Gruppo 14 si presentano in diverse forme allotropiche stabili e metastabili alcune delle quali sono usate dall’industria.

Tutti gli elementi, ad eccezione del piombo si presentano in più forme allotropiche ma per la loro importanza si annoverano quelle del carbonio e del silicio.

Il carbonio infatti si può trovare sotto forma di grafite che è la forma termodinamicamente più stabile, diamante, grafene e fullerene mentre il silicio si presenta in forma amorfa e cristallina. Il crescente interesse nei confronti del silicio per le sue applicazioni nel campo dei pannelli solari ha fatto sì che siano state scoperte nuove forme come quella ortorombica Si24.

Gli elementi del Gruppo 15 formano ossidi ed in particolare il carbonio forma il biossido di carbonio CO2 che si forma da reazioni di combustione ed è un gas prodotto dall’attività metabolica del corpo umano e il monossido di carbonio CO ottenuto da reazioni di combustione incompleta e il subossido di carbonio C3O2 usato nella sintesi dei malonati.

Il silicio forma un solo ossido stabile SiO2 scarsamente solubile in acqua.

Il germanio forma il biossido GeO2 utilizzato quale materiale ottico per lenti grandangolari e il monossido GeO che ha un comportamento anfotero.

Lo stagno forma il monossido SnO usato quale agente riducente e il biossido SnO2 usato, insieme all’ossido di vanadio quale catalizzatore nell’ossidazione dei composti aromatici nella sintesi di anidridi e acidi carbossilici.

Il piombo forma il monossido PbO usato nel vetro e nei componenti di computer, il biossido PbO2 agente ossidante usato nei fuochi d’artificio e nei coloranti e Pb3O4 usato nei cristalli e nelle batterie.

L’acidità degli ossidi degli elementi del Gruppo 15 decresce lungo il gruppo: CO2 e SiO2 hanno un comportamento acido, GeO2 è lievemente acido mentre SnO2 e PbO2 sono anfoteri.

Tutti gli elementi del Gruppo 15 formano cloruri di formula MCl4 la cui stabilità decresce lungo il gruppo e il cloruro più stabile del piombo è infatti PbCl4: il cloruro di piombo (IV) infatti tende a decomporsi in cloruro di piombo (II) e cloro anche a basse temperature. Il cloruro di stagno (IV) si decompone a cloruro di stagno (II) ad alte temperature. Ad eccezione del tetracloruro di carbonio i cloruri degli altri elementi idrolizzano secondo la reazione

SiCl4 +2 H2O → SiO2 + 4 HCl

Per sostituzione di uno o più atomi di cloro con il fluoro il tetracloruro di carbonio dà luogo alla formazione dei fluoroclorocarburi CFC noti come freon usati quali refrigeranti e propellenti che reagiscono con l’ozono e sono, tra gli altri, responsabili del suo assottigliamento nell’ozonosfera.

Silicio e germanio reagiscono ad alte temperature con l’azoto per dare i nitruri M3N4:

3 Si + 2 N2 → Si3N4

Il nitruro di silicio viene usato, tra l’altro, nell’ambito dell’industria automobilistica per la sua elevata resistenza meccanica alle alte temperature.

Gli elementi del Gruppo 15 si legano con l’idrogeno: il carbonio forma gli alcani aventi formula CnH2n+2, cicloalcani CnHn, alcheni CnHn, alchiniCnH2n-2, benzene C6H6.

Il silicio forma un numero limitato di idruri SiH4 detto silano e Si2H6  detto disilano; analogamente il germanio e lo stagno formano due idruri rispettivamente di formula GeH4 detto germano gas tossico e piroforicotrovato nell’atmosfera di Giove e Ge2H6 detto digermano usato come precursore del germanio e SnH4 detto stannano che si decompone a temperatura ambiente per dare stagno e idrogeno gassoso e Sn2H6.


Titanato di alluminio

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Il titanato di alluminio Al2TiO5 detto tialite è un materiale ceramico costituito da una miscela di ossido di alluminio Al2O3 e biossido di titanio TiO2 che danno luogo alla formazione di una soluzione solida in proporzione stechiometrica 1:1.

Viene preparato riscaldando la miscela dei componenti ad una temperatura al di sopra dei 1350°C a pressione atmosferica. Il titanato di alluminio, tuttavia, è instabile a una temperatura maggiore di 750°C a cui la soluzione solida si decompone dando luogo a una reazione eutettoide

reazione eutettoide

che porta alla separazione dei due componenti.

Per tale motivo il titanato di alluminio viene dopato con MgO, SiO2 e ZrO2per stabilizzare la struttura della soluzione solida che contiene comunque una certa quantità degli ossidi di alluminio e di titanio e pertanto non omogenea.

Il  titanato di alluminio è caratterizzato da una eccellente resistenza agli shock termici e conseguentemente bassissimo coefficiente di dilatazione termica, da una bassa conducibiltà termica, basso modulo elastico una buona resistenza chimica che lo rendono un materiale utilizzato in svariate applicazioni.

Queste proprietà derivano da una elevata porosità e da microfessure derivanti da una elevata anisotropia del materiale: i cristalli infatti mostrano diversi coefficienti di dilatazione termica lungo i tre assi, infatti, mentre l’espansione sugli assi a e b è positiva, risulta negativa sull’asse c. Come risultato di ciò tale fenomeno porta alla formazione di microfessure che conferiscono al materiale, una volta riscaldato, una bassa resistenza che ne limita gli utilizzi.

Per le sue caratteristiche il titanato di alluminio viene adoperato per ottenere crogioli di colata, filtri antiparticolato nei motori diesel, tubi, condutture, stampi nel settore del vetro, anelli distanziatori di convertitori catalitici, isolante termico.

Al fine di ottenere il titanato di alluminio con costi minori e migliori prestazioni sono stati studiati metodi di sintesi alternativi tra cui un nuovo processo che prevede la decomposizione termica di una soluzione contenente acido nitrico, acido fluoridrico e quantità stechiometriche di alluminio e titanio. La soluzione viene iniettata in un reattore riscaldato in cui avviene la formazione degli ossidi prevalentemente amorfi in una forma omogenea e finemente dispersa altamente reattiva.

Le caratterizzazioni effettuate tramite diffrazione di raggi X mostrano la formazione di biossido di titanio sotto forma di anatasio, ossidi di titanio complessi come Ti3O5, titanato di alluminio e ossido basico di alluminio AlO(OH) sotto forma di bohemite.  La formazione completa della tialite dalla miscela di ossidi è stata studiata tramite analisi termogravimetrica, analisi termica differenziale e termogravimetria differenziale. E’ risultato che la reazione, dipendente dal tempo, viene completata a 1400°C mentre la decomposizone nei rispettivi ossidi avviene tra 900 e 1070°C.

Anisotropia

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Una sostanza cristallina è costituita da particelle (atomi, molecole o ioni) che si presentano in una distribuzione regolare e periodica che può essere descritta con un modello geometrico regolare formato da un insieme di punti detti nodi.

Unendo i nodi con una serie di linee immaginarie si ottiene una struttura tridimensionale a cui si dà il nome di reticolo cristallino caratterizzato da nodi nei quali si trovano particelle materiali della sostanza cristallina, filari che sono formati da un insieme di nodi orientati tutti nella stessa direzione e che si trovano a una distanza costante l’uno dall’altro e piani reticolari i quali sono costituiti da un insieme di nodi che sono regolarmente arrangiati lungo una superficie.

Immaginando di spostare perpendicolarmente a sé stesso un piano reticolare, si ottiene un reticolo cristallino che è caratterizzato da tre grandezze lineari: ab e c, definite dalla distanza di due nodi consecutivi nelle tre dimensioni dello spazio e da tre grandezze angolari α, β e γ le quali sono definite dagli angoli reciproci di queste tre direzioni spaziali.

Queste sei grandezze determinano un parallelepipedo elementare la cui ripetizione lungo le tre direzioni primarie, si può immaginare che dia origine all’intero edificio del reticolo cristallino.

I solidi cristallini, i cristalli liquidi, il legno, i materiali compositi rinforzati con fibre sono caratterizzati dall’anisotropia per la quale alcune proprietà, tra cui l’indice di rifrazione, l’assorbanza e la resistenza alla trazione variano in funzione della direzione da cui vengono misurate.

L’ indice di rifrazione delle sostanze anisotrope varia a seconda della direzione della luce. In particolare questa caratteristica fa sì che il raggio luminoso venga separato in due raggi di diversa polarizzazione, che vengono rifratti in modo diverso: tale fenomeno è detto birifrangenza.

I materiali amorfi che non presentano una struttura cristallina, di contro, sono isotropi ovvero le loro proprietà fisiche sono indipendenti dalla direzione in cui vengono misurate. Tuttavia si possono produrre fenomeni di anisotropia artificiale in sostanze amorfe in conseguenza di determinate sollecitazioni: ad esempio un corpo isotropo può diventare anisotropo se viene deformato o un dielettrico otticamente isotropo può divenire otticamente anisotropo quando viene sottoposto a un forte campo elettrico uniforme esteso.

Processo Czochralski

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Il processo Czochralski prende il nome dal chimico polacco Jan Czochralski che nel 1916 pubblicò una sua ricerca che permette di realizzare la crescita di cristalli di estrema purezza usati successivamente per ottenere cristalli singoli utilizzabili nei semicinduttori ad esempio al silicio, germanio e arseniuro di gallio oppure metalli come palladio, platino, oro, e argento o sali e gemme sintetiche.

La scoperta avvenne in modo casuale mentre studiava la velocità di cristallizzazione dei metalli quando, invece di intingere la sua penna nell’inchiostro, la mise nello stagno fuso e ottenne un filamento del metallo che scoprì essere un cristallo singolo. Nel 1948 con questo metodo furono ottenuti cristalli singoli di germanio e nel 1949 quelli di silicio e il silicio monocristallino ottenuto con questo metodo viene spesso indicato come Cz-Si.

Si stima che il 99% di tutti i semiconduttori siano realizzati in silicio monocristallino e, sebbene esistano diversi metodi per ottenere wafer di silicio su cui vengono costruiti circuiti integrati attraverso drogaggi, il processo Czochralski è uno dei più utilizzati per l’elevatissimo grado di purezza.

Il silicio, ad elevata purezza, viene introdotto in un crogiolo di quarzo dove vengono aggiunti in quantità precise, a seconda del risultato desiderato il fosforo o arsenico che sono dopanti di tipo n o il boro che è un dopante di tipo p.

Quando il silicio è drogato con fosforo o di arsenico, gli atomi di questi droganti sostituiscono atomi di silicio nel reticolo cristallino del semiconduttore, ma poiché hanno un elettrone esterno in più del silicio, essi tendono a fornire questo elettrone alla banda di conduzione. Quando il silicio è drogato con il boro che ha un elettrone esterno in meno del silicio esso tende a prendere un elettrone dalla banda di valenza, e quindi a creare una lacuna.

Alla temperatura di 1425°C il silicio fonde e il processo consiste nel sollevamento verticale di un seme monocristallino di silicio costituito da un’asta con sopra un sottile strato di silicio in forma monocristallina, immerso inizialmente per pochi millimetri nel crogiolo. Gli atomi di silicio fuso a contatto con il seme monocristallino si orientano secondo il reticolo atomico della struttura del silicio e, attraverso un processo contemporaneo di sollevamento e rotazione si ha una progressiva solidificazione all’interfaccia fra solido e liquido, che genera un monocristallo di grandi dimensioni.

Il controllo della temperatura del materiale fuso, dell’atmosfera nella camera e della velocità di estrazione, consente l’ottenimento di fusi perfettamente cilindrici e altamente puri che vengono tagliati con un disco diamantato per ottenere i wafer.

Circa duemila anni fa dalla sabbia che contiene un’elevata quantità di silicio veniva ottenuto il vetro e oggi, dopo tante ricerche e studi lo stesso elemento costituisce un

Dalla sabbia che contiene un’elevata quantità di silicio fin dall’antichità si otteneva il vetro e dopo un paio di millenni lo stesso elemento costituisce il materiale base per ottenere chip elettronici. Certo che un po’ di cammino è stato fatto.

 

Titanio

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Il titanio è un metallo di transizione appartenente al 4° Periodo e al 4° Gruppo avente configurazione elettronica [Ar],3s2,3d2 con numeri di ossidazione +4, +3, +2, +1, -1 e -2.

E’ un metallo leggero, resistente, di colore bianco metallico che in presenza di ossigeno si passiva ricoprendosi di una patina di ossido e pertanto non viene attaccato da acidi, dalle basi e da agenti ossidanti.

Fu scoperto dal Pastore inglese William Gregor nel 1791 nell’ambito degli studi dell’ilmenite, minerale costituito da ferro e titanio. Fu solo nel 1910 che l’ingegnere metallurgico Matthew Albert Hunter, con l’intento di ottenere un metallo ad alta temperatura di fusione per sostituire i filamenti di carbonio usati a quel tempo nelle lampadine elettriche, ottenne il metallo ad alto grado di purezza tramite il processo Hunter dalla riduzione del tetracloruro di titanio in presenza di sodio metallico secondo la reazione:

TiCl4 + 4 Na → Ti + 4 NaCl

Il metallo ottenuto, del quale si sarebbero scoperte successivamente le potenzialità, aveva tuttavia una temperatura di fusione molto minore a quella auspicata ed inoltre tale processo si rivelò scarsamente efficiente e fu utilizzato solo in laboratorio e non per scopi industriali.

Fu solo nel 1940 che Wilhelm Kroll mise a punto il processo Kroll tramite il quale viene ottenuto il titanio che consiste di quattro stadi:

1)      Clorurazione

2)      Purificazione

3)      Ottenimento di titanio poroso

4)      Ottenimento di titanio

1) I minerali contengono il titanio abitualmente sotto forma di ossido TiO2 che si presenta stabile alle alte temperature e resistente agli attacchi chimici, inoltre esso non può essere ridotto con il carbonio, il monossido di carbonio o l’idrogeno e la riduzione con metalli meno elettronegativi è incompleta. Se l’ossido viene convertito in tetracloruro di titanio TiCl4 il processo diventa più agevole. La roccia viene trattata a circa 1000 °C in presenza di cloro e carbonio dove avviene la conversione da biossido a tetracloruro di titanio:

TiO2(s) + 2 Cl2(g) + C(s) → TiCl4(g) + CO2(g)

2) Il tetracloruro di titanio viene purificato per distillazione

3) Il tetracloruro di titanio è un liquido volatile e viene riscaldato per portarlo allo stato gassoso. Il vapore viene fatto passare in un reattore preriscaldato a circa 500 °C in atmosfera di Argon contenente magnesio in eccesso allo stato fuso. A causa delle reazioni esotermiche che danno luogo alla formazione di TiCl2 e di TiCl3 la temperatura si innalza a oltre 800 °C; per avere il processo di riduzione che avviene lentamente la temperatura viene innalzata a 1000 °C dove avviene in un tempo di 36-50 ore la reazione:

TiCl4(g) + 2 Mg(l) → Ti(s) + 2 MgCl2(s)

Il tempo necessario per raffreddare i prodotti della reazione è di almeno quattro giorni; il titanio ottenuto purificato per distillazione sotto vuoto, dà luogo al metallo presente in forma porosa

4) Il metallo in forma porosa all’interno del quale sono contenuti sali viene compresso ridotto in piccoli pezzi

Reazioni

Il titanio brucia in presenza di aria per formare biossido di titanio dando una fiamma bianca:

Ti(s) + O2(g) → TiO2(s)

Il titanio inoltre brucia in presenza di azoto puro per dare il nitruro:

2 Ti(s) + N2(s) → TiN(s)

In presenza di vapore acqueo il titanio dà luogo alla formazione di biossido di titanio e idrogeno gassoso:

Ti(s) + 2 H2O(g) → TiO2(s)  + H2(g9

Ad elevate temperature il titanio reagisce con gli alogeni per dare i rispettivi alogenuri che hanno colori caratteristici: il tetrafluoruro di titanio è bianco, il tetracloruro è incolore, il tetrabromuro è arancione mentre il tetraioduro è marrone.

Sebbene sia resistente all’azione degli acidi il titanio reagisce con acido fluoridrico diluito per dare lo ione complesso [TiF6]3- secondo la reazione:

2 Ti(s) + 12 HF(aq) → 2 [TiF6]3-(aq)  + 3 H2(aq) + 6 H+(aq)

Tra i composti più importanti del titanio vi è il biossido di titanio usato quale pigmento bianco, quale catalizzatore, nell’industria cosmetica e come filtro solare e il tetracloruro di titanio usato quale catalizzatore per la produzione di polietilene e polipropilene, nell’industria elettronica e quale acido di Lewis.

Per la sua resistenza alla corrosione e il basso peso specifico il titanio è largamente usato nelle leghe ed in particolare in leghe utilizzate in campo aerospaziale per la realizzazione di componenti per turbine, motori per jet, strutture aeree, nell’ambito dell’edilizia, per ottenere attrezzature sportive, veicoli blindati, giubbotti corazzati, caschi, gioielli, occhiali da vista, biciclette, mazze da golf.

Il titanio viene usato nell’ambito dell’implantologia dentale a causa della sua elevata biocompatibilità. Tuttavia per minimizzare il rischio di rigetto o di infezioni è necessario che l’impianto dentale sia costituito da titanio al massimo grado di purezza. A causa degli alti costi di produzione un impianto affidabile è quindi abbastanza costoso pertanto bisogna diffidare di quanti offrono impianti low cost. I pazienti dovrebbero quindi chiedere l’azienda produttrice dell’impianto e farsi rilasciare un passaporto implantare che certifichi le caratteristiche del materiale utilizzato. Basta una semplice ricerca per conoscere le poche aziende accreditate in campo mondiale evitando quelle che operano fuori da ogni controllo.

Zirconio

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Lo zirconio è un metallo di transizione appartenente al 5° Periodo e al 4° Gruppo della Tavola Periodica avente numero atomico 40 e configurazione elettronica [Kr] 4d2, 5s2.

E’ resistente alla corrosione, duttile e malleabile di colore bianco-grigio dall’aspetto simile a quello del titanio e, se ridotto in polvere, è piroforico alle alte temperature.

Il numero di ossidazione in cui lo zirconio è presente nei suoi composti è +4 ma può presentarsi anche con numero di ossidazione +3, +2, +1 e -1.

Lo zirconio fu scoperto nel 1789 dal chimico tedesco Martin Heinrich Klaproth nell’ambito dei suoi studi sul minerale zircone costituito da silicato di zirconio ZrSiO4 detto zircone e fu isolato dal chimico svedese Jacob Berzelius nel 1824 riscaldando in un tubo di ferro contenente una miscela di fluoruro di potassio e fluoruro di potassio e zirconio K2ZrF6 ottenendo una polvere amorfa scarsamente conduttrice di elettricità.

Lo zircone era conosciuto sin dall’antichità come pietra preziosa ed è stato rinvenuto in molti siti archeologici ed è citato in molti testi tra cui la Bibbia.

Solo nel 1925 i chimici olandesi Anton Eduard van Arkel e Jan Hendrik de Boer scoprirono un metodo per ottenere lo zirconio puro per decomposizione termica del tetraioduro di zirconio su un filamento di tungsteno.

La difficoltà di ottenere zirconio puro deriva dal suo comportamento chimico simile all’afnio che è quasi sempre presente nei minerali che lo contengono.

Attualmente lo zirconio viene ottenuto dai minerali contenenti il silicato di zirconio e l’ossido di zirconio (IV) tramite il processo Kroll analogamente a quanto avviene per l’ottenimento del titanio.

Tra i composti dello zirconio che hanno applicazioni industriali si ha il biossido di zirconio che è un solido bianco o giallo e un elevato punto di fusione che viene utilizzato nell’ambito della produzione delle ceramiche, come abrasivo, smalto, in campo odontoiatrico, nelle protesi ortopediche e come refrattario nell’isolamento termico.

A temperatura ambiente si presenta come una polvere bianca e oltre i 2370°C assume una struttura cristallina cubica denominata zirconia che presenta un aspetto simile al diamante che, con l’uso di appropriati dopanti assume varie colorazioni.

Un altro composto importante dello zirconio è il tetracloruro di zirconio ZnCl4 che costituisce l’intermedio per ottenere lo zirconio da ossido di zirconio che costituisce la forma più frequente presente in natura.

Viene inoltre usato nelle sintesi organiche in qualità di debole acido di Lewis nelle reazioni di reazioni di Friedel-Crafts, nella reazione di Diels-Alder e come catalizzatore per il cracking dei prodotti petroliferi e nella polimerizzazione dell’etilene.

Il tetracloruro di zirconio viene usato nel trattamento di tessuti e materiali fibrosi ai quali conferisce idrorepellenza.

Il solfato di zirconio ZrSO4 si presenta spesso idrato ed è ottenuto dalla reazione tra acido solforico e idrossido di zirconio (IV) viene usato quale pigmento stabilizzante, lubrificante, per precipitare proteine e amminoacidi e nella concia della pelle bianca.

Il silicato di zirconio ZrSiO4 trova utilizzo per sabbie da fonderia, opacizzazione della ceramica e materiali refrattari.

Dal 1960, le leghe di zirconio sono stati utilizzate come materiali strutturali all’interno dei nuclei dei reattori nucleari per la combinazione di alcune proprietà come la buona resistenza e duttilità alle temperature operative del reattore, buona resistenza alla corrosione alle alte temperature in ambienti acquosi e buona compatibilità con i materiali combustibili

Afnio

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L‘afnio è un metallo di transizione appartenente al 6° Periodo e al Gruppo 4 della Tavola Periodica avente numero atomico 72 e configurazione elettronica [Xe] 4f14,5d2, 6s2.

Il nome afnio deriva da Hafinia, il nome latino di Copenhagen, città in cui fu scoperto nel 1923 dai chimici Dirk Coster e George von Hevesy. L’esistenza di questo elemento era stata prevista dal padre della Chimica, il geniale Dmitrij Mendeleev che, nel 1869 nell’ambito delle sue ricerche sulle leggi periodiche degli elementi, aveva predetto che doveva esistere un elemento con proprietà simili a quelle del titanio e dello zirconio ma più pesante dei due.

La ricerca dell’elemento nascosto che appassionò i chimici fu risolta solo grazie alla tecnica di diffrazione dei Raggi X: analizzando un pezzo di zircone fu evidenziato un nuovo elemento che presentava proprietà chimico-fisiche del tutto analoghe a quelle dello zirconio con il quale poteva essere scambiato.

L’afnio infatti si trova in natura combinato con i minerali contenenti zirconio in ragione dall’1 al 5%  da cui è difficile separarlo e non esiste come elemento allo stato puro.

Come lo zirconio l’afnio è duttile, di colore argenteo ed è resistente alla corrosione e se ridotto in polvere sottile è piroforico;  l’unica differenza importante rispetto allo zirconio è la maggiore densità.

Cristallizza secondo un reticolo esagonale compatto ed è anisotropo

Presenta, come lo zirconio, numeri di ossidazione +4, +3, +2, +1 e -2, ma a differenza dello zirconio i numeri di ossidazione più bassi sono meno stabili.

Stanti le affinità tra afnio e zirconio risulta particolarmente complicata la loro separazione: i metodi usati più frequentemente sono la cristallizzazione frazionata di sali di fluoruro di ammonio o la distillazione frazionata del cloruro.

Tuttavia a livello industriale vengono effettuati processi di estrazione liquido-liquido con un’ampia varietà di solventi al fine di ottenere il tetracloruro di afnio che viene convertito in metallo a seguito della riduzione con magnesio e sodio secondo il processo Kroll:

HfCl4 + 2 Mg → 2 MgCl2 + Hf

L’afnio si deposita sul fondo del recipiente mentre il cloruro di magnesio forma uno strato liquido che è immediatamente superiore all’afnio stesso e il magnesio in eccesso si stratifica, fuso, come terzo strato.

L’afnio così ottenuto si presenta come una spugna che viene tramite il processo allo ioduro di De Boer-Van Arkel: l’afnio viene fatto reagire a 500°C con lo iodio per dare tetraioduro di afnio secondo la reazione

Hf + 2 I2 → HfI4

Alla temperatura di 1700°C avviene la reazione inversa e l’afnio purificato si deposita su un filamento di tungsteno.

L’afnio forma composti refrattari come il nitruro di afnio HfN che ha una temperatura di fusione di 3300°C e il carburo di afnio HfC che ha una temperatura di fusione di circa 3900 °C e costituisce la sostanza più refrattaria ad oggi conosciuta.

E’ resistente agli alcali e, ad elevate temperature, reagisce con ossigeno, azoto, carbonio,boro, silicio e zolfo mentre reagisce direttamente con gli alogeni per dare tetralogenuri.

Uno dei composti più comuni dell’afnio è l’ossido di afnio (IV) HfO2 che ha capacità isolanti e viene usato quale intermedio per ottenere l’afnio metallico. L’ossido reagisce con acidi e basi forti e si solubilizza lentamente in acido fluoridrico; reagisce inoltre con il cloro in presenza di grafite o tetracloruro di carbonio per date il tetracloruro di afnio HfCl4.

Quest’ultimo è il precursore di molti composti organometallici dell’afnio e viene usato come catalizzatore.

Come tale l’afnio è utilizzato in filamenti per lampadine, in apparecchiature elettroniche e come catodo.

L’utilizzo maggiore dell’afnio è nella costruzione di barre di controllo dei reattori nucleari per l’elevata sezione di cattura per i neutroni e viene preferito al boro per la maggiore resistenza alla corrosione.

Viene usato in lega con altri metalli quali ferro, niobio, tantalio e titanio; le leghe afnio-niobio sono resistenti al calore e sono utilizzate in applicazioni aerospaziali.

La lega più famosa contenente afnio è la lega C-103 in cui al niobio viene aggiunto afnio, titanio, zirconio, tantalio e tungsteno con cui è stato costruito il motore principale del modulo lunare Apollo

Aggiunto ad alta temperatura a superleghe a base di nichel, l’afnio aumenta la sua resistenza alla corrosione e alla trazione.

I MOFs: materiali porosi

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Nell’ambito delle ricerche su nuovi materiali che hanno potenziali applicazioni nei campi più svariati sono stati ottenuti i MOFs acronimo di Metal-Organic Frameworks.

Queste sostanze sono materiali cristallini porosi caratterizzati da ioni, gruppi di ioni metallici o cluster metallici coordinati con opportuni leganti bi o polidentati detti linkers.

La capacità di adsorbimento da parte di questo tipo di molecole dotate di elevata stabilità termica  è superiore a quella dei materiali comunemente usati come carbone attivo e zeoliti.

La struttura  di un MOFs è costituita da una successione del tipo –L-M-L- dove M è il nucleo metallico e L è il legante uniti tra loro da legami covalenti.

La ricerca su questo nuovo tipo di materiali costituisce uno degli ambiti della ricerca chimica più promettente del XXI secolo.

Questi materiali sono caratterizzati da una porosità tale che lo spazio vuoto può arrivare, per il momento, fino al 90% del volume complessivo e quindi hanno una elevatissima area superficiale disponibile.

La possibilità di poter progettare un numero praticamente illimitato di composti in modo da poter regolare la dimensione dei pori e le funzionalità chimiche delle loro superfici e quindi la capacità di adsorbimento di specie chimiche diverse costituiscono il punto di forza di questi materiali.

In genere vengono usati ioni di metalli di transizione con numero di coordinazione che, in genere varia tra 2 e 7 mentre i linkers di natura organica sono costituiti da specie contenenti anioni carbossilato o da eterocicli azotati come triazoli, bipiridine e imidazoli che andranno a costituire la dimensione delle celle porose.

Le condizioni di reazione dipendono dal metallo usato e dal legante e le sintesi possono essere realizzate sia con classici metodi sintetici che con tecniche che si avvalgono di tecniche quali ultrasuoni e microonde.

Gli utilizzi dei MOFs le cui proprietà chimiche delle superfici interne possono essere modificate dopo la sintesi con opportuni gruppi funzionali sono molteplici ma tra quelli più indagati è la possibilità di immagazzinamento di idrogeno, metano, idrocarburi e biossido di carbonio oltre che per processi di separazione in campo industriale.

Un tipico esempio di utilizzo dei MOFs è fornito dal MOF-177 costituito dallo ione poliatomico [Zn4O]+ legato al benzenetribenzoato che costituisce un materiale per immagazzinare idrogeno gassoso. Attualmente la principale difficoltà nell’utilizzo dell’idrogeno come sistema di stoccaggio è dato dal fatto che le trasformazioni energia→ idrogeno→ energia sono costose e tecnologicamente complesse.

Lo stoccaggio dell’idrogeno costituisce una sfida stante la necessità di poter disporre del gas nelle celle a combustibile e la maggior parte delle ricerche che hanno ipotizzato l’utilizzo di idruri o di alanati ed in particolare dell’alanato di sodio. Quest’ultimo rilascia idrogeno tramite una serie di reazioni di decomposizione e ricombinazione secondo la reazione:

6 NaAlH4 → 2 Na3AlH6 + 2 Al + 3 H2

2 Na3AlH6  → 6 NaH + 2 Al + 3 H2

Questi composti  tuttavia non si sono rivelati particolarmente utili per applicazioni commerciali e la ricerca si è pertanto rivolta ad altre specie.

Nello specifico, a titolo di esempio, il MOF-177 viene sintetizzato a partire da acido feniltribenzoico

acido feniltribenzoico

e acetato di zinco biidrato Zn(CH3COO)2∙ 2 H2O con dietilformammide (CH3CH2)2NC(H)=O. La soluzione viene mescolata per 3 ore e successivamente filtrata e il solido trattato con cloroformio  per rimuovere le impurità.

I MOFs, sono stati introdotti negli anni ’90 e da allora la ricerca è aperta e finalizzata a trovare nuovi materiali e nuove applicazioni che vanno dalle spugne molecolari, ai catalizzatori, a scopi farmaceutici per la formulazione di farmaci a rilascio prolungato o nel settore dell’energia solare proveniente da impianti fotovoltaici.

Contrariamente alle zeoliti che furono prima rinvenute in natura in alcuni minerali i MOFs sono dapprima stati sintetizzati e solo da pochissimi giorni gli scienziati hanno trovato che essi sono presenti in taluni minerali rari rinvenuti nelle miniere di carbone siberiane sotto forma di stepanovite e zhemchuzhnikovite.

 


Sodio

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Il sodio è un metallo alcalino appartenente al gruppo 1 e al 3° periodo della Tavola Periodica che ha configurazione elettronica [Ne]3s1.

In natura è presente in molti minerali tra cui il feldspato, la sodalite e nella halite nota come salgemma.

Il sodio è un metallo tenero al punto da poter essere tagliato con un coltello, altamente reattivo e caratterizzato da una densità di 0.968 g/cm3 quindi lievemente inferiore a quella dell’acqua.

Il sodio fu isolato per la prima volta dallo scienziato britannico Humphry Davy, il chimico poeta nel 1807 dall’elettrolisi dell’idrossido di sodio allo stato fuso.

Le semireazioni che avvengono nel processo elettrolitico sono:

Al catodo: 4 Na+ + 4e- → 4 Na

All’anodo: 4 OH- → O2 + 2 H2O + 4 e-

e pertanto la reazione complessiva è:

4 Na+ + 4 OH- → 4 Na + O2 + 2 H2O

Il sodio reagisce con l’acqua in modo spettacolare:

2 Na + 2 H2O → 2 NaOH + H2

il sodio infatti galleggia sull’acqua e, stante la produzione di idrogeno gassoso sotto la linea d’acqua, si hanno getti di idrogeno che spingono il sodio intorno alla superficie.

La reazione è esotermica quindi il calore sviluppato può generare la combustione dell’idrogeno a contatto con l’aria con produzione di altro calore e il sodio che ancora non ha reagito si surriscalda emettendo una caratteristica luce gialla.

La reazione può quindi diventare esplosiva; per limitare il pericolo si può ricoprire la superficie dell’acqua con benzina che essendo meno densa dell’acqua ed immiscibile ad essa, galleggia. Il sodio è tuttavia più denso della benzina quindi si dispone tra lo strato acquoso sottostante e la benzina sovrastante ed entra direttamente a contatto con l’acqua. I prodotti della reazione e nello specifico l’idrogeno non entrano in contatto con l’aria e quindi con l’ossigeno pertanto non può avvenire la combustione dello stesso.

Tuttavia, il gas sviluppato spinge il sodio verso l’alto, allontanandolo dall’acqua e interrompendo la reazione.

Il sodio reagisce con l’ossigeno per dare una miscela di ossido di sodio e il perossido di sodio di colore bianco secondo le reazioni e sviluppo di un bagliore arancione:

4 Na(s) + O2(g) → 2 Na2O(s)

2 Na(s) + O2(g) → Na2O2(s)

Il sodio reagisce con il cloro per dare cloruro di sodio in una reazione altamente esotermica con sviluppo di una luce di colore giallo:

2 Na(s) + Cl2(g) → 2 NaCl(s)

Il sodio reagisce con l’ammoniaca in presenza di nitrato di ferro (III) quale catalizzatore per dare sodioammide secondo la reazione:

2 Na(s) + 2 NH3(g) → 2 NaNH2(s) + H2(g)

Il sodio reagisce con gli alcoli per dare i rispettivi alcossidi secondo la reazione:

2 Na + 2 ROH → 2 RONa + H2

Il sodio reagisce con gli alogenuri alchilici in ambiente di etere anidro o tetraidrofurano per formare un nuovo legame carbonio-carbonio con ottenimento di un alcano simmetrico secondo la reazione di Wurtz:

2 R-X + 2 Na → R-R + 2 NaX

Il sodio che nei suoi composti esibisce numero di ossidazione +1 forma specie solubili in acqua in cui si forma lo ione Na+.

Stante il valore del potenziale normale di riduzione dello ione sodio pari a – 2.71 V alla semireazione di ossidazione:

Na → Na+ + 1 e-

è associato un potenziale di + 2.71 V e pertanto il sodio è un ottimo riducente.

Tra gli innumerevoli composti che forma il sodio sia inorganici che organici si annoverano:

1) il cloruro di sodio NaCl  usato per ottenere il carbonato di sodio tramite il processo Solvay secondo la reazione:

2 NaCl + CaCO3 → Na2CO3 + CaCl2

Il cloruro di sodio è una sale essenziale per la vita in quanto è contenuto in molti dei tessuti e dei fluidi dei viventi i cui ioni Na+ sono essenziali per la trasmissione di segnali sensoriali e motori nel sistema nervoso.

Il cloruro di sodio viene inoltre utilizzato tra l’altro, come antigelo, esaltatore di sapidità, per la conservazione degli alimenti, nelle soluzioni fisiologiche e nella rigenerazione delle resine a scambio ionico.

2) il bicarbonato di sodio NaHCO3 ha un’azione basica e viene quindi usato come antiacido e contro i bruciori di stomaco. Il composto ha moltissimi utilizzi in ambito domestico come additivo alimentare, nei lieviti chimici, per la pulizia dei denti per la sua azione abrasiva e sbiancante, per l’igiene e la cura del corpo e dei capelli e viene consigliato per la cura di molte patologie che vanno dalla congiuntivite, alla cistite, alla cura dell’herpes labiale.

3) il solfato di sodio Na2SO4 impiegato largamente nell’industria dei detergenti, nell’industria del vetro come agente di raffinazione, nell’industria tessile come fissatore dei pigmenti, come agente di riempimento, nella fabbricazione del blu oltremare, del sale di Glauber, del solfato di bario e di altri sali sodici; per la preparazione di smalti, ceramiche.

4) ipoclorito di sodio NaClO impiegato come sbiancante e disinfettante, fungicida e virucida e per la sua azione ossidante

5) idrossido di sodio NaOH utilizzato in campo industriale nella sintesi di coloranti, detergenti e saponi, nel trattamento delle fibre del cotone, nella fabbricazione della carta e nelle resine a scambio ionico, nella mercerizzazione del cotone e nella preparazione di composti organici.

6) sodio boroidruro NaBH4 utilizzato quale agente riducente, in molti processi industriali, nelle sintesi organiche, nel trattamento delle acque reflue e come sbiancante della pasta legno.

Potassio

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Il potassio è un metallo alcalino appartenente al Gruppo 1 e al 4° Periodo della Tavola Periodica che ha configurazione elettronica [Ar]4s1.

In natura è presente in molti minerali tra cui la silvite, la carnallite e la polialite.

Sebbene il potassio sia l’ottavo elemento più abbondante sulla terra a causa della sua alta reattività non viene rinvenuto allo stato elementare in natura.

E’ un metallo tenero di colore bianco-argenteo altamente reattivo e caratterizzato da una densità di 0.856  g/cm3 quindi inferiore a quella dell’acqua.

Il potassio fu isolato per la prima volta dallo scienziato britannico Humphry Davy, il chimico poeta nel 1807 dall’elettrolisi dell’idrossido di potassio allo stato fuso.

Le semireazioni che avvengono nel processo elettrolitico sono:

Al catodo: 4 K+ + 4e- → 4 K

All’anodo: 4 OH- → O2 + 2 H2O + 4 e-

e pertanto la reazione complessiva è:

4 K+ + 4 OH- → 4 K + O2 + 2 H2O

Il potassio reagisce vigorosamente con l’acqua per formare una soluzione di idrossido di potassio e di idrogeno gassoso.

2 K (s)+ 3 H2O(l) →  2 KOH (aq) + H2(g)

Il potassio galleggia sull’acqua e, stante la produzione di idrogeno gassoso sotto la linea d’acqua, si hanno getti di idrogeno che spingono il potassio intorno alla superficie.

La reazione è esotermica quindi il calore sviluppato può generare la combustione dell’idrogeno a contatto con l’aria con produzione di altro calore e il potassio che ancora non ha reagito si surriscalda emettendo una caratteristica luce viola pallido.

La reazione può quindi diventare esplosiva. Il potassio reagisce con l’acqua più velocemente del sodio e più lentamente del rubidio.

Il potassio reagisce vigorosamente con l’ossigeno per dare il superossido di potassio di colore giallo arancio secondo la reazione:

K(s) + O2(g) → KO2(s)

Il potassio reagisce in modo esplosivo con acidi diluiti; con acido solforico dà il solfato di potassio e idrogeno gassoso:

2 K (s)+ H2SO4(aq) → K2SO4(aq) + H2(g)

mentre con acido nitrico dà il nitrato di potassio e idrogeno gassoso:

2 K (s)+ 2 HNO3(aq) → 2 KNO3(aq) + H2(g)

Il potassio reagisce con gli alogeni per dare i rispettivi alogenuro secondo la reazione generale:

2 K + X2 → 2 KX

Lo ione potassio è il principale catione presente nella cellula e la pompa sodio-potassio è responsabile del mantenimento, nella cellula di un’alta concentrazione di K+ e di una bassa concentrazione di Na+.

La pompa Sodio-Potassio attua un trasporto di ioni sodio verso l’esterno della cellula accoppiato a un trasporto di ioni potassio all’interno della stessa con un conseguente passaggio di entrambi gli ioni contro i rispettivi gradienti di concentrazione. L’energia necessaria viene attinta dalla scissione dell’ATP e, in genere, per ogni molecola di ATP che viene scissa vengono espulsi dalla cellula tre ioni sodio mentre vi entrano due ioni potassio.

Il potassio è quindi un nutriente essenziale utilizzato per mantenere l’equilibrio idro-elettrolitico nel corpo e una sua carenza i potassio provoca stanchezza, irritabilità, crampi e ipertensione.

I cibi ad alto contenuto di potassio sono fagioli, verdure a foglia verde scuro, patate, zucca, yogurt, pesce, avocado, funghi e banane.

Tra gli innumerevoli composti che forma il sodio sia inorganici che organici si annoverano:

1) il cloruro di potassio KCl impiegato nella produzione di fertilizzanti e in ambito medico per trattare la diminuzione del livello di potassio plasmatico.

Il cloruro di potassio è tristemente noto in quanto è una delle tre sostanze che, generalmente in sequenza, viene iniettato dopo barbiturici e curaro nelle iniezioni letali con lo scopo di provocare l’arresto cardiaco

2) il nitrato di potassio KNO3 il cui uso risale all’antica Grecia e all’antica Roma dove veniva utilizzato quale fertilizzante. Nel terzo secolo a.C. i cinesi scoprirono che una miscela di carbone di legna, zolfo e nitrato di potassio costituiva una polvere esplosiva. Nel Medioevo il nitrato di potassio è stato usato come conservante degli alimenti oltre che nella concia delle pelli, nella produzione del vetro e nella lavorazione dei metalli

3) il carbonato di potassio K2CO3 utilizzato per ottenere sapone, vetri speciali, nell’industria alimentare per aumentare il pH, come addolcitore delle acque, nei fertilizzanti e quale agente essiccante nei laboratori.

4) l’idrossido di potassio KOH è  utilizzato come elettrolita nelle batterie alcaline, come catalizzatore,  nel processo di preparazione del biodiesel, nella produzione della carta, quale regolatore di pH, nella produzione di polimeri, resine e fibre tessili e nella produzione del sapone

5) il solfato di potassio K2SO4 è utilizzato prevalentemente come fertilizzante

6) il permanganato di potassio KMnO4 in cui il manganese ha il suo numero di ossidazione più alto noto per le sue proprietà ossidanti; grazie a questa sua azione ossidante è particolarmente attivo sui batteri e viene utilizzato come disinfettante ma svolge anche azione antinfiammatoria e antipruriginosa. Soluzioni standard di permanganato di potassio vengono usate nell’ambito dell’analisi chimica per la determinazione quantitativa di alcuni ioni tramite titolazioni permanganometriche. Viene usato anche come deodorante, collutorio, come antiparassitario per i pesci e come antidoto all’avvelenamento da fosforo

7) il bitartrato di potassio C4H5O6K che è uno dei tanti composti organici contenenti potassio. Noto come cremor tartaro viene usato insieme al bicarbonato di sodio per la sua azione lievitante

8) potassio sodio tartrato tetraidrato KNaC4H4O6· 4H2O noto come sale di Rochelle usato nella preparazioni di lieviti insieme al carbonato di ammonio, nella reazione di Fehling per verificare la presenza di aldeidi o di zuccheri riducenti, per la rimozione di incrostazioni di carbonati, cloruri, sali metallici su superfici metalliche e pietre.

Celle a combustibile

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Una cella a combustibile è un generatore di corrente in cui l’energia di legame è convertita in elettricità.

Una cella è costituita da un anodo, un catodo e un elettrolita: all’anodo vengono fatte pervenire molecole di idrogeno che agisce da combustibile e al catodo molecole di ossigeno che agisce da comburente con ottenimento di vapore acqueo e elettricità.

Una cella a combustibile è quindi attraversata da un flusso di sostanze e produce un flusso di energia. Una cella a combustibile è costituita da due elettrodi in cui è presente un catalizzatore che è quasi sempre il platino.

Esistono molti tipi di celle a combustibile la cui classificazione viene fatta sulla base dell’elettrolita ma le più comuni sono quelle costituita da una membrana a scambio protonico e vengono dette PEM (Proton Exchange Membrane).

Le semireazioni che avvengono in una cella a combustibile sono:

all’anodo: 2 H2 → 4 H+ + 4 e

al catodo: O2 + 4 H+ + 4 e→ 2 H2O

La reazione di ossidoriduzione complessiva è quindi:

2 H2 + O2 → 2 H2O

All’anodo avviene la semireazione di ossidazione a seguito della quale l’idrogeno molecolare viene ionizzato a ione H+; gli elettroni passano attraverso un circuito esterno generando corrente elettrica proporzionale alla velocità della reazione chimica e utilizzabile per qualsiasi scopo fino a giungere al catodo mentre gli ioni H+ passano attraverso una membrana e raggiungono a loro volta il catodo dove avviene la semireazione di riduzione.

La reazione della cella produce 0.7 V pertanto in una pila a combustibile sono presenti un certo numero di celle al fine di ottenere il potenziale richiesto per il funzionamento del dispositivo considerato.

Il cuore di una cella a combustibile PEM è costituito dalla membrana a scambio protonico che agisce come una

membrana selettivamente permeabile per il movimento dei protoni in una singola direzione.

Uno dei composti che esibisce questa caratteristica di selettività è il nafion ottenuto dal chimico Walther Grot nei laboratori della DuPont alla fine degli anni ’60 dello scorso secolo da una modificazione del teflon

nafion

Il nafion è un fluoropolimero-copolimero costituito da tetrafluoroetilene solfonato e costituisce il primo polimero con proprietà ioniche che è stato il capostipite di una nuova classe di polimeri detti ionomeri che contengono sia unità ripetitive non ioniche sia una piccola frazione di unità ripetitive contenenti specie ioniche.

Sarin

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“Ho provato la sensazione che il mio cuore bruciasse”. Questa è la triste testimonianza di un superstite degli ordigni al Sarin lanciati a Damasco il 21 agosto 2013.

Il Sarin è un gas nervino impiegato con effetti devastanti nella metropolitana di Tokyo nel 1995 che provocò 12 morti e oltre 6000 intossicati.

Il Sarin è un organofosfato sintetizzato per la prima volta nel 1938 presso la IG Farben da chimici tedeschi nell’ambito delle loro ricerche sui pesticidi e prende il nome dai suoi scopritori Schrader, Ambros, Rüdiger, e Van der Linde.

Il sarin detto anche GB è una delle sostanze chimiche più pericolose e tossiche conosciute sebbene poco persistente nell’ambiente. E’ 500 volte più letale del cianuro e bastano solo 0.55 mg/Kg per provocare la morte: l’intossicazione può avvenire non solo per inalazione ma anche per contatto cutaneo e quindi l’uso di una maschera antigas si può rivelare insufficiente.

E’ un gas incolore e inodore ed estremamente volatile e si diffonde quindi rapidamente nell’aria avente formula (CH3)2CHO]CH3P(O)F e struttura

sarin

La molecola è chirale in quanto sono presenti quattro diversi sostituenti legati al fosforo e viene sintetizzato e commercializzato sotto forma di miscela racemica.

Viene ottenuto dalla reazione tra il difluoruro metilfosfonico e l’isopropanolo:

sarin

Come la maggior parte degli agenti nervini costituiti da esteri organofosforici il sarin inibisce l’azione dell’enzima acetilcolinesterasi a livello delle sinapsi colinergiche del sistema nervoso grazie a un processo di alchifosforilazione. L’inattivazione determina un accumulo di acetilcolina che in un primo momento stimola la neurotrasmissione e dopo la inibisce.  L’accumulo di acetilcolina causa dapprima crampi fino a portare al collasso muscolare e alla morte.

Gli antidoti che vengono utilizzati sono l’atropina che contrasta gli effetti dell’acetilcolina non più distrutta dall’enzima inibito dal nervino limitando gli effetti dell’avvelenamento e l’obidossima che agisce sul complesso estere organofosforico-acetilcolinesterasi rompendone il legame con conseguente riattivazione della acetilcolinesterasi, che può di nuovo svolgere la sua normale funzione.

Il sarin come molte armi di distruzione di massa sono state messe al bando dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993.

L’auspicio è che una sostanza come il sarin scoperta nella ricerca sui pesticidi, sostanze destinate a fin di bene per preservare i raccolti, non venga mai più usata dall’uomo per uccidere un suo fratello.

Metalli amorfi

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I metalli danno luogo a cristallizzazione perché il legame metallico non è direzionale e gli atomi, inizialmente presenti nella fase fluida come ad esempio nel metallo fuso, vanno rapidamente ad occupare una determinata posizione in un reticolo cristallino.

La cristallizzazione dei metalli avviene, quindi senza dover ricorrere a particolari accorgimenti: conseguenza della facile cristallizzazione è la natura policristallina degli stessi, con cristalli “grani” di dimensioni variabili dai centesimi di millimetro a qualche centimetro.

I metalli amorfi detti anche vetrosi sono costituiti da una struttura disordinata in cui gli ioni metallici occupano posizioni casuali.

Sin dal 1960 i ricercatori hanno trovato che possono essere ottenute leghe metalliche amorfe raffreddando i metalli allo stato fuso con una velocità tale per cui non ci sia il tempo per lo sviluppo di una struttura cristallina ordinata.

La struttura amorfa implica che non sono presenti difetti cristallini detti dislocazioni che regolano le proprietà meccaniche delle leghe più comuni pertanto i metalli amorfi sono molto più resistenti rispetto alle leghe metalliche e meno rigidi rispetto ad esse.

I metalli amorfi hanno caratteristiche peculiari come una bassa temperatura di fusione, proprietà antigraffio, elevata elasticità; possiedono elevata resistenza meccanica, elevata resistenza alla trazione ma sono duttili, resistenti alla corrosione e sono dotati di proprietà di conducibilità elettrica che superano quelle delle leghe metalliche tradizionali e possono resistere a stress meccanici maggiori senza snervamenti.

Le proprietà meccaniche e fisiche dipendono dal tipo e dalle concentrazioni degli elementi chimici che costituiscono la lega.

Esse possono essere costituite da soli metalli ma più frequentemente da metalli e non metalli come oro, rame, zirconio, titanio, argento, palladio ma anche boro e silicio.

I manufatti realizzati con metalli amorfi sono utilizzati nei più diversi ambiti: dall’elettronica di consumo, alle nanoparticelle di componenti elettronici per produzioni di parti di elettronica o sensori e impianti medici. Per la loro elevata resistenza all’acqua e alla corrosione costituiscono infatti ottimi materiali per protesi ossee.

I metalli amorfi che sono stati studiati in relazione alle loro proprietà elettriche, magnetiche e chimiche attualmente vengono investigate in relazione alle loro proprietà catalitiche.

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