Quantcast
Channel: Chimica Generale – Chimicamo
Viewing all 541 articles
Browse latest View live

Polimeri conduttivi

$
0
0

I polimeri presentano, in genere, un’elevata resistenza alla conduzione elettrica risultando essere quindi degli isolanti. Tuttavia negli anni ’70 sono stati sintetizzati e scoperti polimeri conduttivi  detti polimeri intrinsecamente conduttori dei quali i ricercatori ne hanno esplorato le inusuali proprietà e i potenziali campi di applicazione fino a culminare con gli studi di Alan Jay Heeger, Alan Graham MacDiarmid e Hideki Shirakawa vincitori nel 2000 del Premio Nobel per la Chimica per la scoperta e lo sviluppo dei polimeri conduttivi.

Per essere elettricamente conduttivo un polimero deve avere elettroni liberi di muoversi come avviene per i metalli.

La prima condizione per realizzare questo fenomeno consiste nell’ottenere polimeri in cui vi sia un’alternanza di doppi legami detti doppi legami coniugati come, ad esempio, nel poliacetilene

poliacetilene

Questa condizione non è, tuttavia sufficiente, e, per diventare elettricamente conduttivo, il polimero deve essere dopato generando portatori di carica per parziale ossidazione (drogaggio di tipo p) con accettori di elettroni come I2 e AsF5 che inducono una vacanza elettronica che si comporta come una particella carica positivamente che si può spostare all’interno della catena polimerica o per parziale riduzione (drogaggio di tipo n) con donatori di elettroni come Na e K in modo che l’elettrone sia libero di spostarsi.

I vincitori del Nobel trovarono che un film sottile di poliacetilene poteva essere trattato con vapori di iodio con vapori di iodio secondo la reazione:

[-CH-]n +3x/2 I2 → [-CH-]nx+ + x I3-

o con sodio secondo la reazione:

[-CH-]n + x Na → [-CH-]nx- + x Na+

In entrambi i casi il polimero è quindi un sale, in cui non sono gli ioni I3- o Na+ a condurre la carica ma sono le cariche presenti sul polimero che fungono da portatori di carica.

Applicando un campo elettrico perpendicolare al piano della pellicola i controioni possono essere fatti diffondere dalla struttura o nella struttura in modo che il polimero sia in grado di condurre la corrente elettrica.

Un filo metallico attraversato da corrente elettrica dà luogo al fenomeno dell’incandescenza che poteva essere osservato accendendo una lampadina a filamento di tungsteno.

Nel caso di polimeri conduttivi invece si verifica il fenomeno dell’elettroluminescenza ovvero un particolare tipo di luminescenza che è il risultato della ricombinazione di coppie elettrone- lacuna elettronica di un dato materiale che sono separati in due zone distinte che formano una giunzione p-n. Gli elettroni eccitati rilasciano l’energia sotto forma di fotoni e quindi di luce. Questo principio viene sfruttato nei LED ( diodi a emissione luminosa) che sfruttano le proprietà di alcuni materiali si produrre elettroni attraverso un meccanismo di emissione spontanea.

Da allora sfruttando questa scoperta sono stati ottenuti altri polimeri conduttivi come la polianilina, il polipirrolo, il politiofene, il polietilendiossitiofene

 polimeri conduttivi

Molteplici sono le applicazioni dei polimeri conduttivi e tuttora la ricerca è volta a comprenderne a pieno le potenzialità. Ad esempio la polianilina è un materiale antistatico, è utilizzata negli schermi dei computer in quanto protegge dalle radiazione elettromagnetiche ed è un inibitore della corrosione.

Il polirirrolo trova utilizzi nel campo dei dispositivi elettronici e dei sensori chimici e si stanno studiando le sue potenzialità per ottenere materiali fotoluminescenti, muscoli artificiali, schermi elettromagnetici, come elettrodo in condensatori e come rivestimento anticorrosivo.

Il politiofene è un materiale più resistente all’ossigeno atmosferico e permette la stampa dei circuiti all’aria invece che sotto gas inerte. Esso inoltre resiste a temperature prossime ai 200 gradi e, perfezionando la sua struttura e le sue proprietà, potrà essere facilmente impiegato per raffreddare i dispositivi elettronici, anche i più piccoli, presenti nei server, nelle automobili e nei Led ad alta luminosità.

Il  polietilendiossitiofene è impiegato come anti-statico per rivestire le pellicole fotosensibili oltre che in dispositivi elettronici.


Strutture di risonanza

$
0
0

Le strutture di Lewis assegnano gli elettroni o a determinati legami o come doppietti elettronici solitari presenti su un atomo. Tuttavia a volte i dati relativi alle lunghezze dei legami non sono coerenti con quanto previsto pertanto per poter descrivere in modo esaustivo i legami presenti in una molecola si deve tenere conto che gli elettroni possono essere delocalizzati e, poiché una struttura di Lewis non è in grado di descrivere tali elettroni, si devono considerare l’insieme delle strutture che possono rappresentare tale delocalizzazione.

L’insieme delle strutture di risonanza è definito come ibrido di risonanza e ciascuna struttura è detta struttura limite di risonanza.

Consideriamo ad esempio la molecola di ozono O3 per la quale gli elettroni di valenza sono pari a 6 x 3 = 18.

Inizialmente poniamo gli elettroni per formare legami O-O.

ozono

Rimangono ancora 18 – 2(2) = 14 elettroni

Completiamo gli ottetti relativi ai due atomi di ossigeno legati all’atomo di ossigeno centrale:

ozono

A questo punto rimangono ancora 14 – 12 = 2 elettroni che poniamo sull’atomo di ossigeno centrale:

ozono

Si nota tuttavia che l’atomo di ossigeno centrale non ha l’ottetto completo quindi si prende un doppietto elettronico solitario di un ossigeno e con esso si forma un doppio legame O=O

ozono

In tal modo tutti gli atomi di ossigeno costituenti la molecola hanno il doppietto completo. Quindi dovrebbe essere presente nella molecola un doppio legame tra due atomi di ossigeno e un legame semplice ovvero le lunghezze di legame dovrebbero essere diverse. Tuttavia da dati sperimentali si ha che entrambe le lunghezze di legame sono uguali e pari a 1.278 Å.

E’ quindi evidente che una sola struttura di Lewis non rende conto della reale struttura della molecola per la quale si devono scrivere due strutture dette strutture limite di risonanza

ozono

che giustificano peraltro la medesima lunghezza di legame.

Nelle strutture di risonanza avviene quindi un movimento di elettroni che stabilizza la molecola. Le strutture limite di risonanza spesso non hanno la stessa stabilità: alcune infatti contribuiscono in misura maggiore e altre in misura minore. Per valutare quali siano le strutture che hanno una maggiore stabilità e, conseguentemente, contribuiscono in misura maggiore, si devono considerare le seguenti regole:

1)      Quanto maggiore è il numero di legami covalenti tanto maggiore è la stabilità della struttura

2)      La struttura con il minor numero di cariche formali è quella più stabile

3)      La struttura con la minore separazione di cariche formali è la più stabile

4)       Una struttura in cui la carica negativa si trova sull’atomo più elettronegativo è più stabile

5)      Una struttura in cui le cariche positive si trovano sull’atomo meno elettronegativo è più stabile

6)      Strutture di risonanza che sono equivalenti contribuiscono nella stessa misura

 

Reattivo di Jones

$
0
0

Il reattivo di Jones è una soluzione di l’acido cromico H2CrO4 che si trova in equilibrio con l’acido dicromico H2Cr2O7 ottenuta unendo triossido di cromo CrO3 e acido solforico.

Per preparare il reattivo di Jones si sciolgono 25 g di triossido di cromo corrispondenti a 0.25 moli in 75 mL di acqua. Si immerge il becker in un bagno di acqua e ghiaccio e si aggiungono lentamente e sotto agitazione 25 mL di acido solforico concentrato. Si raccomanda di mantenere la soluzione a una temperatura inferiore a 5°C. La soluzione così ottenuta ha una concentrazione di 2.5 M

Il reattivo di Jones può anche essere preparato a partire da bicromato di sodio o di potassio.

acido cromico

Sia nell’acido cromico che nell’acido dicromico il cromo è presente nel suo massimo stato di ossidazione + 6 pertanto il reattivo di Jones può essere usato quale ossidante.

Usando acetone quale solvente, il reattivo di Jones viene usato per l’ossidazione degli alcoli primari e degli alcoli secondari. Gli alcoli primari vengono ossidati ad aldeidi che per ulteriore ossidazione danno gli acidi carbossilici mentre gli alcoli secondari vengono ossidati a chetoni.

Nel primo stadio si forma un estere dell’acido cromico che, per reazione con l’acqua dà luogo alla formazione dell’aldeide. Nel secondo stadio si ha l’idratazione dell’aldeide con formazione di un diolo geminale che per successiva reazione con l’acido cromico dà l’acido carbossilico.

ossidazione

Se si vuole ossidare l’alcol primario allo stato di aldeide ed evitare la successiva ossidazione ad acido carbossilico si deve impedire la reazione dell’aldeide con l’acqua e quindi si deve lavorare in ambiente anidro utilizzando, al posto del reattivo di Jones, ossido di Cromo (VI) e piridina.

La reazione di ossidazione viene usata comunemente in quanto è selettiva nei confronti di altri gruppi funzionali eventualmente presenti nell’alcol di partenza quali doppi e tripli legami nei confronti dei quali il reattivo di Jones non mostra potere ossidante.

La reazione di ossidazione usando il reattivo di Jones è rapida ed esotermica e viene usata nell’ambito dell’analisi analisi qualitativa degli alcoli.

Tensione di vapore di solidi idrati

$
0
0

Alcuni sali inglobano, durante il processo di cristallizzazione, un certo numero di molecole d’acqua combinate in un rapporto definito. Esempi di sali idrati, spesso conosciuti con i loro nomi d’uso, sono il solfato di zinco eptaidrato ZnSO4∙ 7 H2O noto con il nome di vetriolo bianco, il solfato di calcio semiidrato CaSO4 ∙ ½ H2O noto con il nome di gesso di Parigi, il nitrato di calcio tetraidrato Ca(NO3)2 noto con il nome di salnitro norvegese e il solfato di sodio decaidrato Na2SO4 ·10 H2O noto come sale di Glauber.

Le molecole di acqua presenti nel sale idrato, tuttavia, possono allontanarsi a seconda della temperatura: ad esempio il solfato di calcio pentaidrato può perdere, le sue molecole di acqua il più stadi:

CuSO4∙ 5 H2O(s) → CuSO4∙ 3 H2O(s) + 2 H2O(l) alla temperatura di 63°C

CuSO4∙ 3 H2O(s) → CuSO4∙ H2O(s) + 2 H2O(g) alla temperatura di 109°C

CuSO4∙ H2O(s) → CuSO4(s) +  H2O(g) alla temperatura di 220°C

Per la disidratazione completa del solfato di rame pentaidrato si può definire una costante di equilibrio relativa all’allontanamento delle 5 molecole di acqua:

CuSO4∙ 5 H2O(s)⇌ CuSO4(s) + 5 H2O(g)

dove Kp = 1.14 ∙ 1010

Trattandosi di un equilibrio eterogeneo l’unica specie che compare nell’espressione della Kp è H2O(g) ovvero:

Kp = 1.14 ∙ 1010 = p(H2O)5

Pertanto la tensione di vapore del sale idrato è pari alla pressione parziale del vapore acqueo ovvero alla temperatura per la quale è stata calcolata Kp, si ha quindi:

p(H2O) = (Kp)1/5 = 102.6 atm

Se il sale idrato viene esposto all’aria in cui la pressione parziale del vapore acqueo è inferiore alla sua tensione di vapore l’equilibrio si sposta verso destra.

Si possono calcolare, da dati tabulati, molte informazioni relative a tali equilibri. Ad esempio si può calcolare la Kp relativa a un certo equilibrio e il valore dell’umidità relativa a cui il sale perde l’acqua di idratazione a una data temperatura. Ad esempio si voglia calcolare a quale valore di umidità relativa il solfato di calcio pentaidrato perde la sua acqua di idratazione a 30°C e la relativa costante di equilibrio.

Dai dati tabulati si vede che la tensione di vapore per questo sale idrato a 30°C vale 12.5 torr. L’umidità relativa è data dal rapporto tra la pressione del vapore acqueo della miscela in equilibrio con la pressione di equilibrio dell’acqua a quella temperatura che, nel caso in specie, a 30°C vale 31.6 torr. Pertanto l’umidità relativa è pari a 12.5/ 31.6 = 0.40 ovvero 40% che è l’umidità che si ha se il sale idrato viene posto in un recipiente chiuso contenente aria priva di vapore acqueo.

Per l’equilibrio CuSO4∙ 5 H2O(s)⇌ CuSO4(s) + 5 H2O(g)  si ha Kp = p(H2O)5 = (12.5/760)5 = 1.20 ∙ 10-9

essendo 760 torr la pressione atmosferica.

La perdita di molecole di acqua che avviene a seguito di riscaldamento provoca la rottura del cristallo. Tale fenomeno può essere visto con il solfato di sodio la cui tensione di vapore è sufficientemente alta che supera la pressione parziale del vapore acqueo presente nell’aria quando l’umidità relativa è bassa. Si può notare che la forma dei cristalli del solfato di sodio decaidrato cambia e il sale appare in forma di polvere, fenomeno noto con il nome di efflorescenza.

Uno dei sali idrati maggiormente studiati è il gesso naturale di fronte all’azione del calore: su di esso si basa la preparazione del gesso comune ottenuto mediante cottura a temperatura più o meno elevata del gesso naturale.

Riscaldando alla temperatura di 128°C il gesso naturale il cui componente essenziale è il solfato di calcio biidrato si ottiene il solfato di calcio semiidrato noto anche come gesso da presa:

CaSO4 ∙ 2 H2O → CaSO4 ∙ ½ H2O + 3/2 H2O

Polverizzato ed impastato con acqua il solfato di calcio semiidrato riprende con facilità l’acqua perduta e avviene dapprima il fenomeno della presa seguita dall’indurimento con formazione di un aggregato cristallino compatto.

A seguito di ulteriore riscaldamento a 163°C il solfato di calcio semiidrato perde tutta l’acqua di cristallizzazione e diventa solfato di calcio anidro solubile e, spingendo la temperatura oltre i 600°C non si ha alcuna modificazione nella composizione chimica ma una trasformazione in solfato di calcio anidro, detto gesso cotto a morte, insolubile che non è più in grado di fare presa.

Decomposizione termica

$
0
0

Una reazione di decomposizione è un tipo di reazione in cui un composto, in particolari condizioni, dà una o più specie come può essere visto in figura

reazione di decomposizione

In particolare la decomposizione termica è una reazione endotermica che avviene a seguito di riscaldamento ad una temperatura appropriata. L’assorbimento di energia provoca infatti la rottura dei legami presenti nella sostanza che si decompone.

Vi sono composti sia organici che inorganici che a una determinata temperatura danno luogo a reazioni di decomposizione termica.

Un esempio viene fornito dai carbonati e dai nitrati del II Gruppo. Tutti i carbonati degli elementi II Gruppo sono solidi bianchi che, a una certa temperatura si trasformano in ossidi dando luogo alla formazione di biossido di carbonio:
MeCO3(s) → MeO(s) + CO2(g)

essendo Me un generico metallo del gruppo.

Scendendo dall’alto verso il basso lungo il gruppo i relativi carbonati necessitano di una temperatura via via maggiore prima di dar luogo alla decomposizione termica.

Anche i nitrati degli elementi del secondo gruppo danno luogo, secondo la stessa periodicità dei carbonati a decomposizione termica con produzione dell’ossido metallico, biossido di azoto e ossigeno secondo la reazione:

2 Me(NO3)2(s)→ 2 MeO(s) + 4 NO2(g) + O2(g)

I nitrati di calcio e di magnesio presentano abitualmente acqua di cristallizzazione e sono quindi sali idrati pertanto essi devono prima perdere l’acqua di cristallizzazione prima di dar luogo alla reazione di decomposizione termica. Analogamente ai carbonati anche i nitrati degli elementi del II Gruppo necessitano di una temperatura via via maggiore prima di dar luogo alla decomposizione termica scendendo lungo il gruppo.

Alcuni carbonati acidi come il carbonato acido di sodio danno luogo a reazione di decomposizione termica con formazione di carbonato di sodio, vapore acqueo e biossido di carbonio secondo la reazione:

2 NaHCO3(s) → Na2CO3(s) + H2O(g) + CO2(g)

Il carbonato di manganese (II) per decomposizione termica dà luogo alla formazione di ossido di manganese (II) e ossido di manganese (III), monossido e biossido di carbonio secondo la reazione:

3 MnCO3(s) → Mn3O4(s) + CO(g) + 2 CO2(g)

Il clorato di potassio dà luogo alla decomposizione termica con formazione di cloruro di potassio e ossigeno e tale reazione viene sfruttata per la preparazione dell’ossigeno:

2 KClO3(s) → 2 KCl(s) + 3 O2(g)

L’idrossido di ferro (III) dà luogo alla decomposizione termica con formazione di ossido di ferro (III) e acqua:

2 Fe(OH)3(s)→ Fe2O3(s) + 3 H2O(g)

Anche molti composti organici danno luogo alla reazione di decomposizione termica. Virtualmente tutti i composti organici, dagli idrocarburi saturi a molecole polifunzionali, sono stati studiati per conoscere la loro temperatura di decomposizione e i prodotti di reazione.

Ad esempio l’etanale si decompone a una temperatura di 450-600°C e a basse pressioni in metano e monossido di carbonio secondo la reazione:

CH3CHO → CH4 + CO

Gli esteri danno luogo a decomposizione termica con formazione di olefine e acido carbossilico secondo la reazione:

R2CH-COOCR3 → R2C=CR2 + RCOOH

La decomposizione termica dell’urea dà luogo alla formazione di ammoniaca e acido isocianico:

H2NCONH2 → NH3 + HNCO

Carburi

$
0
0

Sebbene il carbonio sia praticamente inerte a temperatura ambiente, ad alte temperature reagisce con elementi meno elettronegativi per formare i carburi.

I carburi possono essere classificati sulla base delle loro proprietà e si distinguono in carburi covalenti o molecolari, carburi ionici o salini, carburi interstiziali.

Quando il carbonio reagisce con un elemento avente dimensioni ed elettronegatività simili si forma un carburo covalente come ad esempio il carburo di silicio che si ottiene dalla reazione tra biossido di silicio e carbonio a 2300 K:

SiO2(s) + 3 C(s) → SiC(s) + 2 CO(g)

Il carburo di silicio fu ottenuto nel 1891 dal chimico statunitense Edward Acheson che fondò la Carborundum Company per la sua commercializzazione. Fu inizialmente usato nei parafulmini e successivamente, stante la sua durezza come materiale abrasivo
Attualmente trova largo utilizzo come materiale semiconduttore intrinseco, nella produzione di armi e nei giubbotti antiproiettile. Il carburo di silicio ha proprietà simili a quelle del diamante sia per quanto riguarda la sua inerzia chimica che per la sua durezza e l’elevato punti di fusione.

L’altro tipico carburo covalente è quello di boro che mostra proprietà simili a quello di silicio che viene sintetizzato a partire da B2O3 secondo la reazione:

2 B2O3(s) + 7 C(s) → B4C(s) + 4 CO(g)

Per le sue proprietà viene utilizzato nella corazza dei carrarmati oltre che in protezioni balistiche. Il carburo di boro è in grado di assorbire i neutroni e perciò viene utilizzato nelle centrali nucleari ed in particolare nel rivestimento del reattore, nelle barre di controllo e nel contenimento dei pellet di combustibile nucleare. Un altro carburo di boro BC3 che ha una struttura simile a quella della grafite viene ottenuto dalla reazione tra benzene e tricloruro di boro secondo la reazione:

C6H6 +2 BCl3 → 2 BC3 + 6 HCl

I carburi costituiti da carbonio e un elemento del I Gruppo, del II Gruppo e del III Gruppo della Tavola periodica sono detti carburi ionici come ad esempio il carburo di calcio che viene ottenuto dall’ossido di calcio secondo la reazione:

CaO(s) + 3 C(s) → CaC2(s) +  CO(g)

Il carburo di calcio trova applicazione nella sintesi dell’acetilene:

CaC2 + 2 H2O → HC≡CH + Ca(OH)2

della calciocianammide nonché nell’industria dell’acciai.

Il carburo di berillio BeC2, che ha trovato applicazioni nel campo dei materiali compositi, può essere preparato a partire dall’ossido di berillio e carbonio oltre che dagli elementi ad una temperatura di oltre 900 °C.

Il carburo di alluminio Al4C3, usato come abrasivo e negli utensili da taglio, può essere preparato oltre che dai suoi elementi, per reazione dell’ossido di alluminio con carbonio:

2 Al2O3 + 9 C → Al4C3 + 6 CO

I carburi interstiziali sono costituiti prevalentemente da metalli di transizione che agiscono come un reticolo che ospita i piccoli atomi di carbonio. Sono caratterizzati da elevata durezza ma al contempo sono fragili, hanno elevati punti di fusione e conservano molte delle proprietà del metallo come lucentezza ed elevata conduttività termica ed elettrica. Contrariamente ai carburi ionici che reagiscono con l’acqua quelli interstiziali sono chimicamente inerti.

Molti metalli di transizione hanno un raggio sufficientemente grande da formare carburi interstiziali. Il raggio atomico minimo che devono avere tali metalli è di circa 1.35 Å.

I metalli di transizione formano carburi interstiziali a diverse stechiometrie come ad esempio il manganese che forma almeno 5 tipi di carburi.

Il carburo di tungsteno WC che viene usato in utensili da taglio e in materiali compositi può essere ottenuto, oltre che dai suoi elementi, anche dalla reazione tra esacloruro di tungsteno, idrogeno e metano secondo la reazione:

WCl6 + H2 + CH4 → WC + 6 HCl

Il carburo di tantalio TaC è estremamente duro e presenta duttilità oltre che conducibilità termica e elettrica. Il carburo di tantalio e il carburo misto di tantalio e niobio sono utilizzati per migliorare le prestazioni di utensili da taglio e nell’ambito dell’industria automobilistica e aerospaziale.

Il carburo di ferro Fe3C noto come cementite è un importante componente dell’acciaio e preserva i materiali ferrosi dalla ruggine.

Nitruro di boro

$
0
0

Il nitruro di boro è uno dei composti più affascinanti della chimica in quanto può essere considerato il carbonio del mondo composto con un proprio equivalente a tutte le forme allotropiche del carbonio. Essendo isoelettronico rispetto alle forme elementari del carbonio esiste in diverse forme cristalline analoghe a quelle che presenta il carbonio.

Si presenta in forma esagonale analoga alla grafite

nitruro di boro

nella forma cubica analoga al diamante usato per lavorazioni di finitura degli acciai temprati

nitruro di boro

e in una forma di wurtzite analoga alla lonsdaleite

nitruro di boro

Il nitruro di boro ha formula BN e fu sintetizzato in laboratorio all’inizio del XVIII secolo ma è stata utilizzato solo intorno al 1940. Il nitruro di boro esagonale può essere ottenuto a partire da triossido di boro o acido borico e ammoniaca in atmosfera di azoto alla temperatura di 900°C secondo la reazione:

B2O3 + 2 NH3 → 2 BN + 3 H2O

H3BO3 +  NH3 → 2 BN + 3 H2O

Le due forme più utilizzate di nitruro di boro sono i suoi equivalenti di grafite e diamante. Proprio come diamanti sintetici che sono ottenuti dalla grafite, il nitruro di boro cubico è prodotto nella tipica versione esagonale, applicando temperatura e pressione elevatissime. Il risultato è l’ottenimento di cristalli che hanno durezza simile al quella del diamante, ma mostrano, sotto certi aspetti, caratteristiche superiori alle forme analoghe del carbonio. Il nitruro di boro è forse uno dei rari esempi di come un prodotto di sintesi possa avere caratteristiche superiori a quelle di composti naturali ad esso analoghi.

Le strutture cristalline del nitruro di boro sono soggette all’effetto di Petch-Hall noto anche come effetto di rafforzamento, che è un metodo per rafforzare i materiali cambiando il loro diametro medio del grano cristallino e nella forma cubica presenta durezza superiore a quella del diamante sintetico, ma rispetto a quest’ultimo mostra maggiore inerzia chimica e maggiore resistenza al calore. Nella forma esagonale è usato come lubrificante e additivo nei prodotti cosmetici, ma a differenza della grafite è un buon conduttore e ciò lo rende idoneo per molte altre applicazioni come nel campo dell’elettronica in cui viene utilizzato come substrato di semiconduttori.

Sotto forma di wurtzite, struttura cristallina distorta tipica del solfuro di cadmio e dell’ossido di zinco, viene utilizzato come superabrasivo.

Un’altra analogia con il carbonio è riscontrabile nella capacità, da parte del nitruro di boro, di dar luogo alla formazione di nanotubi che, rispetto a quelli del carbonio sono isolanti, meno reattivi e più resistenti alla rottura ad alte temperature e potrebbero quindi essere impiegati dall’industria aerospaziale per la costruzione di pannelli. Inoltre l’utilizzo dell’isotopo 10B che è in grado di assorbire le radiazioni rende il composto capace di costituire uno schermo alle radiazioni ed essere usato nelle missioni interplanetarie.

Nella sua forma bidimensionale il nitruro di boro esagonale è denominato grafene bianco, ma rispetto al grafene presenta la caratteristica di essere un isolante e può rimpiazzare l’ossido di silicio nei nano transistor.

In un mondo dominato dal carbonio sul quale si sono concentrati gli studi di molti scienziati tra cui, non ultimi i fisici russi Geim e Novoselov che hanno ottenuto il Premio Nobel nel 2010 per la scoperta del grafene, il nitruro di boro appare come una valida alternativa tenendo conto delle sue potenzialità e delle sue prestazioni che in alcuni casi sembrano essere diverse se non migliori degli analoghi del carbonio.

Composti inorganici del carbonio

$
0
0

Nel 1807 il chimico svedese Berzeluis coniò il termine chimica organica per indicare quella branca della chimica che si interessava di composti contenenti carbonio estratti da organismi viventi e quindi, in contrapposizione i composti contenenti carbonio, estratti dai minerali erano definiti composti inorganici del carbonio. Sebbene nel 1828 il chimico tedesco Wöhler sintetizzò un composto organico ovvero l’urea a partire dalla decomposizione del cianato di ammonio la suddivisione ipotizzata da Berzelius è ancora oggi utilizzata.

Il carbonio si presenta in varie forme allotropiche tra cui il diamante e la grafite e solo negli ultimi decenni sono state scoperte altre forme allotropiche ovvero fullerene e grafene.

La chimica del carbonio è determinata da tre fattori:

1)      Il carbonio può essere ibridato sp3, sp2 e sp e forma legami singoli C-C, legami doppi C=C e legami tripli C≡C

2)      L’elettronegatività del carbonio che vale 2.5 non è sufficientemente alta da formare lo ione C4- quando si lega con i metalli, e non è sufficientemente bassa da formare lo ione C4+ quando si lega ad elementi più elettronegativi pertanto il carbonio forma legami covalenti

3)      Il carbonio forma doppi legami con i non metalli come azoto, ossigeno, fosforo e zolfo

Tra i composti inorganici del carbonio si annoverano i carburi, gli ossidi e i carbonati.

I carburi possono essere classificati sulla base delle loro proprietà e si distinguono in carburi covalenti o molecolari, carburi ionici o salini, carburi interstiziali. Tra i carburi più importanti si annovera il carburo di silicio di tipo covalente, il carburo di calcio che è di tipo ionico e il carburo di tungsteno che è di tipo interstiziale.

Gli ossidi del carbonio sono il monossido di carbonio CO e il biossido di carbonio CO2 derivanti rispettivamente dalla combustione incompleta e dalla combustione completa del carbonio. Le reazioni che avvengono, entrambe esotermiche, sono le seguenti:
2 C(s) + O2(g)→ 2 CO(g)

C(s) + O2(g)→  CO2(g)

Il monossido di carbonio può essere ottenuto anche dalla reazione tra carbonio sotto forma di carbone o coke e vapore acqueo:

C(s) + H2O(g)→  CO(g) + H2(g)

Il monossido di carbonio è un gas tossico che reagisce con l’emoglobina del sangue per dare la carbossiemoglobina; un’esposizione prolungata al monossido di carbonio provoca inizialmente torpore, successivamente svenimento e poi può portare alla morte.

Il monossido di carbonio è un gas incolore, insapore e inodore con una temperatura di ebollizione di – 191.5°C, scarsamente solubile in acqua e solubile in etanolo, cloroformio, acido acetico, acetato di etile, ammoniaca e benzene. Il monossido di carbonio trova impiego nell’ambito dell’industria chimica come nel caso dell’idroformilazione degli alcheni in presenza di H2 e CO da cui si ottengono le aldeidi.

Un altro esempio degli usi del monossido di carbonio viene fornito dalla sua reazione con cloro gassoso da cui si ottiene il fosgene:

CO + Cl2 → COCl2

Il fosgene trova utilizzo per l’ottenimento di isocianati, policarbonati e poliuretani.

Il biossido di carbonio è un gas incolore, inodore e incombustibile costituito da una molecola lineare apolare. E’ un gas presente nell’atmosfera ottenuto da processi di combustione, dalla fermentazione dei carboidrati
ed è un sottoprodotto della respirazione.

E’ una sostanza di fondamentale importanza nei processi vitali di animali e piante come la fotosintesi clorofilliana e la respirazione che giocano un ruolo importante nel ciclo del carbonio.

Le piante verdi che sono organismi autotrofi sono in grado infatti di convertire il biossido di carbonio e l’acqua in glucosio e ossigeno:

6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2

Nel processo di respirazione in cui viene assunto ossigeno la reazione avviene in senso inverso.

A pressione atmosferica il biossido di carbonio si solubilizza in acqua per dare un equilibrio con l’acido carbonico e la sua solubilità è influenzata della pressione secondo la legge di Henry.

Il biossido di carbonio è usato in ambito industriale ed in particolare per ottenere bibite gassate oltre che come additivo in campo alimentare quale regolatore dell’acidità.

Per la sua caratteristica di essere un gas incombustibile, il biossido di carbonio, viene usato negli estintori. Trova utilizzo allo stato solido quale ghiaccio secco in quanto esso sublima ovvero non passa attraverso lo stato liquido.

Nell’ambito dei composti inorganici del carbonio si annoverano i carbonati ovvero composti contenenti lo ione CO32- legato a cationi metallici.

Tra i carbonati più largamente usati vi è il carbonato di sodio noto come soda che trova largo utilizzo nell’igiene della casa e come sgrassatore ma anche nella fabbricazione di vetro, carta, rayon, saponi e detergenti. Viene usato anche come un addolcitore dell’acqua in quanto esso il carbonato può precipitare gli ioni di calcio e magnesio presenti nell’acqua dura. Il carbonato di sodio è utilizzato nell’industria chimica per sintetizzare molti composti tra cui bicarbonato di sodio, silicato di sodio, idrossido di sodio, sodio cromato e bicromato alluminato di sodio e cianuro di sodio.

Un altro carbonato molto utilizzato è quello di potassio K2CO3 noto come potassa usato nella produzione artigianale del vetro e dei saponi.

Il carbonato di litio Li2CO3 è uno dei componenti delle batterie al litio utilizzate per la carica di cellulari e computer portatili. E’ inoltre usato come stabilizzante dell’umore e per la cura di sindromi bipolari.

Il carbonato di calcio CaCO3 viene usato nella fabbricazione della carta e delle materie plastiche oltre che come correttivo dell’acidità del terreno.

Dalla decomposizione termica del carbonato di calcio secondo la reazione:

CaCO3 → CaO + CO2

Si ottiene il monossido di calcio noto come calce viva; quest’ultima, per reazione con l’acqua dà la calce spenta ovvero l’idrossido di calcio che viene impiegato in campo edile come componente di malte, stucchi, intonaci e pitture.

Il carbonato di stronzio SrCO3 è impiegato nei fuochi d’artificio a cui impartisce la colorazione rossa, nell’industria del vetro, nella preparazione di sali di stronzio e nei tubi CRT per televisori.

Il carbonato di nichel NiCO3 è usato nella sua forma basica nella preparazione dell’ossido e quale catalizzatore nei processi di indurimento dei grassi e per preparare vetri ceramici e colori per ceramica.

Il carbonato di cobalto CoCO3 è il precursore di smalti ceramici dal tipico colore blu ed è usato quale catalizzatore in campo industriale, quale integratore in mangimi per animali oltre che come precursore dei cobalto carbonili.

Oltre ai carbonati vi sono gli idrogeno carbonati noti come bicarbonati ovvero specie in cui è presente lo ione HCO3-. Il bicarbonato più noto è quello di sodio NaHCO3 utilizzato nei lieviti chimici, come antiacido, nei dentifrici per la sua azione abrasiva e sbiancante e nella deacidificazione dei fumi industriali derivanti da processi di combustione.


Gruppo 3A della Tavola Periodica

$
0
0

Gli elementi del Gruppo 3A  o Gruppo 13 sono Boro, Alluminio, Gallio, Indio e Tallio che hanno una configurazione elettronica ns2,np1.

Sia l’energia di ionizzazione che l’elettronegatività diminuiscono dal boro all’alluminio, ma scendendo lungo il gruppo, tali proprietà periodiche mostrano piccole variazioni ed in particolare l’elettronegatività aumenta dal gallio al tallio. Inoltre l’alluminio e il gallio hanno raggi atomici quasi identici e anche i raggi ionici di Al3+ e Ga3+ differiscono di poco. Contrariamente agli altri elementi del gruppo il cui numero di ossidazione più comune è +3, il tallio ha +1 come numero di ossidazione più comune il che implica che tende a perdere solo l’elettrone appartenente all’orbitale 6p.

Molte di queste anomalie possono essere comprese considerando la configurazione elettronica degli ultimi tre elementi del gruppo:

Ga: [Ar], 4s2, 3d10,4p1

In: [Kr], 5s2. 4d10, 5p1

Tl:[ Xe], 4f14, 6s2. 5d10, 6p1

In tutti e tre i casi l’orbitale d è pieno e, poiché gli elettroni di tipo d sono meno efficaci nello schermare la carica nucleare rispetto agli elettroni s e p, si verifica che gli elettroni esterni sono maggiormente attratti dal nucleo. Quindi i raggi atomici del gallio e dell’indio sono più piccoli di quanto ci si aspetterebbe: questa contrazione di dimensioni per gli elementi che seguono il blocco d ovvero il blocco dei metalli di transizione è detta contrazione del blocco d. Analoghe considerazioni possono essere fatte per il tallio per il quale, vi sono anche gli elettroni 4f che schermano la carica nucleare in modo ancora meno efficace con la conseguenza che il raggio atomico del tallio è di poco maggiore rispetto a quello dell’indio.

Nonostante appartengano allo stesso Gruppo tali elementi mostrano proprietà diverse: il boro infatti è un metalloide, non dà luogo alla formazione di composti ionici e mostra proprietà simili a quelle del silicio secondo la relazione diagonale.

Il boro infatti come il silicio mostra un’alta temperatura di fusione, è un semiconduttore e forma idruri infiammabili detti rispettivamente borani e silani.

Sia il boro che il silicio formano composti binari con gli alogeni che vengono idrolizzati per dare rispettivamente acido borico e acido silicico secondo le reazioni:

BCl3 + 3 H2O → H3BO3 + 3 HCl

SiCl4 + 4 H2O → H4SiO4 + 4 HCl

Gli ossidi sia del boro che del silicio rispettivamente B2O3 e SiO2 sono entrambi ossidi acidi. Sia il boro che il silicio reagiscono con i metalli per formare boruri e siliciuri.

L’alluminio è un metallo che mostra, secondo la relazione diagonale proprietà simili a quelle del berillio. Sia l’alluminio che il berillio vengono passivati dall’acido nitrico concentrato con formazione di un ossido inerte superficiale.

In ambiente basico sia l’alluminio che il berillio formano alluminati [Al(OH)6]3-  e berillati [Be(OH)4]2- ed entrambi gli idrossidi hanno comportamento anfotero.

Entrambi i metalli formano i nitruri rispettivamente AlN e Be3N2 che in acqua liberano ammoniaca secondo le reazioni:

AlN + 3 H2O → Al(OH)3 + NH3

Be3N2 + 6 H2O → 3 Be(OH)2 + 2 NH3

I carburi Al4C3 e Be2C in acqua danno luogo alla formazione di metano secondo le reazioni:

Al4C3 +12 H2O → 4 Al(OH)3 + 3 CH4

Be2C + 4 H2O → 2 Be(OH)3 +  CH4

Gli altri elementi del gruppo seguono i metalli di transizione e hanno l’orbitale d pieno. Analogamente al boro e all’alluminio anche il gallio ha numero di ossidazione +3 ed è un metallo caratterizzato da una temperatura di fusione di poco inferiore ai 30°C ed è quindi uno dei pochi metalli, insieme a cesio, rubidio e mercurio che si presentano liquidi a una temperatura vicina a quella ambiente e quindi viene usato nei termometri.

Quando Dimitri Mendeleev strutturò la Tavola Periodica degli elementi il gallio non era ancora conosciuto ma le sue proprietà furono previste dal padre della Chimica che lo denominò eka-alluminio. Il composto più importante del gallio, per le sue vaste applicazioni, è l’arseniuro di gallio GaAs semiconduttore usato nei dispositivi elettronici e negli emettitori di luce quali componenti per microonde, diodi, LED e laser nonché quale componente per lettori DVD, per radar automobilistici e nelle celle fotovoltaiche.

L’indio è un metallo molto tenero al punto che può essere tagliato con un coltello ed ha proprietà simili a quelle del gallio e del tallio. L’indio può dare composti ionici in cui si presenta come In3+ e In+.

La gran parte dell’indio viene utilizzato per dare l’ossido di indio e stagno ITO (Indium Tin Oxide) impiegato nelle pellicole conduttive trasparenti per applicazioni fotovoltaiche. L’ossido di indio e stagno è inoltre un componente dei touch screens e dei televisori a schermo piatto.

Il fosfuro di indio InP è un semiconduttore usato per produrre alcuni tipi di diodi tra cui i diodi LED e i diodi laser; il nitruro di indio InN è un semiconduttore con banda proibita molto limitata e, in virtù della mobilità degli elettroni viene studiato per lo sviluppo di celle solari più efficienti; l’antimoniuro di indio InSb è un semiconduttore usato nei componenti elettronici come i diodi laser e nei sensori per il rilevamento di radiazioni nel lontano infrarosso o microonde.

L’indio può essere usato come rivestimento di metalli e vetro su cui crea uno specchio resistente alla corrosione.

Il tallio è un metallo con numero di ossidazione +1 e +3 che si ossida all’aria che in presenza di acqua si trasforma in idrossido. Viene utilizzato per abbassare il punto di fusione di vetri speciali e, per la sua tossicità è ancora usato, in alcuni paesi in via di sviluppo, sotto forma di solfato come topicida. Stante la capacità del solfuro di tallio (I) Tl2S di variare la sua conducibilità elettrica con l’esposizione alla luce infrarossa esso viene usato in alcuni tipi di fotocellule. Il tallio è inoltre usato nei materiali semiconduttori ed è oggetto di studio per lo sviluppo di materiali superconduttori ad alta temperatura.

Relazione diagonale

$
0
0

Alcune coppie di elementi del secondo e del terzo periodo della Tavola periodica diagonalmente adiacenti mostrano un’analogia nelle proprietà chimiche e chimico-fisiche detta relazione diagonale. Infatti il Litio appartenente al Gruppo 1A del secondo periodo mostra analogie con il Magnesio appartenente al Gruppo 2° del terzo periodo così come il Berillio con l’Alluminio e il Boro con il Silicio:

relazione diagonale

Tale effetto si giustifica tenendo conto del fatto che, ad esempio, il raggio atomico diminuisce da sinistra a destra lungo un periodo e dal basso verso l’alto lungo un gruppo e analoghe considerazioni possono essere fatte per le altre proprietà periodiche. Considerando quindi elementi che si trovano lungo una diagonale tali effetti agiscono in modo opposto. Ad esempio il Litio ha un raggio atomico di 145 pm molto minore rispetto a quello del sodio appartenente allo stesso gruppo che è di 180 pm. L’elemento diagonale rispetto al Litio è il Magnesio il quale ha un raggio atomico di 150 pm molto più vicino al Litio di quanto non lo sia quello del Sodio. Tali similitudini vengono riscontrate in comportamenti chimici e chimico-fisici.

A titolo di esempio consideriamo il comportamento anomalo del Litio rispetto agli altri elementi del Gruppo 1A e le analogie con il magnesio. Il Litio presenta un raggio atomico piccolo rispetto agli altri elementi del Gruppo e un potere polarizzante dato dal rapporto tra la carica ionica e il quadrato del raggio ionico molto più alto di quello degli elementi del Gruppo.

Il Litio mostra pertanto analogie comportamentali simili a quelle del magnesio.

A causa della natura covalente i cloruri di litio e magnesio sono deliquescenti e solubili in alcol e piridina contrariamente ai cloruri degli altri elementi del gruppo.

I fluoruri e i fosfati di litio e magnesio sono poco solubili in acqua contrariamente ai fluoruri e ai fosfati degli altri elementi del gruppo.

Il litio e il magnesio, riscaldati all’aria, formano monossidi mentre gli altri metalli alcalini formano perossidi e superossidi:

4 Li + O2 → 2 Li2O

2 Mg + O2 → 2 MgO

Il litio e il magnesio, riscaldati in presenza di azoto danno luogo alla formazione di nitruri:

6 Li + N2 → 2 Li3N

3 Mg + N2 → Mg3N2

Entrambi i nitruri in presenza di acqua danno ammoniaca:

Li3N + 3 H2O →  3 LiOH + NH3

Mg3N2 + 6 H2O →  3 Mg(OH)2 + 2 NH3

I carbonati, gli idrossidi e i nitrati di litio e magnesio, per riscaldamento danno luogo a una reazioni di decomposizione con formazione dei rispettivi ossidi:

Li2CO3 → Li2O + CO2

MgCO3 → MgO + CO2

2 LiOH → Li2O + H2O

Mg(OH)2 → MgO + H2O

4 LiNO3 → 2 Li2O + 4 NO2 + O2

2 Mg(NO3)2 → 2 MgO + 4 NO2 + O2

I carbonati e gli idrossidi degli altri metalli alcalini invece non danno luogo a decomposizione mentre i nitrati si trasformano, in condizioni analoghe, in nitriti:

2 NaNO3 → 2 NaNO2 + O2

Silicio

$
0
0

Il silicio è un metalloide appartenente al terzo periodo del Gruppo 14 (o IVA) della Tavola periodica insieme a carbonio, germanio, stagno e piombo. La configurazione elettronica del silicio è: 1s2,2s2,2p6,3s2,3p2 che presenta numeri di ossidazione +4, +3, +2, +1, -1, -2, -3 e -4 sebbene i numeri di ossidazione più comuni siano +4 e -4.

Il silicio, che non viene rinvenuto a livello elementare, costituisce un componente di molti minerali ed è pertanto il secondo elemento, dopo l’ossigeno, più abbondante sulla crosta terrestre dove lo si può rinvenire nell’argilla, nel feldspato, granito, quarzo sotto forma di biossido di silicio, silicati e alluminosilicati. Il biossido di silicio SiO2 detto silice è il costituente della selce materiale di base delle tecnologie preistoriche di lavorazione della pietra.

Viene utilizzato per ottenere cemento, materiali refrattari, vetro e mattoni. Il carburo di silicio è utilizzato come abrasivo. I silicati che presentano lo ione a struttura tetraedrica e formula SiO44- hanno gli utilizzi più svariati per la loro capacità di impermeabilizzazione, resistenza agli attacchi chimici, capacità di consolidare ed indurire materiali resistenti al fuoco.

Il silicato di sodio è noto come water glass poiché pur avendo l’aspetto di un vetro si scioglie in acqua formando soluzioni viscose ed alcaline. Esso viene utilizzato nella produzione di saponi, adesivi, insetticidi, nell’industria tessile per il candeggio o la tintura del cotone, in edilizia come ignifugo e come accelerante per il calcestruzzo proiettato, come agente protettivo per le pitture murali.

Il tetracloruro di silicio è usato per creare schermi di fumo che per reazione con i reattivi di Grignard dà luogo alla formazione dei siliconi che presentano una molteplice varietà di forme e utilizzo. Inerti, resistenti al calore, sono usati come sigillanti, adesivi, lubrificanti, in applicazioni mediche, utensili da cucina e quali materiali isolanti.

Il silicio in forma amorfa fu isolato dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius nel 1824 riducendo l’esafluorosilcato di potassio K2SiF6 in presenza di potassio fuso mentre il silicio in forma cristallina fu ottenuto da Deville nel 1854.

Il silicio in forma amorfa appare come una polvere di colore marrone mentre quello in forma cristallina ha un aspetto metallico e un colore grigio.

Il silicio monocristallino viene ottenuto tramite il processo Czochralski così chiamato in onore del chimico polacco che lo mise a punto nel 1916 nell’ambito dei suoi studi sulla cristallizzazione dei metalli.

Tali cristalli, quando vengono dopati con boro, gallio, germanio, fosforo o arsenico vengono usati quali semiconduttori e utilizzati in una serie di dispositivi quali diodi, transistor, celle solari, microchips.

Un semiconduttore a base di silicio ad alto grado di purezza viene ottenuto fondendo il silicio in un crogiuolo abitualmente di quarzo alla temperatura di 1425°C ed aggiungendo l’elemento dopante in modo da ottenere semiconduttori di tipo n e di tipo p.

Il termine Silicon Valley fu coniato nel 1971 per indicare la Contea di Santa Clare in California in cui vi era una forte concentrazione di industrie di semiconduttori e microchip che funsero da polo attrattore per l’’insediamento di aziende di computer e produttori di software.

Il silicio tende a ricoprirsi di un sottile strato di biossido di silicio che lo rende relativamente inerte a reazioni chimiche con l’acqua. A temperature superiori ai 1400°C reagisce con l’azoto per dare il nitruro di silicio.

Il silicio reagisce con gli alogeni per dare tetralogenuri: la reazione con il fluoro avviene a temperatura ambiente mentre la reazione con gli altri alogeni avviene a temperature superiori ai 300°C.

Il silicio non reagisce con gli acidi in condizioni normali ma reagisce con l’acido fluoridrico per dare il fluorosilicato:

Si(s) + 6 HF)aq) → SiF62-(aq) + 2 H+(aq) + 2 H2(g)

mentre reagisce con le basi come NaOH per dare silicati:

Si(s) + 4 NaOH(aq) → SiO44-(aq) + 4 Na+(aq) + 2 H2(g)

Una classe di composti del silicio sono i silani, analoghi agli alcani, in cui il carbonio viene sostituito dal silicio e hanno formula generale SinH2n+2.

I silani hanno molte applicazioni in campo industriale come, ad esempio, agenti di accoppiamento per far aderire le fibre di vetro alla matrice di un polimero o per proteggere le superfici degli edifici e in campo medico per accoppiare uno strato biologicamente inerte su una protesi di titanio.

Fulminato di mercurio

$
0
0

Nel 1800 il chimico britannico Edward Howard dopo aver trattato il mercurio con acido nitrico ed etanolo scoprì che la polvere bianca e cristallina ottenuta esplodeva se veniva colpita e quindi denominò il composto fulminato di mercurio. Tale scoperta fu del tutto casuale in quanto si ricercavano sostanze chimiche derivanti dal mercurio che sembrava avesse dato buoni risultati nella cura della sifilide.

Fu solo nel 1807 che il sacerdote scozzese Alexander Forsyth che brevettò una capsula a percussione contenente fulminato di mercurio che veniva acceso quando era colpito e tale invenzione portò alla scomparsa delle armi a pietra focaia.

L’approccio poco prudente con il fulminato di mercurio da parte di un altro chimico britannico Henry Hennel, incaricato nel 1842 di costruire bombe da usare nella guerra anglo-afgana dalle truppe britanniche gli costò la vita.

Fu solo alla fine degli anni ’60 del XIX secolo che il fulminato di mercurio, unito a trisolfuro di antimonio e clorato di potassio, venne utilizzato per far detonare esplosivi ad alto potenziale.

Il fulminato di mercurio è utilizzato da Walter White protagonista della serie televisiva Breaking Bad, come mezzo per ottenere 50 mila dollari da un narcotrafficante per la metanfetamina da lui prodotta.

Lo ione fulminato costituente del fulminato di mercurio è un anione pseudoalogeno avente formula CNO-

ione fulminato

pertanto il fulminato di mercurio ha formula Hg(CNO)2.

La struttura del fulminato di mercurio è stata determinato solo nel 2007 ad opera dei chimici tedeschi Wolfgang Beck e Thomas M. Klapötke tramite irradiazione di un singolo cristallo con i raggi X da cui si è rilevato che esso cristallizza in un reticolo ortorombico in cui ogni atomo di mercurio è legato a due atomi di carbonio e pertanto esso ha una struttura del tipo:

fulminato di mercurio

Il fulminato di mercurio viene ottenuto mettendo il mercurio in un eccesso di acido nitrico al 60% e unendo alla soluzione etanolo al 95%.

Nel primo stadio della reazione il mercurio reagisce con l’acido nitrico per dare nitrato di mercurio (I) e biossido di azoto:

Hg + 2 HNO3 → HgNO3 + NO2

Il nitrato di mercurio (I) reagisce con l’eccesso di acido nitrico e l’etanolo per dare il fulminato di mercurio che viene conservato in acqua. Prima dell’uso deve essere asciugato a 40°C.

La decomposizione termica del mercurio inizia a temperature inferiori a 100°C e la velocità della reazione è influenzata da un aumento di temperatura. La reazione può avvenire a temperature inferiori se il composto è sottoposto a vibrazioni, variazioni di pressioni e a seguito di percussione.

La decomposizione del fulminato di mercurio può avvenire con la formazione di diossido di carbonio, azoto gassoso e sali di mercurio:

4 Hg(CNO)2 → 2 CO2 + N2 + HgO + 3 Hg(OCN)CNHg(CNO)2

Hg(CNO)2 → 2 CO + N2 + Hg

2 Hg(CNO)2 → 2 CO2 + N2 + Hg + Hg(CN)2

Subossidi

$
0
0

Un ossido è un composto binario costituito da un elemento e dall’ ossigeno che presenta numero di ossidazione -2. L’elemento legato all’ossigeno, se presenta più di un numero di ossidazione, dà luogo alla formazione di più ossidi: ad esempio lo stagno che presenta numeri di ossidazione +2 e +4 forma due ossidi ovvero l’ossido di stagno (II) noto anche come ossido stannoso SnO e l’ossido di stagno (IV) noto anche come ossido stannico SnO2.

Altre classi di composti sono:

i perossidi in cui è presente un legame O-O come il perossido di sodio Na2O2. Nei perossidi l’ossigeno ha numero di ossidazione -1

i superossidi contenenti l’anione O2- come il superossido di potassio KO2. Nei superossidi l’ossigeno ha numero di ossidazione – ½

gli ozonidi contenenti l’anione O3- come l’ozonide di cesio CsO3. Negli ozonidi il numero l’ossigeno ha numero di ossidazione – 1/3

I subossidi sono composti in cui l’elemento legato all’ossigeno che presenta numero di ossidazione – 2 si trova in quantità maggiori rispetto a quella presente in un ossido. Ad esempio il subossido del boro è B6O il che implica la presenza di legami tra gli atomi dell’elemento meno elettronegativo come avviene tipicamente nei cluster.

I subossidi in cui è presente un metallo, che sono stati oggetto di indagine negli ultimi decenni tramite cristallografia a raggi X, costituiscono intermedi da cui si ottiene l’ossido.

Essi sono composti generalmente colorati e la relativa colorazione indica un grado di delocalizzazione degli elettroni.

Un particolare subossido è il subossido di carbonio, usato nella sintesi dei malonati, avente formula C3O2 avente struttura O=C=C=C=O in cui sono presenti 4 legami cumulativi ed è quindi un cumulene.

Gallio

$
0
0

Prima della sua scoperta avvenuta nel 1875 ad opera del chimico francese Paul-Émile Lecoq de Boisbaudran nell’ambito dei suoi studi che diedero origine allo sviluppo alla spettroscopia le proprietà del gallio erano già note.

La scoperta di tale elemento, a cui lo scienziato francese diede il nome di gallio in onore della Gallia nome latino della Francia, rappresentò la prima conferma sperimentale di quanto aveva predetto Dimitri Mendeleev che aveva predetto le caratteristiche di questo elemento a cui aveva dato il nome di eka-alluminio.

Il padre della Chimica, infatti, nella composizione della Tavola periodica degli elementi aveva notato che nessuno degli elementi noti fino a quel momento rispondeva alle proprietà prevedibili sulla base della periodicità da lui ipotizzata. Pertanto lasciò alcune caselle vuote prevedendo le proprietà di quegli elementi non ancora conosciuti e lasciando ai chimici di riempirle dopo che fossero stati scoperti.

Lecoq de Boisbaudran aveva studiato per oltre un decennio gli spettri atomici degli elementi chimici che presentano una propria serie di linee spettrali e sapeva che l’elemento mancante si trovava tra l’alluminio e l’indio nell’ambito del gruppo e doveva trovarsi dopo lo zinco nell’ambito del periodo.

Con geniale intuizione ritenne che tale elemento potesse essere rinvenuto nei minerali contenenti zinco e approfondì le sue ricerche sulla sfalerite detta anche blenda proveniente dai Pirenei.

Isolò il nuovo elemento dall’elettrolisi di un suo idrossido e ne studiò le linee spettrali ottenendo uno spettro diverso da quello degli altri elementi che presentava due linee caratteristiche viola di cui una stretta e ben visibile alla lunghezza d’onda di circa 417 nm. Così le caselle rimaste vuote da Mendeleev iniziarono a riempirsi.

Il gallio non si trova allo stato nativo ma nei minerali come la blenda, la pirite, la bauxite e la germanite; si trova in alte concentrazioni nella gallite sotto forma di CuGaS2 ma tale minerale è raro e viene rinvenuto in poche località.

Il gallio è un elemento appartenente al Gruppo 3A o Gruppo 13 della Tavola periodica insieme a boro, alluminio, indio e tallio: è di color bianco argenteo, molto tenero da poter essere tagliato con un coltello ed ha una temperatura di fusione di circa 30°C quindi si presenta liquido a una temperatura di poco superiore a quella ambiente.

Il numero di ossidazione più comune del gallio è +3 ma esso può avere anche numero di ossidazione +1.

Si tenderebbe a ritenere che il gallio abbia anche numero di ossidazione +2 come nel cloruro di gallio avente formula GaCl2. Tuttavia i dialogenuri contengono gallio sotto forma di Ga+ e Ga3+ in rapporto 1:1 e possono essere formulati come Ga(I)Ga(III)X4. Tra gli alogenuri di gallio solo il fluoruro è ionico mentre gli altri alogenuri si presentano in forma dimerica Ga2X6.

Come l’alluminio, il gallio tende a ossidarsi all’aria formando un film sottile di ossido che passiva il metallo rendendolo stabile. Bruciando il gallio all’aria si ottiene l’ossido di gallio Ga2O3 che può essere ridotto, in presenza di idrogeno a ossido di gallio (I):
Ga2O3 + H2 → Ga2O + 2 H2O

L’ ossido di gallio è un energico riducente capace di ridurre l’acido solforico ad acido solfidrico:

2 Ga2O + H2SO4 → 2 Ga2O3 + H2S

Il gallio reagisce con gli acidi minerali secondo la reazione:

2 Ga +6 HCl → 2 GaCl3 +3 H2

In ambiente alcalino il gallio reagisce con l’idrossido di sodio per dare il tetraidrosso gallato e idrogeno:

2 Ga + 2 NaOH + 6 H2O → 2 Na[Ga(OH)4] + 3 H2

Il gallio, come gli altri elementi appartenenti al gruppo 13 reagisce con gli elementi del gruppo 15 per formare composti quali in nitruro di gallio e l’arseniuro di gallio.

Il gallio forma l’idruro GaH3  detto gallano ottenuto dalla reazione tra gallanato di litio e cloruro di gallio:

3 LiGaH4 + GaCl3 → 3 LiCl + 4 GaH3

Se la reazione avviene in presenza del dimetiletere quale solvente il gallano polimerizza mentre se la reazione avviene in assenza di solvente si forma una struttura dimera Ga2H6 detta digallano che ha una struttura simile al diborano.

Circa il 95% del gallio prodotto viene utilizzato per ottenere l’arseniuro di gallio che è un semiconduttore usato in dispositivi come circuiti integrati ad altissima frequenza (microonde), diodi emettitori di luce infrarossa, diodi laser, celle solari, e nelle optical windows.

Le prospettive future dell’arseniuro di gallio sono nell’ambito dell’elettronica andando a supportare, o talvolta sostituire il silicio.

Il gallio forma molto facilmente leghe con altri metalli, e si usa come componente di leghe a basso punto di fusione.

Il gallio trova impiego negli ambiti sia diagnostico che terapeutico: gli isotopi 67Ga e 72Ga vengono usati come marcatori radioattivi nella diagnosi di alcune forme tumorali e in lega con l’argento e lo stagno, può sostituire l’amalgama in odontoiatria.

Potere calorifico

$
0
0

I combustibili sono sostanze solide, liquide o gassose che sono in grado di produrre energia termica a seguito di una reazione di combustione.

Tale reazione di ossidoriduzione è quindi di tipo esotermico ed avviene in presenza di ossigeno con sviluppo di gas. Poiché i combustibili tradizionali, che a loro volta vengono suddivisi in naturali e artificiali, contengono generalmente idrogeno e ossigeno, danno luogo alla formazione di CO2 e di H2O se la combustione avviene in eccesso di ossigeno ovvero se la combustione è completa.

Il potere calorifico di un combustibile è la quantità massima di energia che può essere ottenuta dalla combustione completa di una quantità unitaria di combustibile in condizioni standard e può essere misurato tramite una bomba calorimetrica detta anche bomba di Mahler adatta a combustibili solidi o tramite il calorimetro di Junkers adatto a combustibili gassosi.

Nel caso che il combustibile sia solido o liquido il quantitativo unitario è generalmente riferito alla massa e quindi il potere calorifico viene generalmente espresso in J/Kg; se il combustibile è gassoso il quantitativo unitario è generalmente riferito al volume e quindi il potere calorifico viene espresso generalmente in J/m3. Si distinguono due tipi di potere calorifico: il potere calorifico superiore HHV e il potere calorifico inferiore LHV.

Il potere calorifico superiore viene determinato portando tutti i prodotti della combustione alla temperatura originaria prima della combustione con conseguente condensazione del vapore prodotto. Ciò corrisponde al calore di combustione in quanto la variazione di entalpia è relativa alla temperatura dei composti prima e dopo la combustione: in tal caso il vapore acqueo prodotto dalla combustione viene condensato in un liquido, quindi cedendo il suo calore latente di vaporizzazione. Pertanto se non viene recuperato il calore di condensazione dell’acqua il calore generato diminuisce.

Il potere calorifico inferiore viene determinato sottraendo al calore specifico superiore il calore di vaporizzazione dell’acqua formatosi durante la combustione.

Pertanto il potere calorifico inferiore è uguale alla differenza tra il potere calorifico superiore e circa 2300 kJ per ogni chilogrammo di acqua formatasi.

Poiché l’idrogeno ha un potere calorifico maggiore rispetto al carbonio il potere calorifico di un combustibile aumenta all’aumentare del contenuto percentuale di idrogeno.

I combustibili gassosi hanno generalmente un potere calorifico maggiore rispetto a quelli solidi ma, sebbene l’idrogeno abbia un elevato potere calorifico, a causa della sua bassa densità il calore sviluppato per unità di volume è piuttosto bassa.

Il potere calorifico può anche essere calcolato dalle entalpia di formazione. Ad esempio sapendo che le entalpie di formazione dell’acetilene, dell’anidride carbonica e dell’acqua si può conoscere l’entalpia della combustione dell’acetilene ovvero il calore generato dalla reazione.

ΔH°C2H2(g) = 226.73 kJ/mol

ΔH°CO2(g) = – 393.5 kJ/mol

ΔH°H2O(l) = – 285.8 kJ/mol

Per la reazione:

C2H2(g) + 5/2 O2(g) → 2 CO2(g) + H2O(l)

Poiché ΔH°= Σ ΔH°prodotti – ΔH°reagenti si ha:

ΔH°= 2( – 393.5) + (- 285.8) – 226.73 = – 1390.5 kJ

Il calore di combustione di 1 mole di benzene è quindi pari a 1390.5 kJ


Acidi forti

$
0
0

Secondo Arrhenius gli acidi sono quelle specie in grado di liberare ioni H+ in soluzione mentre secondo Brönsted-Lowry gli acidi sono quelle specie donatrici di protoni. La maggior parte degli acidi che possono essere considerati acidi di Arrhenius sono anche acidi mentre secondo Brönsted-Lowry.

Nonostante appartengano alla categoria di acidi molti composti sia inorganici che organici, gli acidi forti, ovvero quelli che possono essere considerati dissociati al 100% sono relativamente pochi se paragonati agli acidi deboli che sono in quantità notevolmente superiore.

Gli acidi forti sono caratterizzati da una costante di equilibrio Ka molto elevata e, se sono molto concentrati, hanno un pH inferiore a zero. Ad esempio l’acido cloridrico che è un acido forte, la cui costante è dell’ordine di 106, se ha una concentrazione superiore a 1 M ha un pH minore di zero. Il pH infatti è definito come:

pH = – log [H+] e, se [H+] è maggire di 1 come ad esempio 1.5 si ha che pH = – log 1.5 = – 1.8.

Per gli acidi la concentrazione di ioni H+ coincide con la concentrazione dell’acido.

Ad esempio per HCl la cui dissociazione in acqua può essere scritta come:

HCl + H2O → H3O+ + Cl-

Se la concentrazione di HCl è 0.10 molare allora [H3O+] = 0.10 e quindi pH = 1.0

Si riportano in tabella gli acidi forti secondo l’ordine di acidità decrescente:

Nome Formula Ionizzazione Ka
Acido perclorico HClO4 H3O+ + ClO4- 1010
Acido iodidrico HI H3O+  + I- 109.3
Acido bromidrico HBr H3O+  + Br- 108.7
Acido cloridrico HCl H3O+  + Cl- 106
Acido solforico * H2SO4 H3O+  + HSO4- 103
Acido p.toluensolfonico CH3C6H4SO3H ** H3O+  + CH3C6H4SO3- 102.8
Acido nitrico HNO3 H3O+  + NO3- 102
Acido metansolfonico CH3SO3H H3O+ + CH3SO3- 101.9

 

* Si noti che l’acido solforico è un acido diprotico che è forte solo nella prima dissociazione mentre la seconda dissociazione è regolata da una Ka dell’ordine di 10-2. Per il calcolo del pH di una soluzione di acido solforico quindi esso va considerato totalmente dissociato solo nella prima dissociazione.

** Gli acidi p-toluensolfonico e metansolfonico sono acidi organici.

I valori di pKa degli acidi forti sono minori di zero infatti pKa è definito come – log Ka e pertanto, per l’acido perclorico – log 1010 = – 10

Basi forti

$
0
0

Secondo Arrhenius le basi sono quelle sostanze capaci di liberare ioni OH- in soluzione mentre secondo Brönsted-Lowry le basi sono accettori di protoni.

Le tipiche basi secondo Arrhenius sono costituite da un metallo legato a uno o più gruppi OH- a seconda del numero di ossidazione del metallo come, ad esempio, NaOH, Mg(OH)2 e Al(OH)3.

Una base di Brönsted-Lowry , dovendo essere in grado di accettare un protone, deve avere un atomo con un doppietto elettronico solitario attraverso il quale forma un legame dativo con lo ione H+ per formare il suo acido coniugato come, nel caso di NH3 che, agendo da base, grazie al doppietto elettronico solitario presente sull’azoto, accetta un protone e dà luogo alla formazione dello ione NH4+.

Come nel caso degli acidi si annoverano poche basi forti ovvero quelle basi che possono essere considerate dissociate al 100% quindi la concentrazione dello ione [OH-] è pari alla concentrazione della base se essa contiene un solo gruppo OH- mentre, nel caso di basi del tipo M(OH)2 la concentrazione dello ione OH- è il doppio rispetto a quella della base.

Una base forte ha una costante Kb molto elevata e, se è molto concentrata, ha un valore di pH maggiore di 14.

Il pH, è definito come: pH = – log [H+] mentre il pOH è definito come – log [OH-] e salvo diversa indicazione sussiste la relazione pH + pOH = 14.

Nel caso di una soluzione di base forte come NaOH a concentrazione 2 M si ha che pOH = – log 2 =  – 0.3 da cui pH = 14 – pOH = 14 – (-0.3)= 14.3

Le basi forti sono tipicamente costituite da metalli alcalini o alcalino-terrosi e vengono riportate in tabella:

Nome Formula Ionizzazione
LiOH Idrossido di litio Li+ + OH-
NaOH Idrossido di sodio Na+ + OH-
KOH Idrossido di potassio K+ + OH-
RbOH Idrossido di rubidio Rb+ + OH-
CsOH Idrossido di cesio Cs+ + OH-
Ca(OH)2 * Idrossido di calcio Ca2+ + 2 OH-
Sr(OH)2 * Idrossido di stronzio Sr2+ + 2 OH-
Ba(OH)2 * Idrossido di bario Ba2+ + 2 OH-

 

* Tali basi sono poco solubili in acqua

Si tenga presente che la basicità aumenta dall’alto verso il basso lungo un gruppo e pertanto CsOH è una base più forte di NaOH

Rame

$
0
0

La storia del rame e delle sue leghe più note, ovvero il bronzo e l’ottone, rappresenta la storia dell’umanità e degli sforzi compiuti dall’uomo emerso dall’età della pietra.

Il rame è stato probabilmente il primo metallo utilizzato dall’uomo e l’ascia dell’uomo di Similaun vissuto nel 3200 a.C. era di rame. Gli uomini dell’epoca capirono che il rame era molto morbido per essere utilizzato nei modi più svariati e che poteva assumere caratteristiche migliori se unito ad altri metalli.

Il bronzo che è la prima lega creata dall’uomo ottenuto unendo al rame lo stagno in misura variabile che può arrivare fino al 25% venne usato per costruire armi, corazze e strumenti da lavoro era noto per la sua resistenza e Orazio in una delle sue più celebri odi scrive: “exegi monumentum aere perennius” (ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo).

L’ottone contenente oltre al rame una percentuale di zinco tra il 5 e il 45% fu creato circa 2500 anni fa e usato dai Romani che ottenevano il rame dalle miniere dell’isola di Cipro da cui trasse il nome tale metallo per coniare monete, oggetti ornamentali e stoviglie.

La prima pila capace di produrre una corrente elettrica costante creata da Alessandro Volta era formata da dischi di zinco e di rame, posti uno sopra l’altro, uniti con uno strato intermedio di feltro o cartone imbevuto in acqua salata o acidulata.

Nel corso della Prima Rivoluzione Industriale si assisté a un radicale cambiamento nel campo dei trasporti che stimolò lo sviluppo delle industrie di produzione di beni strumentali tra cui i cavi di rame.

Nei tempi moderni il rame, grazie alla sua malleabilità e alla elevata capacità di condurre la corrente elettrica, viene utilizzato in importanti aree di consumo nell’ambito delle costruzioni, nel settore automobilistico  e in campo industriale.

Il rame viene ottenuto dalla cuprite in cui il rame è generalmente presente sotto forma di ossido rameoso Cu2O, dalla tenorite in cui si trova il rame sotto forma di ossido rameico CuO, dalla malachite in cui è presente come idrossido carbonato rameico Cu2(CO3)(OH)2, dalla calcocite dove si trova sotto forma di solfuro rameoso Cu2S, dalla covellite dove si trova sotto forma di solfuro rameico CuS, dalla bornite dove si trova, insieme al ferro, sotto forma di solfuro Cu5FeS4.

Il rame, insieme all’argento e all’oro, fa parte del gruppo 11 o IB ed ha configurazione elettronica [Ar] 3d10,4s1 ed ha come numeri di ossidazione più comuni +1 e +2.

Il rame con numero di ossidazione +3 viene trovato in alcuni ossidi e trova impiego nei superconduttori quali l’ossido di ittrio, bario e rame YBCO in cui il rame si trova sia come rame (II) che come rame (III).

Il rame reagisce con l’ossigeno atmosferico per formare uno strato di ossido di rame che, a differenza della ruggine che si forma sul ferro, protegge il metallo sottostante da ulteriori corrosioni secondo il ben noto fenomeno della passivazione.

Per comprendere il comportamento del rame e dei suoi ioni bisogna tenere presente i potenziali normali di riduzione:

Cu2+ + 1 e- → Cu+   E° = 0.15 V

Cu+ + 1 e- → Cu   E° = 0.52 V

Cu2+ + 2 e- → Cu   E° = 0.34 V

Ciò implica che qualsiasi ossidante abbastanza forte per convertire Cu a Cu+ è in grado di convertire Cu+ a Cu2+ e quindi i composti di rame (II), che sono spesso colorati, sono più stabili rispetto a quelli di rame (I) in soluzione acquosa.

Inoltre il rame (I) può dare una reazione di disproporzione:

2 Cu2 → Cu2+ + Cu per la quale E° = – 0.15 + 0.52 = 0.37 V

A causa del potenziale correlato alla semireazione Cu → Cu2+ + 2 e-  che è pari a – 0.34 V il rame è inerte agli acidi non ossidanti come l’acido cloridrico mentre si scioglie in acidi ossidanti tra cui l’acido nitrico.

Il rame, sia come rame (I) che come rame (II) forma numerosi composti ed in particolare ossidi, solfuri e alogenuri.

L’ossido di rame (II) ha carattere basico infatti si scioglie a contatto con gli acidi con formazione di sali di rame (II):

CuO(s) + H2SO4(aq)→ CuSO4(aq) + H2O(l)

CuO(s) + 2 HCl (aq)→ CuCl2(aq) + H2O(l)

CuO(s) +2 HNO3(aq)→ Cu(NO3)2(aq) + H2O(l)

L’aggiunta di idrogenocarbonato di sodio a una soluzione contenente ioni Cu2+ dà luogo alla formazione di un precipitato azzurro di carbonato di rame (II):

Cu2+(aq) + 2 HCO3-(aq) → CuCO3(s) + H2O(l)+ CO2(g)

L’aggiunta di uno ioduro a una soluzione contenente ioni Cu2+ dà luogo alla formazione di un precipitato di ioduro di rame (II):

Cu2+(aq) + 4 I-(aq) → 2 CuI(s) + I2(aq)

Tale reazione può essere utilizzata nelle titolazioni iodometriche per la determinazione del rame presente in un campione: lo iodio sviluppato dalla reazione viene infatti titolato con tiosolfato di sodio usando come indicatore la salda d’amido.

L’ossido di rame (I) si solubilizza in presenza di acido solforico dando un precipitato di rame metallico e una soluzione di solfato di rame secondo la reazione di disproporzione:

Cu2O(s) + H2SO4(aq)→ Cu(s) + CuSO4(aq) + H2O(l)

Il rame forma molti complessi tra cui il tetrammino rame (II) [Cu(NH3)22+] di colore blu intenso, il tetracianocuprato (II) [Cu(CN)42-], l’esaacquo rame(II) [Cu(H2O )62+] di colore azzurro, il tetraacquo rame(II) [Cu(H2O )42+]

Quando ad una soluzione contenente lo ione esaacquorame (II) viene aggiunto idrossido di sodio si ha la precipitazione di un idrossido blu gelatinoso:

[Cu(H2O )62+](aq) + 2 OH-(aq) → [Cu(H2O )4 (OH)2](s) + 2 H2O(l)

Se alla soluzione contenente lo ione esaacquorame (II) viene aggiunta ammoniaca, quest’ultima agisce sia da legante che da base. Quando è aggiunta una piccola quantità di ammoniaca si forma un complesso neutro secondo la reazione:

[Cu(H2O )62+](aq) + 2 NH3(aq) → [Cu(H2O )4 (OH)2](s) + 2 NH4+(aq)

Tale precipitato si scioglie se viene aggiunto un eccesso di ammoniaca per la formazione del tetraammino complesso:

[Cu(H2O )62+](aq) + 4 NH3(aq) → [Cu(NH3)4(H2O )2]2+(aq) + H2O(l)

Anche il rame (I) dà luogo alla formazione di complessi: ad esempio dalla reazione tra il cloruro di rame (I) e acido cloridrico si forma lo ione complesso diclorocuprato (I) secondo la reazione:

CuCl(s) + Cl-(aq)→ [Cu(Cl)2]-(aq)

Dalla reazione tra il cloruro di rame (I) con il cianuro di potassio si forma lo ione complesso tetracianocuprato (I):
CuCl(s) + 4 CN-(aq) → [Cu(CN)4]3-(aq) + Cl-(aq)

 

Bicromato di potassio

$
0
0

Il bicromato di potassio è un solido ionico cristallino dal tipico colore arancione in cui sono presenti due ioni K+ e lo ione poliatomico Cr2O72- in cui il cromo ha numero di ossidazione +6.

bicromato

Viene comunemente utilizzato in laboratorio come reagente e trova largo impiego nell’industria: viene aggiunto al cemento per aumentarne la densità e la consistenza, trova utilizzo nella tintura, colorazione e concia delle pelli.

Il bicromato di potassio è un ossidante stante la semireazione di riduzione:

Cr2O72- + 14 H+ + 6 e- ⇌ 2 Cr3+ + 4 H2O

per la quale il potenziale normale di riduzione E° vale + 1.33 V

Il bicromato di potassio è stato largamente usato per la pulizia della vetreria di laboratorio; la miscela cromica o misto cromico viene ottenuto unendo una soluzione costituita da 50 g di bicromato di potassio e 50 mL di acqua a 1 L di acido solforico concentrato. La miscela cromica costituisce, insieme alla potassa alcolica, l’ultima possibilità per la pulizia della vetreria.

Tale capacità è ascrivile al fatto che il bicromato di potassio in ambiente acido dà luogo alla formazione dell’acido cromico che ha elevate capacità ossidanti. L’azione sinergica delle capacità ossidanti dell’acido cromico e delle proprietà solventi e mineralizzanti dell’acido solforico rendono tale miscela particolarmente efficace. Viene versata nel recipiente da pulire, lasciata agire e poi versata nuovamente nel suo contenitore; solo quando la soluzione dal colore arancio passa al colore verde la miscela non è più efficace in quanto tutto il bicromato si è ridotto a cromo (III). Tale miscela, sebbene efficace, viene scarsamente utilizzata in quanto particolarmente pericolosa sia per la presenza di acido solforico concentrato che per la presenza del bicromato che è considerato come una sostanza potenzialmente cancerogena.

In soluzione acquosa lo ione bicromato è in equilibrio con lo ione cromato:

Cr2O72- + H2O ⇌ 2 CrO42- + 2 H+

La posizione di tale equilibrio è influenzata dal pH infatti, per il principio dell’equilibrio mobile di Le Chatelier un aumento di acidità, corrispondente a una diminuzione del pH sposta l’equilibrio a sinistra.

Il minerale più ricco di cromo è la cromite in cui è presente un ossido di ferro e cromo FeCr2O4. Trattando tale ossido con carbonato di sodio e ossigeno si ottiene il bicromato di sodio secondo la reazione:

4 FeCr2O4 + 8 Na2CO3 + 7 O2 → 8 Na2CrO4 + 2 Fe2O3 + 8CO2

Trattando il bicromato di sodio con cloruro di potassio si ottiene il bicromato di potassio secondo la reazione:

Na2Cr2O7 + 2 KCl → K2Cr2O7 + 2 NaCl

Il bicromato di potassio è stabile in condizioni normali ma dà luogo a una decomposizione termica per dare cromato di potassio, ossido di cromo (III) e ossigeno:

4 K2Cr2O7 → 4 K2CrO4 + 2 Cr2O3 + 3 O2

Reagisce reversibilmente con le basi tra cui il carbonato di potassio per dare una soluzione gialla contenente cromato di potassio:

K2Cr2O7 + K2CO3 → 2 K2CrO4 + CO2

Per le sue proprietà ossidanti il bicromato di potassio viene utilizzato per alcuni saggi nell’ambito dell’analisi chimica qualitativa.

Il biossido di zolfo fatto gorgogliare attraverso una soluzione concentrata di bicromato di potassio acidificata con acido solforico rende la soluzione verde a causa della reazione:

3 SO2 + K2Cr2O7 + H2SO4 → K2SO4 + Cr2(SO4)3 + H2O

Il bicromato di potassio viene utilizzato nell’alcol test e per distinguere gli gli alcoli primari e secondari dagli alcoli terziari.  Gli alcoli primari e secondari reagiscono con il bicromato secondo la reazione:

3 RCH2OH + Cr2O7 2- + 8 H+  → 3 RCHO + 2 Cr3+ + 7 H2O

In tale reazione gli alcoli primari si trasformano in aldeidi e quelli secondari in chetoni mentre gli alcoli terziari non danno alcuna reazione.

I metalli preziosi, ed in particolare l’argento, possono essere testati con la soluzione di Schwerter preparata mescolando 1 g di bicromato di potassio, 22 mL di acido nitrico concentrato e 8 mL di acqua.

Applicando una goccia della soluzione al campione di argento esso diventerà rosso brillante se il metallo è puro, rosso scuro se il titolo dell’argento è 925, marrone se il titolo è 800 mentre se il titolo è 500 assumerà colore verde.

I nomi dei quattro nuovi elementi

$
0
0

Nel mese di gennaio è stata divulgata la scoperta di quattro nuovi elementi ovvero gli elementi 113, 115, 117 e 118 che andavano così a completare il VII Periodo. La conferma è avvenuta da parte della I.U.P.A.C. dopo lunghe e doverose ricerche atte a confermarne la scoperta.

Tali elementi sono stati ottenuti da gruppi di scienziati giapponesi, russi e statunitensi bombardando metalli pesanti con fasci di ioni e possono essere rilevati solo misurando i nuclidi e la radiazione emessa durante il loro decadimento. Tutti e quattro gli elementi sono metalli superpesanti altamente instabili che hanno una vita di qualche frazione di secondo.

L’elemento 113 è stato ottenuto, secondo i ricercatori, in Giappone già nel 2004 . La certezza che si trattasse di un nuovo elemento è avvenuta nel 2012 e da allora sono state cercate evidenze inconfutabili della sua esistenza.

Nella tavola periodica si inserisce come elemento del blocco p appartenente al VII periodo e al gruppo 13. Sebbene non sia stato confermato che si comporti come un omologo pesante di tale gruppo sembrerebbe avere proprietà simili ai suoi omologhi più leggeri sebbene sia previsto che abbia alcune caratteristiche dei metalli di transizione. Questo elemento è stato ottenuto bombardando l’americio 243 con ioni dell’isotopo del calcio 48 con ottenimento dell’elemento 115 che, dopo un decadimento α, dà l’elemento 113.

A tale elemento era stato provvisoriamente dato il nome di Ununtrium e il simbolo Uut.

Si noti che poiché agli elementi chimici viene attribuito in genere un nome scelto dagli scienziati che li hanno scoperti l’elemento 113 è il primo elemento della storia della chimica il cui nome viene denominato in Asia.

L’elemento 115 è stato ottenuto in Russia da un team di ricercatori russi e statunitensi nel 2004. L’elemento, molto radioattivo, con un tempo di semi-vita di 220 millisecondi si inserisce come elemento del blocco p appartenente al VII periodo appartenente al gruppo 14 dell’azoto. Si ritiene che abbia proprietà simili ai suoi omologhi più leggeri sebbene dovrebbe mostrare diverse differenze da essi.

A tale elemento era stato provvisoriamente dato il nome di Ununpentium e il simbolo Uup.

L’elemento 117 è stato ottenuto in Russia da un team di ricercatori russi e statunitensi nel 2010.  L’elemento si inserisce come elemento del blocco p appartenente al VII periodo e al gruppo 17 del fluoro.

Alcune delle sue proprietà come la possibilità di avere alti numeri di ossidazione e di formare ioni negativi differiscono da quelle degli omologhi più leggeri, segue le proprietà periodiche del gruppo per quanto attiene i punti di fusione e di ebollizione e l’energia di ionizzazione. Questo elemento è stato ottenuto bombardando il berkelio 249 con ioni dell’isotopo del calcio 48

A tale elemento era stato provvisoriamente dato il nome di Ununseptium e il simbolo Uus.

L’elemento 118 è stato ottenuto in Russia da un team di ricercatori russi e statunitensi nel 2002. L’elemento è quello più pesante finora conosciuto e L’elemento si inserisce come elemento del blocco p appartenente al VII periodo e al gruppo 18 dei gas nobili sebbene sia solido e non mostri analogie con gli omologhi più leggeri. Questo elemento è stato ottenuto bombardando il californio 249 con ioni dell’isotopo del calcio 48.

A tale elemento era stato provvisoriamente dato il nome di Ununoctium e il simbolo Uuo.

A questi quattro elementi la I.U.P.A.C. ha dati i seguenti nomi definitivi:

elemento 113: nihonium e simbolo Nh

Nihon è un modo per indicare il Giappone e letteralmente significa “il paese del sole nascente”.

Elemento 115: moscovium e simbolo Mc in onore alla città di Mosca capitale della Russia

Elemento 117: tennessine e simbolo Ts in onore dello Stato del Tennessee che è in ordine cronologico il secondo Stato degli USA che compare nella Tavola Periodica dopo l’inserimento del californio.

Elemento 118: oganesson e simbolo Og in onore del fisico russo Yuri Oganessian che ha diretto le ricerche avvenute a Dubna in cui sono stati scoperti alcuni di questi nuovi elementi.

Tali ricerche porteranno forse alla scoperta di nuovi elementi ma al momento la Tavola Periodica ideata del genio della chimica Dmitrij Mendeleev non ha più spazi vuoti.

Viewing all 541 articles
Browse latest View live